Storicamente, l’immobiliare è stato il primo e il principale investimento degli Italiani già dai tempi del miracolo economico.
Varie le ragioni: scarsa redditività delle obbligazioni (con l’eccezione degli anni ’80); scarsa affidabilità dei titoli a rischio (con la parziale eccezione dei “cassettisti” che comprano azioni e poi se le dimenticano nel cassetto); scarsa sicurezza del materasso; rimane il mattone.
L’Italia è l’unico Paese al mondo in cui non solo i ricchi o benestanti e la classe medio-alta, ma anche gli operai e gli impiegati si sono potuti comprare la prima casa e, a partire dagli anni ’70 e fino ai ’90, anche una seconda casa al mare o in campagna.
Dopo gli anni ’90, come è noto, le cose hanno cominciato a peggiorare, parallelamente all’affermarsi della cosiddetta finanziarizzazione dell’economia che ha diviso nuovamente la classe media tra lavoratori e benestanti, concentrando la ricchezza su questi ultimi e sottraendone ai primi.
L’inflazione nascosta (introduzione ed aumento di spese crescenti a livello assicurativo, condominiale, fiscale, ecc.) ha notevolmente compromesso la condizione dei proprietari – soprattutto piccoli – nonostante il superamento dell’equo canone che aveva più che altro favorito il sommerso.
Le stesse famiglie che erano riuscite a comperare appartamenti da affittare e, con l’affitto, a pagarci il mutuo, si sono trovate dopo gli anni ’90 a non disporre di abbastanza risorse per procedere alla ristrutturazione degli appartamenti stessi; pur con l’importante eccezione di chi è riuscito a trasformare le case in B&B o simili (fenomeno che ha avuto il suo boom fino alle restrizioni pandemiche le quali hanno messo in crisi sia il turismo locale che quello a medio/lungo raggio).
Oggi la situazione del risparmio appare particolarmente difficile: 1. I costi di manutenzione e ristrutturazione degli immobili non incontrano più le disponibilità liquide dei proprietari (una bella eccezione sarebbe stata il credito d’imposta al 110%, ma, dopo una promettente partenza, gli stessi politici hanno ingarbugliato tutto).
Affittare è sempre più rischioso perché è facile, per l’inquilino, perdere il reddito o ammalarsi gravemente in assenza di un’assicurazione pubblica al proposito.
Le tasse sulle case e, soprattutto, i costi fiscali e notarili dei passaggi di proprietà scoraggiano le transazioni.
I titoli a rischio consentono buoni guadagni, ma, se non si vende o diversifica al momento giusto, si perde tutto o quasi molto facilmente (gli operatori finanziari suggeriscono scelte sulla base delle indicazioni dei massimi esperti internazionali in materia che il, più delle volte, si rivelano del tutto errate).
I titoli non a rischio e i depositi assicurano guadagni nettamente negativi rispetto all’inflazione (anche quando essa era molto bassa).
Rimangono i beni rifugio (soprattutto, ormai, l’oro e gli altri metalli preziosi)… ma non è tutto oro quello che luccica!
Tutti i sei aspetti precedenti dovrebbero, però, venir rivisitati e possono esserci buone prospettive nei vari campi: ma bisogna essere accorti, fortunati e seguiti da veri esperti che non scappino via al primo rovescio.
Rimanendo nel campo immobiliare, dunque, cominciamo col chiederci perché Blackrock (una delle principali entità finanziarie del pianeta) abbia destinato 5.000 miliardi di dollari ad acquisti di terreni e altri immobili in Italia. Da noi la situazione appare sempre più disastrosa e legata all’economia per cui si stima che oltre 400.000 persone o famiglie siano destinate a perdere la casa: perché perdono il lavoro e non riescono più a pagare il mutuo e altri debiti, o perché il costo del mantenimento dell’immobile supera i loro redditi.
Col sistema delle aste immobiliari i creditori recuperano una percentuale modesta ma, se si tratta di banche, cancellano dal passivo le sofferenze e aumentano l’attivo del realizzato; così, i vari Blackrock di turno offrono attorno al 20% del valore i blocchi di immobili e consolidano i propri bilanci contabilizzando dal 40 al 70% degli stessi dopo aver sottratto il citato 20%.
Se li reimmettessero in blocco sul mercato, registreremmo un ulteriore crollo dei valori immobiliari stessi.
Credo che il futuro dell’immobiliare in Italia veda un vero e proprio movimento di risparmiatori e di proprietari che convogliano i loro asset in iniziative che abbiano una loro valenza strategica; ma sono asset non solo i danari, le case e i terreni, ma anche i talenti di ciascuno.
Quindi, muoversi nel senso delineato nel testo, mi pare una prospettiva notevole, soprattutto se si aggiungono altri importanti aspetti, come investimenti (ovvero disinvestimenti e nuovi investimenti) collettivi in cui sia fondamentale la strategicità del recupero di un borgo, di un’area ecologicamente sana, della formazione di comunità autosufficienti dove impegnarsi a tutti i livelli, compresa la parte meno attiva della vita stessa.
Un aspetto altresì importante riguarda la redditività degli investimenti, finora calcolata esclusivamente in moneta (in percentuale dell’investimento stesso), ma che potrebbe riguardare servizi e beni approntati dalla comunità che consentono l’incontro tra la domanda di essi e l’offerta di capacità professionali e produttive da parte di altri partecipanti all’iniziativa.















