Milano è donna, Milano al femminile e Donne della cura è la trilogia, curata da Luisa Mariani e Giovanni Zaccherini per la JacaBook, che incontra e interroga le donne milanesi che, tra le altre, si distinguono per il loro impegno lavorativo, per la passione con cui vivono e interpretano la loro professione lasciando un segno significativo nella città.
Il terzo libro pone attenzione e vuole evidenziare le donne che, in modi e in ambiti diversi, si prendono cura di differenti aspetti della vita, avendo a cuore il buon vivere, e ognuna di loro, secondo la propria specificità e la propria “vocazione”, si sta dedicando con impegno commovente per la realizzazione di questo obiettivo. Scegliendo l’aspetto dell’avere cura si è intrinsecamente colta e sottolineata la quintessenza dell’essere femminile.
Il prendersi cura è intimamente legato all’essere donna, alla sua funzione contenitrice e nutritiva a cominciare dalla biologia della funzione generativa.
A partire infatti dall’esperienza materna, il prendersi cura, inteso primariamente come vicinanza fisica ed emotiva, rimane integrato nella comprensione di quello che significa essere donna.
L’associazione tra il prendersi cura e l’essere donna non è … una conseguenza di determinati modelli sociali o stereotipi culturali, bensì la causa di questi.
(Teresa Forcades, monaca benedettina)
Le donne che curano esplicano in maniera mirabile, senza arrendersi, fiducia e speranza nel loro operare, spendendosi con una abnegazione che lascia senza parole, totalmente immerse nel compito che si sono date, pienamente “devote” alla realizzazione della loro missione, proprio come madri attente e amorevoli e, in questo assetto che le connota, si legge la predisposizione alla cura.
La cura per ogni cosa è l’acqua salata: sudore, lacrime e il mare.
(Karen Blixen, 1934)
In questo sale curativo, a cui aggiungerei anche la qualità della sapienza, riconosciamo la fatica, la sofferenza e il fervore delle donne che abbiamo incontrato e che ci hanno raccontato con passione come hanno idratato e nutrito con le loro “acque sapide” tanti ambiti della vita che necessitavano una presenza curativa per l’aridità in cui erano incistati e per cui rischiavano di morire.
Le donne presenti nel libro secondo Giovanni Zaccherini sono quindi: “Qualunque donna abbia dato il suo contributo nel mondo della salute-cura all’interno delle mura di Milano...”
E allora ecco donne medico, psicoterapeute, osteopate, infermiere, logopediste, psicomotriciste, veterinarie, farmaciste, ma anche criminologhe, giuslavoriste, insegnanti, poliziotte, avvocate, studiose dell’alimentazione, veramente difficile citarle tutte nella loro specificità, ma tutte aventi in comune la passione per l’altro, la difesa del diritto di vivere una buona vita, dello stare bene a tutti i livelli e tutte pronte a mettersi in gioco personalmente consapevoli che solo essendoci veramente e creando relazioni sia possibile generare cambiamenti e avvicinarsi ad obiettivi anche pretenziosi.
Sono tutte donne con esperienze di grande professionalità e umanità, davvero in trincea nel prendersi cura del male del vivere coniugato nelle più disparate situazioni, anche estreme.
Nelle loro storie si coglie una grande passione per la vita, per le persone, per il sociale e una devozione commovente, una dedizione senza risparmio, che sorprende.
La serietà di formazione e la professionalità ad altissimo livello offrono la rassicurante sensazione del potersi affidare a loro, di essere in mani buone e competenti. Offrono un grembo mentale e sociale che custodisce, protegge, ha cura.
Ogni intervista è una storia personale e sociale, e ogni storia testimonia come nella relazione sia possibile la germinazione di nuove impensabili possibilità.
Non posso non pensare alla generazione di una sorta di campo di intervento co-creato che dà nuova vita, che apre a nuove strade e mi sembra pertinente la metafora di Paola Camassa quando parla di “una raffinata placentologia” alludendo ad un’area del ”campo” co-costruita dai soggetti in relazione.
E “relazione” è la parola chiave per germinare il nuovo.
Ed è solo entrando in relazione, appunto, con le esperienze delle “donne della cura” che si può cogliere la complessità e la straordinaria magnificenza del loro lavoro, lavoro in cui tutte si spendono senza risparmio per la realizzazione di un sogno, mettendo in campo intelligenza, sapienza, creatività e fantasia. E non da ultimo il coraggio di sperimentarsi nel nuovo.
Le loro storie ci permettono di intravedere come abbiano messo a disposizione la loro vita, proprio come eroine moderne appassionate della loro impresa, fedeli ad un ideale ed è anche notevole come generosamente e con fiducia ne abbiano lasciato traccia nelle pagine del libro.
Leggerlo è un’emozione.
Suscita stupore, ammirazione, quasi incredulità.
Per averci permesso di entrare nella loro esperienza, affidandoci i loro pensieri che, mi piace pensare, abbiano trovato una buona ospitalità, siamo profondamente grati.
E, dulcis in fundo, l’immagine di copertina che, in realtà apre e dà identità al libro.
Si tratta di un particolare de “La Guerra e la Pace” di Picasso dipinta su pannelli di isorel, che ricoprono le pareti della cappella romanica del castello di Vallauris, in Provenza.
Siamo nel 1950, in piena guerra di Corea e Picasso milita nel Movimento per la Pace, il suo sogno è trasformare la cappella, allora in stato di abbandono, in una sorta di Tempio per la pace.
Un’opera colossale, drammatica nell’illustrazione di un panorama politico-sociale in guerra, purtroppo così sorprendentemente attuale, sovrapponibile al periodo che stiamo vivendo, così come squisitamente significativa è la scelta del particolare che è diventato la copertina del libro.
Si tratta di una figura femminile che Picasso situa nella parte destra della sua opera, spazio dedicato alla pace, sottolineando come il femminile sia all’insegna della pace, della vita come forza contro la guerra, contro la morte.
I colori sono qui vivacizzati come per rendere ancora più forte e vitale il messaggio di tensione verso la vita, coniugandosi quindi puntualmente con il contenuto del libro dove il personaggio principale è il senso della cura, la funzione riparativa, l’aver a cuore il buon vivere.
Immagine altamente significativa, direi poeticamente significativa che canta lo spirito fantasioso, gioioso e curativo del femminile incarnato nel libro dalla preziosa testimonianza di vita delle donne che lo creano abitandolo.
La donna-della-pace si impone con energia, con vigore, i colori forti rivelano la vivacità del mondo interno che riverbera all’esterno: sangue, viscere respiro è tutto lì proteso ad abbracciare, a contenere, ad espandersi, è un movimento vitale, danzante, leggero e al contempo sostanzioso, nutritivo, è una presenza che accoglie e che dà, una presenza che permette l'interscambio tra un dentro e un fuori, un inno alla speranza, alla generativita’, alla riparazione, alla trasformazione.
Quale miglior antidoto alla distruttività, al male che avvelena la vita?
Che Picasso si sia ispirato alle “donne della cura” per dare vita al suo capolavoro?