Ci sono molti aspetti positivi nell’avere una moglie giapponese. Uno di questi è che si può discutere di politica con qualcuno che viene, a tutti gli effetti, da un altro mondo.

La mia sposa, e buona parte della sua famiglia, è sempre stata critica del precedente primo ministro Ishiba. Quando è uscita la notizia della potenziale elezione di Takaichi Sanae come primo ministro, hanno subito manifestato la loro approvazione perché la ritengono più capace e competente. La reazione nel mondo occidentale si concentra, prevedibilmente, sul sesso del nuovo Primo Ministro, cosa che mi fa riflettere.

La politica giapponese

Quando vivevo in Giappone partecipai a un incontro ufficiale nel quale mi fu chiesto se ritenessi che gli stranieri dovessero avere il diritto di voto. Risposi di no, con la seguente argomentazione: per quanto possiamo amare il Giappone, ed è certamente il mio caso, e per quanto possiamo conoscerne e apprezzarne la lingua e la cultura, abbiamo un legame con la terra e con la sua storia che è molto recente, e ragioniamo a partire non dalla cultura giapponese, ma da una cultura esterna, e non vorrei che persone che non capiscono, o non condividono, le radici della nazione giapponese possano agire per modificarla.

La politica giapponese e quella italiana, sotto certi aspetti, sono molto simili. Per cominciare, siamo entrambe nazioni che hanno perso la guerra, noi meno peggio di loro, e che dal ’45 in poi si sono trovate le forze armate americane in casa.

Chi ha la mia età, e negli anni si è dato tempo di studiare quello che non veniva insegnato a scuola, sa cosa questo ha significato per noi, dagli anni della Strategia della Tensione alle stragi di Stato. Anche così, la generazione dei nostri nonni ha potuto votare per scegliere tra la Repubblica e la Monarchia, la nostra Costituzione è nata da un’Assemblea Costituente con forti elementi di sinistra, motivo per cui, ad esempio, siamo una Repubblica fondata sul lavoro – affermazione opinabile, considerando la dedizione con cui politici di ogni colore e di tutte le risme si sono prodigati con stupefacente dedizione e coerenza nel trasformare in peggio le condizioni dei lavoratori – e di conseguenza non abbiamo mai avuto una vera e propria “occupazione” nel dopoguerra.

In Giappone, l’occupazione americana è durata dal 1945 alla firma del Trattato di San Francisco del 1952. Nel corso di questi sette anni, al Giappone sono state imposte con la forza modifiche radicali, tra le quali una nuova costituzione, redatta principalmente dal Comando Supremo delle Forze Alleate, una riforma della lingua scritta e orale che serviva a recidere il collegamento con la lingua e la scrittura del passato, e chi ha letto 1984 di Geoge Orwell ha familiarità con l’idea che controllare la lingua significa controllare il pensiero di cui essa si fa espressione, con quello che ne consegue, e naturalmente una riorganizzazione politica. Qui è dove le nostre storie momentaneamente convergono.

Dall’inizio della Repubblica fino agli anni ’90, la politica italiana è stata dominata da un partito che si chiamava Democrazia Cristiana, all’epoca definito “di centro”. In Giappone, il suo omologo si chiama Jimintō 自民党, che si può tradurre come Partito Liberal Democratico, di orientamento sostanzialmente conservatore. Con questo non intendo dire che si tratti di un partito di estrema destra, la quale in Giappone esiste ma che, dal punto di vista della politica concreta, ha un peso trascurabile. Dal 1955 in poi, il Jimintō ha governato ininterrottamente, tranne per una brevissima parentesi tra 2009 e il 2012, in cui al potere è andato il suo principale rivale, il Partito Democratico, o Minshūtō.

Esistono altri partiti, ma nessuno di essi ha mai avuto una reale possibilità di andare al potere se non come elemento marginale di una coalizione di governo. Questo significa, per cominciare, che il partito che governa in Giappone è essenzialmente lo stesso, e di conseguenza la linea politica rimane fondamentalmente identica, pur essendovi differenze nel modo in cui essa viene portata avanti.

In tutto questo, la figura del Sovrano è marginale. La Costituzione Giapponese lo ha spogliato di qualsiasi prerogativa tranne quella di essere il simbolo dell’unità della nazione. Il Sovrano non vota e non ha diritto di esprimere alcuna opinione o parere in merito a questioni politiche, al punto che quando il precedente sovrano, Akihito, abdicò, si dovette votare una legge apposta per concedergli il permesso di manifestare la volontà di abdicare.

Né l’Italia né il Giappone hanno limiti di legge per la durata in carica di un primo ministro. Eppure, dal dopoguerra a oggi, l’Italia ha avuto 30 primi ministri, il Giappone 34. Questo, più di ogni altro dato, rende l’idea di quanto instabile e volatile sia la politica di entrambe le nazioni.

In Giappone, è il partito che ha vinto le elezioni a scegliere al proprio interno il Primo Ministro. Se il Primo Ministro si dimette, come ha recentemente fatto Ishiba, non si va a elezioni generali: il partito propone un nuovo primo ministro, che viene votato dal parlamento.

Alcune precisazioni

Questa premessa è fondamentale per collocare la scelta di Takaichi Sanae nel contesto corretto. Le testate occidentali, specie quelle di un determinato orientamento politico, si sono immediatamente sperticate in lodi assortite e in sciocchezze varie sui “soffitti di cristallo”. In molte non hanno resistito a usare l’aggettivo “patriarcale” per descrivere un sistema in cui l’estensione del diritto di voto alle donne è divenuto legge nel 1945, lo stesso anno dell’Italia, sorvolando sulla realtà concreta dei fatti:

  1. Takaichi Sanae non è stata eletta dal popolo giapponese. È stata scelta dal proprio partito, i cui rappresentanti in parlamento sono prevalentemente uomini, battendo il Ministro dell’Agricoltura Koizumi Shinjirō, un uomo, con il sostegno di Asō Tarō, uno dei più importanti politici giapponesi contemporanei, e di Kishida Fumio, entrambi uomini con un passato da Primo Ministro.

  2. Il Giappone ha avuto otto sovrani donna nel corso della propria storia. La prima, Suiko, nel VI secolo d.C., e l’ultima, Go Sakuramachi, nel XVIII secolo.

  3. La prima Costituzione giapponese venne promulgata nel 1889 sul modello di quella britannica e prussiana. La legge salica, che stabilisce la successione solo per gli eredi maschi, venne importata dall’Europa.

È inoltre opportuno ricordare, malgrado l’assoluta separazione tra politica e religione shintō imposta nel dopoguerra, che il vertice del pantheon dello shintō è Amaterasu Ōmikami, un’entità femminile, e che il capolavoro della letteratura giapponese, il Genji monogatari, fu scritto dalla dama di corte Murasaki Shikibu intorno all’anno 1000, quando in Giappone il cristallo non esisteva ancora.

Meglio le donne?

Gli osservatori più attenti hanno presto ridimensionato il loro entusiasmo non appena scoperto che Takaichi Sanae ha come modello Margaret Thatcher. La prima donna ad essere primo ministro del Regno Unito presenta un problema spinoso per i fautori, e le fautrici, della banale e insipida retorica del “maschi contro femmine”, coloro che gioiscono per l’elezione di Takaichi Sanae non per i suoi meriti o le sue capacità, ma perché si tratta di una donna. Tra di essi c’è anche una nota autrice italiana residente in Giappone, che su Facebook ha dichiarato, con singolare acume politico: “bene che sia una donna. Per l’operato, vedremo”. Non ci vuole molto a capire che una frase del genere, in bocca a un uomo e rivolta a un uomo, avrebbe scatenato proteste da tutte le parti. Lo trovo uno strano concetto di “equità”.

Margaret Thatcher, la “lady di ferro”, non è molto amata dai fanclub dei soffitti di cristallo, per via delle sue scelte politiche che sembrano in qualche modo contraddire l’assunto secondo il quale le donne, per il solo fatto di essere donne, “governano meglio” e “non fanno la guerra”. I lavoratori inglesi ricordano non proprio affettuosamente la gestione della spesa pubblica di Margaret Thatcher e la sua decisione di mandare la flotta britannica a combattere, e sconfiggere, le forze armate argentine nella Guerra delle Falkland.

Non si tratta di un caso isolato. Golda Meir, l’unica donna primo ministro nella storia del Medio Oriente, lanciò l’operazione “Ira di Dio” in risposta alla Strage di Monaco perpetrata dai terroristi palestinesi di Settembre Nero durante le Olimpiadi del 1972 e guidò Israele durante la Guerra dello Yom Kippur del 1973. La donna ad avere guidato la più grande democrazia in Asia, Indira Gandhi, fu responsabile dell’Operazione “Blue Star”, che nel 1984 trasformò il luogo più sacro della religione Sikh, il Tempio d’Oro di Amritsar, in un campo di battaglia. Benazir Bhutto, la prima donna primo ministro del Pakistan, sostenne fortemente il programma di armi atomiche venne rimossa dal potere due volte per accuse di corruzione.

Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991 ed eroina della lotta non violenta per l’indipendenza del Myanmar, ha liquidato con poche parole l’uccisione di decine di migliaia di persone e l’espulsione di 700.000 musulmani Rohingya dal Myanmar nel 2017, azioni che l’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani ha descritto come “un esempio da manuale di pulizia etnica”.

Park Geun-hye, la prima donna a ricoprire la carica di Presidente della Repubblica in Corea del Sud, è stata rimossa dalla Corte Costituzionale nel 2017 a seguito di un gigantesco scandalo per corruzione che coinvolgeva la sua amica e confidente Choi Soon-sil, la cui madre Choi Tae-min, fondatrice della setta “Chiesa della Vita Eterna”, era la guida spirituale della presidente Park. È stato appurato, tra l’altro, che Choi Soon-sil esercitava una influenza enorme su diversi apparati dello Stato pur non avendo alcun incarico ufficiale, colossi finanziari come Samsung e Hyundai sono stati obbligati a elargire donazioni a enti controllati da lei e che, cosa forse ancora più grave, la residenza ufficiale del Presidente della Repubblica Coreana, la Casa Blu, è stata usata dalla madre di Choi Soon-sil per compiere riti sciamanici.

Nel 2024, il primo ministro del Bangladesh Sheikh Hasina è stata cacciata dal paese a seguito di un’insurrezione guidata dagli studenti che protestavano contro un sistema clientelare e contro l’uso della forza per reprimere il dissenso.

Allo stesso tempo, vi sono esempi di leader virtuosi, sia uomini che donne, in ogni parte del mondo. È dunque tempo di lasciarsi alle spalle la retorica del “maschi contro femmine” e gli indifendibili preconcetti sul fatto che le donne governino meglio “perché sono donne”, a cui un certo discorso politico ha tentato di abituarci in anni recenti, così come gli altrettanto indifendibili assunti che gli uomini siano politici più capaci “perché sono uomini”, e di concentrarci su quello che importa davvero: la competenza e la fibra morale di un rappresentante eletto, uomo o donna che sia.

Chi è Takaichi Sanae

Takaichi Sanae è nata nel 1961, si è laureata in economia aziendale a Kobe, ed è entrata in politica nel 1993, quando è stata eletta alla Camera dei Rappresentanti. È stata Ministro due volte, occupandosi di Affari Interni e Comunicazioni dal 2014 al 2017 nel governo guidato da Abe Shinzō, e di Sicurezza Economica sotto il Primo Ministro Kishida Fumio dal 2022 al 2024. Si tratta quindi di una donna politica esperta, che ha già ricoperto ruoli di responsabilità e che vanta ottimi contatti con figure di spicco della politica giapponese contemporaneo: Asō Tarō, da molti considerato colui che tira le fila del Partito Liberal Democratico, e Abe Shinzō, che ha guidato il Giappone per due volte ed è stato assassinato nel 2022 in circostanze ancora non del tutto chiare.

C’è un punto che sfugge spesso agli osservatori occidentali e che è bene chiarire. In Giappone, quasi niente dipende esclusivamente dall’individuo: è la relazione all’interno del gruppo che genera la forza e l’autorità dell’individuo. Leggere l’elezione di Takaichi Sanae come il trionfo di una persona sola, uomo o donna che sia, che supera ostacoli impossibili con la pura forza di volontà, significa proporre una narrazione disonesta da film hollywoodiano, senza per questo voler togliere nulla alle qualità e all’ esperienza dell’attuale Primo Ministro.

Il programma di governo

Takaichi Sanae è stata attaccata perché ha nominato due ministri donne sui 19 posti disponibili, come se il problema di fondo fosse, di nuovo, che i ministeri non sono ripartiti equamente tra “maschi e femmine”.

Personalmente, trovo più opinabili alcune delle scelte contenute nel suo programma di governo, in primo luogo la riforma dell’Articolo 9 della Costituzione, con cui il Giappone ripudia la guerra, e l’apertura alla possibile acquisizione di sottomarini nucleari. Poiché ero in Giappone durante l’incidente al Reattore di Fukushima Daiichi, ho sentimenti contrastanti verso l’energia nucleare, cosa sulla quale Takaichi Sanae afferma di voler puntare.

Sul piano dell’immigrazione, Takaichi Sanae promette controlli più stringenti sia sui visti che sugli investimenti stranieri e qui, pur essendo io stesso uno straniero che verrà inevitabilmente coinvolto dai fastidi di questi nuovi controlli, mi trovo d’accordo. I giapponesi hanno sempre avuto un rapporto che potremmo definire ambiguo con le “persone di fuori”, fin da quando la flotta del Commodoro Perry si presentò nella Baia di Tōkyō nel 1853 pretendendo l’apertura di relazioni commerciali con gli Stati Uniti. Mentre lavoravo in Giappone ho vissuto sulla mia pelle sia il razzismo che il bullismo, ma nel complesso posso dire che si sia trattato di fenomeni marginali, anche se incredibilmente spiacevoli. Ho sempre cercato di essere il più scrupoloso possibile nell’osservare le regole, anche quando non le condividevo.

Le cose, tuttavia, sono cambiate. Il numero di stranieri residenti in Giappone è aumentato sensibilmente, benché non ai livelli che abbiamo in Europa. La differenza rispetto all’Europa è che in Giappone non c’è alternativa accettabile se non adeguarsi alle consuetudini locali, sulle quali non c’è margine di trattativa. Non tutti gli stranieri lo fanno, e di conseguenza il sentimento anti-immigrazione è in crescita.

Takaichi Sanae afferma di voler spingere sulla famiglia, sull’identità nazionale a discapito delle politiche di “equità di genere” radicali, ma questo è da leggere nel quadro della natura del rapporto del Giappone con l’esterno. Fin dall’inizio della sua storia, il Giappone ha alternato periodi di apertura e di chiusura, di innovazione e di riflessione. La sensazione di molti giapponesi, uomini e donne, è che ci si sia spinti troppo oltre nell’apertura verso ciò che viene dall’esterno, e che sia ora necessario concentrarsi sugli interessi e sui valori della nazione giapponese.

In conclusione

Come ha detto l’autrice italiana citata nell’articolo, avremo modo di vedere se le azioni di Takaichi Sanae saranno all’altezza della sua visione e delle sue ambizioni. Nel frattempo, la superficialità delle reazioni che ho visto sulla stampa italiana mi sembrano indicare, una volta di più, che è ora di restituire alla parola “politica” il suo significato originale, né di abbracciare l’idea che sono le azioni di una persona, non il suo corredo cromosomico, a determinarne il valore.