Dopo l’atto terroristico del 7 ottobre, alle notizie vere si sono aggiunte anche informazioni false e altre non verificate. L’opinione pubblica, però, rimase ferma alla condanna di quell’azione che resterà comunque un gesto spietato e assolutamente ingiustificabile, dedicando poca attenzione a ciò che realmente poteva celarsi dietro quell’ignobile evento.
Nel mio articolo del 26 novembre 2023 Israele e la strage del 7 ottobre1 scrivevo:
Ma la cosa forse più grave è l’ipotesi di alcuni politologi secondo i quali l’azione stessa fosse stata programmata soprattutto per scatenare una forte e immediata reazione israeliana che avrebbe involontariamente colpito anche molti palestinesi nelle loro abitazioni e nei luoghi dove notoriamente essi davano rifugio e assistenza ai terroristi nella Striscia di Gaza. Una reazione che avrebbe potuto provocare poi una reazione a catena nel mondo arabo e nei Paesi notoriamente contro Israele.
Un’angosciosa previsione che oggi sembra totalmente confermata dai fatti. Tutto il mondo ha inizialmente creduto nella buona fede israeliana, accettando la giustificazione che l’attacco al popolo palestinese fosse necessario per salvaguardare la sicurezza dei cittadini israeliani da futuri atti terroristici.
Che Hamas sia un gruppo terroristico, non credo vi possano essere dubbi, a prescindere dalle motivazioni storiche che ne hanno accompagnato la nascita e dalle giustificazioni ancora oggi rivendicate. Ciò che appare ancora più grave, però, è la possibile commistione che possa essere intercorsa tra Hamas e il governo israeliano già prima del 7 ottobre. Bisogna domandarsi se Hamas, dopo aver illuso gran parte del popolo palestinese che lo aveva votato, non si sia poi trasformato in uno strumento funzionale agli obiettivi di Israele: la totale eliminazione del popolo palestinese.
Un’ipotesi inizialmente sottovalutata perché ritenuta troppo fantasiosa e difficilmente associabile a uno scenario così crudele. Se confermata, dimostrerebbe infatti un’inaudita ferocia sia da parte del governo israeliano, sia di una parte del popolo israeliano che lo sostiene.
I primi dubbi sulla verità dei fatti del 7 ottobre 2023
Subito dopo lo sbigottimento e la rabbia per il truce atto terroristico compiuto da Hamas, emersero le prime perplessità sulla veridicità di quanto veniva raccontato. Sembrava strano che i servizi segreti israeliani, considerati tra i più efficienti al mondo, non avessero intercettato alcun segnale premonitore. Ancora più inverosimile appariva l’eccessiva crudeltà descritta nelle cronache (taglio di arti, stupri bestiali, mutilazioni di genitali, infissione di oggetti nei corpi delle vittime), che difficilmente poteva essere attribuita soltanto a un atto terroristico.
Riflessioni che inizialmente sembrarono secondarie rispetto all’orrore immediato dell’attacco e che, per questo, non furono oggetto di un adeguato approfondimento. Di seguito, ripercorro cronologicamente le principali notizie diffuse da mass media internazionali, dopo la valutazione se potessero essere influenzate da motivi politici o da pregiudizi. Lo scopo è dare al lettore la possibilità di elaborare una propria analisi critica sugli eventi del 7 ottobre.
Un’inchiesta ignorata: Hamas finanziato con il consenso israeliano
L’8 ottobre 2023, il quotidiano israeliano The Times of Israel2 — testata generalmente filo-governativa e non certo vicina alle posizioni palestinesi — pubblicò un articolo dirompente: il governo Netanyahu avrebbe sostenuto indirettamente Hamas, favorendo il flusso di fondi dal Qatar verso Gaza. L’obiettivo dichiarato era evitare una crisi umanitaria, ma secondo fonti interne quei finanziamenti avrebbero contribuito a rafforzare militarmente Hamas.
La notizia, pur provenendo da una fonte autorevole, ricevette scarsa attenzione. Eppure, alla luce dell’attacco del 7 ottobre, appare oggi un tassello fondamentale per comprendere le responsabilità politiche e strategiche che hanno permesso a Hamas di colpire con tanta ferocia. Il quotidiano ricostruì come Netanyahu avesse scelto di mantenere Hamas al potere per indebolire l’Autorità Palestinese e impedire la nascita di uno Stato palestinese unitario. Una strategia che, come scriveva il giornale, “ci è esplosa in faccia”.
La conferma saudita: Israele ha favorito i finanziamenti a Hamas
Il 1° novembre 2023 la rivista indiana India today3 riportò una dichiarazione significativa: il principe Turki al-Faisal, ex capo dell’intelligence saudita, affermò pubblicamente che il governo israeliano aveva facilitato il trasferimento di fondi dal Qatar a Hamas. Una rivelazione autorevole, che confermava la strategia israeliana di mantenere Hamas al potere come scelta geopolitica consapevole, visibile anche agli attori regionali.
Anche questa notizia, però, ricevette scarsa attenzione internazionale, contribuendo a una sottovalutazione sistematica delle responsabilità politiche precedenti al 7 ottobre.
La strategia che ha armato Hamas: un miliardo di dollari con l’approvazione di Netanyahu
Il 2 novembre 2023, il sito Pressenza pubblicò un’inchiesta dal titolo eloquente: Come Netanyahu ha finanziato, costruito e reso un alleato Hamas dal 2012 al 20184. L’articolo denunciava una strategia deliberata del governo israeliano, che avrebbe approvato il trasferimento di circa un miliardo di dollari dal Qatar a Gaza, metà dei quali destinati direttamente a Hamas, compresa la sua ala militare.
Secondo l’inchiesta, questa politica trasformò Hamas da un gruppo minore a un esercito ben organizzato, composto da unità d’assalto capaci di compiere massacri efferati. Un’evoluzione definita come il frutto di una “strategia imperfetta” di Netanyahu, documentata e visibile agli attori internazionali, ma ignorata dai media occidentali.
La conferma del New York Times: Netanyahu favorevole ai fondi del Qatar per Hamas
L’11 dicembre 2023, il New York Times pubblicò un’inchiesta che confermava quanto già emerso: per anni, il governo israeliano aveva favorito il trasferimento di fondi multimilionari dal Qatar a Hamas Agenzia Nova5. L’intento era mantenere l’ordine nella Striscia di Gaza e indebolire l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), ostacolando la nascita di uno Stato unitario.
L’articolo rivelava che il 7 ottobre 2023 il capo del Mossad, David Barnea, si era recato in Qatar per ribadire che Netanyahu sosteneva la prosecuzione del finanziamento. L’obiettivo strategico era separare sempre più Gaza dalla Cisgiordania, rafforzando Hamas come entità antagonista all’ANP.
Sebbene basata su fonti anonime e documenti riservati, la pubblicazione su una testata autorevole conferiva grande peso alle accuse, rafforzando l’idea di una strategia consapevole e fallimentare, culminata nella tragedia del 7 ottobre.
Valigia blu: un miliardo di dollari e un’allerta ignorata
Il 28 novembre 2023, Valigia Blu6 ha pubblicato un’analisi approfondita che conferma e amplia quanto già emerso negli anni precedenti: tra il 2012 e il 2018, circa 1,1 miliardi di dollari sono stati trasferiti dal Qatar a Gaza con l’approvazione del governo israeliano, ufficialmente per pagare stipendi e forniture di carburante. Tuttavia, una parte consistente di questi fondi avrebbe rafforzato militarmente Hamas, contribuendo alla sua trasformazione in una forza armata strutturata.
L’articolo sottolinea come membri dello stesso governo Netanyahu, come Avigdor Lieberman e Naftali Bennett, si siano dimessi per protesta contro questa politica, definendola una politica per “alimentare un mostro”.
Ancora più inquietante è la denuncia secondo cui, alle 3:30 del mattino del 7 ottobre, le Forze di Difesa Israeliane (IDF) avrebbero inviato un report urgente segnalando attività sospette di Hamas, ma il rapporto sarebbe stato declassato a “non urgente” e ignorato, contribuendo così alla mancata prevenzione dell’attacco.
Il doppio gioco di Netanyahu con Hamas: una strategia di potere sotto copertura
Secondo un’inchiesta di The Post International -TPI7 del 9 agosto 2024, il governo israeliano guidato da Netanyahu avrebbe favorito per anni il finanziamento di Hamas tramite fondi qatarioti. Questa scelta, apparentemente contraddittoria, rispondeva a una strategia precisa: mantenere Hamas al potere a Gaza per indebolire l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e impedire la nascita di uno Stato palestinese unitario.
Dal 2014, Israele ha consentito il trasferimento mensile di circa 30 milioni di dollari a Gaza, ufficialmente destinati a scopi umanitari. Tuttavia, secondo fonti del Mossad, parte di questi fondi sarebbe stata utilizzata da Hamas per armarsi e costruire infrastrutture militari. Il controllo militare e politico su Gaza da parte di Israele, unito alla frammentazione della Cisgiordania, rende impraticabile la soluzione dei "due Stati", come riportato nell’articolo di Money8, come dire: “chi controlla Gaza impedisce la nascita di uno Stato palestinese”, rivelando così la logica politica dietro il sostegno indiretto al gruppo islamista.
Questa ambiguità strategica, che, come già citato, portò persino alle dimissioni del ministro della Difesa Avigdor Lieberman nel 2018, getta un’ombra inquietante sull’attacco del 7 ottobre: Hamas, rafforzato anche da anni di tolleranza finanziaria, ha colpito Israele con violenza senza precedenti. E mentre il Mossad non ha previsto l’attacco, il governo ha reagito con una rapidità e precisione tali da far sospettare un piano già predisposto.
L’Unità: Netanyahu sapeva e non fermò l’attacco
In occasione del primo anniversario dell’attacco del 7 ottobre, L’Unità9 l’8 ottobre 2024 ha pubblicato un articolo critico, sostenendo che Netanyahu fosse a conoscenza dell’imminente attacco di Hamas, ma abbia scelto di non intervenire. Questa omissione avrebbe permesso a Israele di avviare una guerra pianificata nei minimi dettagli, con l’obiettivo finale di trascinare l’Iran nel conflitto e ottenere il dominio sul Medio Oriente, ma con l’Iran andò male (Il vero nemico d’ Israele?10).
Il testo esprime un profondo scetticismo verso le versioni ufficiali, paragonando la situazione a precedenti storici in cui gli Stati Uniti avrebbero manipolato informazioni per giustificare guerre (Vietnam, Iraq, Libia). Si evidenzia l’anomalia dell’inefficacia del Mossad, noto per la sua capacità di prevenzione, nel non aver rilevato un attacco così vicino ai confini israeliani.
L’autore suggerisce che la risposta militare israeliana — bombardamenti su Gaza, attacchi al Libano, eliminazione di leader di Hamas ed Hezbollah — fosse già pronta, e che l’intera operazione fosse parte di una strategia più ampia per destabilizzare la regione.
InsideOver: Netanyahu ha rafforzato Hamas per sabotare la soluzione dei due stati
Il 24 novembre 2024, InsideOver11 ha pubblicato un articolo intitolato: Così Netanyahu ha finanziato Hamas per affondare i due Stati.
La tesi centrale è che la strategia del primo ministro israeliano fosse quella di mantenere Hamas vivo e operativo per indebolire l’Autorità Palestinese (AP), l’unico interlocutore politico credibile per una possibile soluzione negoziata basata sulla coesistenza di due Stati.
Secondo l’inchiesta, Netanyahu ha facilitato il trasferimento di fondi qatarioti a Gaza, ufficialmente destinati a carburante e stipendi, ma che di fatto hanno contribuito a rafforzare Hamas. L’obiettivo implicito era quello di delegittimare l’AP e impedire ogni avanzamento verso una soluzione diplomatica, consolidando la divisione tra Gaza e Cisgiordania.
IDF avevano allertato il governo israeliano poche ore prima del massacro
Secondo un’inchiesta di Channel 12 riportata da Il Giornale12 l’1 marzo 2025, le IDF (Forze di Difesa Israeliane) avevano inviato un report urgente alle 3:30 del mattino del 7 ottobre 2023, segnalando attività sospette di Hamas a Gaza. Il documento fu trasmesso a sette alti funzionari, tra cui Netanyahu e il ministro della Difesa Gallant, ma l’ufficiale d’intelligence del Primo Ministro non lo ritenne urgente e decise di non svegliare Netanyahu, rimandando la comunicazione alle 6:29, dopo l’inizio dell’attacco.
La notizia ha generato tensioni nell’establishment israeliano. Il capo di stato maggiore Herzi Halevi ha dichiarato di assumersi la piena responsabilità del fallimento della sicurezza, criticando però la gestione politica dell’allerta. L’indagine interna dell’IDF non ha approfondito il mancato passaggio del report all’esecutivo, evitando di indagare sulla catena di comando politica.
NYT: Netanyahu ha prolungato la guerra a Gaza per restare al potere
Secondo un’inchiesta del New York Times Magazine (NYT), riportata da Democracy Now!13 il 14 luglio 2025, Netanyahu avrebbe deliberatamente prolungato la guerra a Gaza, nonostante un accordo di cessate il fuoco raggiunto nell’aprile 2024. L’indagine, basata su oltre 110 interviste a funzionari israeliani, statunitensi e arabi, e su documenti riservati, rivela che Netanyahu ha rotto la tregua in marzo, temendo che un cessate il fuoco potesse far crollare la sua fragile coalizione di governo.
Il premier israeliano avrebbe messo la propria sopravvivenza politica al di sopra di ogni altra priorità, compresa la liberazione degli ostaggi e la fine delle ostilità. Secondo il giornalista Ronen Bergman, coautore dell’inchiesta, Netanyahu era sotto pressione da parte dei partiti di estrema destra, che minacciavano di far cadere il governo se avesse accettato un accordo di pace.
Il costo umano di questa scelta è stato altissimo: centinaia di palestinesi uccisi, migliaia di feriti e almeno otto ostaggi morti in cattività. L’inchiesta suggerisce che, pur in un contesto di guerra regionale, alcune decisioni di Netanyahu siano state motivate più da interessi personali che da esigenze di sicurezza nazionale.
L’Autoassoluzione e difesa di Netanyahu
Su Rights Reporter14 del 15 luglio 2025, l’articolo Netanyahu si auto-assolve dalle colpe sul 7 ottobre e attacca i vertici della difesa documenta un tentativo di autoassoluzione da parte di Benjamin Netanyahu. In un video in inglese dal titolo Solo i fatti, il premier ha cercato di scaricare ogni responsabilità per il disastro del 7 ottobre sui vertici militari israeliani, trasformando la comunicazione politica in un atto d’accusa contro i propri generali. Netanyahu ha affermato di essere stato “tenuto all’oscuro” dalle informazioni dell’intelligence e dagli apparati militari, rivendicando di aver preso da solo tutte le decisioni cruciali in tempo di guerra.
Questa narrazione lo dipinge come un leader isolato e tradito, ma appare costruita per salvare la propria immagine e sottrarsi al giudizio dell’opinione pubblica e delle commissioni d’inchiesta. Il premier ha liquidato come “fasulla” la tesi secondo cui la riforma giudiziaria del 2023 avrebbe indebolito la coesione interna e favorito l’attacco di Hamas, negando anche che le logiche di coalizione abbiano influenzato la sicurezza nazionale.
Le sue parole rivelano, in realtà, la volontà di scaricare ogni colpa sull’apparato militare, evitando di ammettere i fallimenti politici che hanno contribuito alla catastrofe.
La lettera di Jeffrey D. Sachs al Ministro degli Esteri Israeliano Gideon Sa'ar
I dubbi sugli eventuali rapporti opportunistici tra Netanyahu e Hamas sono stati messi in luce in maniera inequivocabile dalla lettera aperta inviata il 12 agosto 2025 da Jeffrey D. Sachs al ministro degli Esteri israeliano Gideon Sa’ar Assopace Palestina15.
Sachs – economista di fama mondiale, docente alla Columbia University, presidente della UN Sustainable Development Solutions Network e già consigliere di tre segretari generali dell’ONU – ha lanciato un durissimo atto d’accusa contro il governo israeliano.
Nato a Oak Park, sobborgo di Detroit, in una famiglia ebraica, Sachs rivendica con orgoglio la propria identità, ma rifiuta l’idea che Israele possa definirsi “lo Stato del popolo ebraico”, smascherando la retorica sionista che coinvolge tutti gli ebrei del mondo nelle responsabilità di un governo sempre più isolato.
L’economista accusa Netanyahu di aver scientemente finanziato Hamas – come documentato dal Times of Israel – per indebolire l’Autorità Nazionale Palestinese, favorevole alla soluzione dei due Stati. Una strategia cinica, finalizzata a soffocare ogni prospettiva di pace e a perpetuare l’occupazione, che ha rafforzato l’estremismo e contribuito direttamente al disastro del 7 ottobre.
Secondo Sachs, l’intervento di Sa’ar all’ONU ha deliberatamente ignorato la realtà delle stragi: Israele è responsabile di omicidi di massa, carestie e della morte di migliaia di bambini palestinesi, pur continuando a scaricare ogni colpa su Hamas.
La lettera richiama la tradizione ebraica e la storia, ricordando che “gli Stati ingiusti non sopravvivono a lungo”. Per Sachs, la vera minaccia alla sopravvivenza di Israele non viene dai palestinesi, né dall’Iran, ma dalle politiche estremiste di Netanyahu, Smotrich e Ben-Gvir, che hanno isolato il Paese a livello internazionale.
Oggi Israele può contare solo sull’appoggio degli Stati Uniti e delle lobby evangeliche radicali, mentre la comunità internazionale – come ribadito nella Dichiarazione di New York del 29 luglio 2025 – sostiene quasi all’unanimità la creazione di uno Stato palestinese indipendente. Sachs ammonisce:
La forza bruta non potrà sostituire la giustizia. Netanyahu sta condannando Israele non alla sicurezza, ma all’autodistruzione.
Considerazioni finali: atto d’accusa a Netanyahu
Il disastro del 7 ottobre non è stato un incidente di guerra, né un fallimento isolato dell’intelligence: è il risultato diretto di decenni di scelte politiche deliberate, di una strategia costruita per consolidare il potere a costo di vite innocenti. Benjamin Netanyahu non può nascondersi dietro i vertici militari o dietro l’alibi della coalizione di governo: egli ha finanziato e favorito Hamas negli anni precedenti, con l’obiettivo cinico di indebolire l’Autorità Palestinese e sabotare ogni possibilità di pace.
L’autoassoluzione messa in scena nel video Solo i fatti appare come un atto di arroganza politica, un tentativo di scaricare ogni responsabilità sui generali e sulla struttura militare, mentre Israele e i palestinesi pagano il prezzo più alto.
Non si tratta più solo di negligenza o errore di valutazione: Netanyahu, con le sue scelte, ha contribuito direttamente alla morte di migliaia di civili innocenti e all’inasprimento di un conflitto che avrebbe potuto essere evitato.
La comunità internazionale, attraverso la lettera di Jeffrey Sachs e le prese di posizione dell’ONU, indica chiaramente la gravità delle azioni del governo israeliano. L’evidenza mostra che la politica di Netanyahu non ha rafforzato la sicurezza di Israele, come egli pretende di sostenere, ma ha alimentato l’estremismo, isolato il Paese e reso inevitabile il bagno di sangue del 7 ottobre.
Questo è un governo che ha scelto la forza bruta, la manipolazione e la propaganda al posto della giustizia, trasformando la sicurezza nazionale in un pretesto per la propria sopravvivenza politica. Netanyahu non rappresenta solo una leadership fallita: rappresenta una minaccia diretta alla vita dei cittadini israeliani e alla pace nella regione.
Il tempo dell’autoassoluzione è finito. L’opinione pubblica internazionale e la storia giudicheranno le azioni del premier non sulla base delle sue parole, ma sulla scia di sangue e distruzione lasciata dalla sua politica deliberata. La verità è chiara: Netanyahu ha scelto la guerra, la divisione e la morte. E questo, più di ogni altra cosa, disegna la sua responsabilità morale e storica.
Note
1 Israele e la strage del 7 ottobre.
2 The Times of Israel.
3 India today.
4 Come Netanyahu ha finanziato, costruito e reso un alleato Hamas dal 2012 al 2018.
5 Agenzia Nova.
6 Valigia Blu.
7 The Post International -TPI.
8 Money.
9 L’Unità.
10 Il vero nemico d’ Israele?.
11 InsideOver.
12 Il Giornale.
13 Democracy Now!.
14 Rights Reporter .
15 Assopace Palestina.