Nel mondo contemporaneo gli artisti hanno riscoperto e rielaborato il simbolismo alchemico, unendolo a nuove forme espressive. Ciò ha portato a una riscrizione del “mito alchimico” solo apparentemente svincolato dalla tradizione: nuove soluzioni estetiche hanno portato alla elaborazione di un linguaggio capace di riflettere sulle metamorfosi della materia e sulla ricerca del “senso” nell’arte stessa, nel suo continuo mutamento e trasformazione. Arte e mecenatismo culturale oggi, come un tempo, vanno di pari passo: così come non esiste artista contemporaneo senza il suo bravo mecenate, così (per portare un esempio italico-sabaudo) principi blasonati a discendere da Emanuele Filiberto (1528-1580) non disdegnarono di sponsorizzare la disciplina alchimica.
L’astrologo ed esoterista francese Michel de Nostredame, meglio noto come Nostradamus (1503-1566) giunse a Torino su richiesta di Emanuele Filiberto, mentre le quattro tele di Francesco Albani (1578-1660) dedicate ai Quattro elementi, furono commissionate dal cardinal Maurizio di Savoia (1593-1657) nel 1633 e collocate nella Sala delle Rose al Castello del Valentino a Torino. Sempre a Torino, nel Duomo, c’è la cappella dei santi Crispino e Crispiniano, attribuita a Giovan Martino Spanzotti (ca. 1455-ca. 1526) che è un trattato di alchimia, intorno a una Madonna del Latte. Chi sapeva e giungeva in una città, cercava in una chiesa segnali come quello della cappella nel Duomo sabaudo e si riconnetteva alla confraternita.
Massimo D’Azeglio (1798-1866), nella sua autobiografia, ha alcuni accenni all’esoterismo, ed è quasi certo che la sua trama politica, che portò casa Savoia a controllare gran parte dell’Italia, s’impiantò su residui circoli esoterici, rispetto ai quali la Massoneria come la Carboneria erano qualcosa di periferico. Per capire tale sviluppo, bisognerebbe seguire attentamente le tappe di J. W. Goethe (1749-1832) in Italia, perché Goethe fu un esoterista dotto di alchimia, e in Italia venne con dei contatti solo apparentemente massonici. Scendendo al Ventesimo secolo torinese, torna alla mente la pittura di Felice Casorati (1883-1963), le sue celebri Uova, ma anche la scultura di Giulio Paolini (1940-) come il suo di Giasone, rigurgitanti di riferimenti alchimici e gnostici.
Cospiratori
Secoli prima Dante, a Bologna, era entrato a contatto con la tradizione esoterica di matrice neoplatonica, che lo pose in contrasto con un precedente insegnamento materialista epicureo mediato quasi certamente attraverso l’amico Cavalcanti. Questa tradizione diventata filo panteista in ambito veneto – si pensi a Giorgio Baffo (1694-1768) oppure a Giacomo Casanova (1725-1798) ‒ giunge fino a Ugo Foscolo (1778-1827): Gabriele Rossetti (1783-1854), padre del più famoso Dante Gabriel, ne venne a contatto perché per un certo periodo fu segretario del Foscolo. Tale esoterismo panteista fu rilanciato da Gian Vincenzo Gravina (1664-1718), che la veicolò attraverso l’Arcadia: Voltaire fu non caso un arcade. La tradizione esoterica tendeva in diversi rivoli settari, e lo si scorgeva anche in una poesia di Cavalcanti, che rimproverava Dante di non seguire l’insegnamento che un tempo li aveva uniti.
Tutti questi elementi li troviamo agglutinati in un testo gnostico della biblioteca copta di Nag Hammadi, la Parafrasi di Sēem (NHC VII, 1, 1, 1-49, 9). In esso si sublima la distruzione del corpo, la croce alla quale il Salvatore è avvinto1. La Parafrasi di Sēem parla dello smarrito equilibrio iniziale tra Luce (phōs), Spirito (pneuma) e Tenebra (skotos), perduto a causa d’un movimento conoscitivo e d’un impossessarsi di particelle spirituali ad opera della tenebra. Segue la catabasi in due tempi del Salvatore e Rivelatore Derdekeas, il quale prima «solidifica» e rende capace di resistere agli attacchi della tenebra lo Spirito intermedio e in seguito scende nella Tenebra stessa, inducendola con l’inganno a procreare. Con questa generazione, anch’essa suddivisa in due fasi, la Tenebra, definita «utero» (mētra) e «natura» (physis), inconsciamente separa da sé le particelle luminose. L’ultimo prodotto di tale atto generativo, descritto facendo ricorso a una simbologia e a un lessico esplicitamente sessuali, è la duplicazione dei corpi, cioè l’umanità. La tribē, l’«oggetto d’amore», cioè la porneia, è l’unione delle acque con la natura, e genera la forma acquosa della matrice, unitamente al prosthema, ossia il posthē, il «fallo», il membro legato ai demoni.
Ma per ripristinare l’equilibrio iniziale è necessario che la Tenebra porti a termine la distruzione dell’umanità. Il primo assalto è rappresentato dal Diluvio, cui Derdekeas non risponde con un intervento diretto, bensì utilizzando lo stesso demone incaricato dalla Tenebra di liberare le acque alluvionali; questi, con l’aiuto di altre creature dell’oscurità, costruisce una torre – probabilmente la Torre di Babele – per salvarsi e raduna l’umanità spirituale.
Redenzioni oscene
L’opera del Salvatore è quella di raffinare costantemente il mondo, separando gli elementi ignei da quelli acquosi: Saphaina, la «Veridicità», da Molychtha la «terra contaminata» a figura di Unicorno. Così l’Intelletto non dovrà liquefarsi al contatto con l’acqua, divenendo un pesce, preda della «moltitudine di animali scaturiti da lei (= physis) secondo il numero degli effimeri venti», cioè dei Segni dello Zodiaco. Occorre pregare verso il Sole di giorno e verso la Luna di notte, dipende da quale sguardo si produce.
Dal versante indiano, l’interiorizzazione del sacrificio avviata dalla rivoluzione upanishadica ha determinato una medesima oblazione del corpo, essenziato dai fluidi sessuali e ravvivato dal fuoco del tapas all’origine dei più tardi sistemi tantrici e vajrayana. Un’acqua luminosa, trasmutata in elixir di lunga vita, che combinava l’interazione del principio lunare e solare, seminale e sanguigno. Il mercurio alchemico altro non è che il seme divino: pensiamo ai testi del fricchettone David Gordon White (1953-), ignaro delle ultime traduzioni di Raniero Gnoli (1930-2025), comunque di ben altra sostanza rispetto alle introduzioni all’alchimia indiana nel trotzkista, surrealista e mercante d’arte Arturo Schwartz (1924-2021).
Nell’India medievale il simbolismo sessuale divenne un linguaggio comune condiviso dalle sintesi hathayogiche, tantriche e appunto alchemiche. La Parafrasi di Sēem sembra assemblare l’erotica manichea (e poi catara) che trovò il suo pendant fin nel lontano Assam, ai piedi del Bhutan; per Mircea Eliade (1907-1986), con il Gandhara, era la terra tantrica per antonomasia (X-XVII sec.). L’ambito in cui si produsse un forte scambio tra regalità tribali e tradizioni tantriche riferibili al culto della Yoni, cioè la fica cosmica.
Come nella Parafrasi di Sēem, i praticanti dello Dzogchen buddhista manifestano il Corpo di Luce o «Corpo d’arcobaleno» quando gli elementi grossolani e osceni sono stati reintegrati nella propria natura luminosa. Esistono vari tipi di corpi di luce, a seconda delle capacità dello yogi. Il corpo d’arcobaleno del grande trasferimento è il Corpo di Luce supremo. Lo manifestano soltanto gli yogi che giungono al termine della quarta visione del thögal, cioè il superamento della percezione ordinaria. Quando i fenomeni si dissolvono nella Dharmata (in tibetano chos-nyid-kyi zad-pa), l’aspetto materiale del corpo comincia a svanire e se lo yogi si concentra su «un dito di materia», realizza un corpo in cui la materia è trasmutata in luce. Egli si autopercepisce come trasparente e insostanziale, ma gli altri, che continuano ad avere una percezione karmica ordinaria, continuano a percepirlo sotto la forma consueta. Lo yogi non muore e può dimorare indefinitamente in questo mondo per agire per il bene degli esseri senzienti. Così nella Parafrasi di Sēem l’abiezione è la forma estrema di vita che può redimere le azioni umane. L’oscenità “gnostica” ha restituito alla disciplina alchimica il suo significato originario.
Note
1 D. M. Burns, «μίξεως τινι τέχνῃ κρείττονι. Alchemical Metaphor in the Paraphrase of Shem (NHC VII, 1)», in Aries, 15 (2015), pp. 79-106.