La seconda guerra mondiale per l’Italia finì sulla carta il 29 aprile 1945, quando alla Reggia di Caserta venne firmata la resa che prese il nome dalla località (Resa di Caserta) dove si era acquartierato il comando alleato in Italia, su un atto detto “Strumento di resa locale delle forze tedesche e delle altre forze poste sotto il comando o il controllo del Comando tedesco Sudoccidentale”. La resa incondizionata avvenne alla presenza dei delegati inglesi, statunitensi, tedeschi e di un sovietico che fungeva da osservatore, essenzialmente per garantire che l’accordo non fosse politicamente contro il suo Paese. La resa sarebbe diventata operativa il successivo 2 maggio. Non essendo stato riconosciuto il governo della Repubblica Sociale Italiana, il ministro della Difesa della stessa, Rodolfo Graziani, firmò una delega per i rappresentanti tedeschi.
L’accordo non avvenne in modo semplice e lineare come si potrebbe pensare, supponendo che ormai la Germania avesse accettato la necessaria fine delle ostilità. La firma italiana avvenne a seguito di lunghe, e a tratti estenuanti, trattative in quella che viene ricordata come “Operazione Sunrise”, spesso considerata secondaria o addirittura adatta ad una sceneggiatura cinematografica, ma in effetti un lungo lavoro di spionaggio e di politica a cui avevano lavorato molti personaggi, con l’approvazione del Vaticano e del CLN. I due più coinvolti erano Karl Wolff, generale delle SS plenipotenziario militare nell’Italia occupata dai nazisti, e l’agente americano Allen Dulles che apparteneva all’OSS, con sede in Svizzera.
Lo scopo era negoziare la resa separata delle forze tedesche presenti in Italia e possibilmente anche quella delle forze fasciste loro alleate. Molti ufficiali tedeschi premevano per una soluzione che desse alla Germania l’onore delle armi (punto che sarà saliente nella trattativa, ma non accettato soprattutto da Churchill), convinti che non ci fosse soluzione militare per il proprio Terzo Reich. Himmler (e forse anche Hitler) era al corrente delle trattative, e le aveva autorizzate, con lo scopo principale di rallentare le operazioni in attesa delle armi segrete su cui Hitler contava o, nel prosieguo della situazione, di diventare quel nodo strategico indispensabile per la pace in Europa, constatando la tensione tra Stati Uniti e Unione Sovietica che non potevano trovarsi d’accordo, come bene Hitler aveva capito.
Le stesse trattative dell’Operazione Sunrise, di cui Stalin era parzialmente al corrente, avevano escluso i sovietici, inasprendo i rapporti tra angloamericani e Unione Sovietica, e addirittura arrivando a pensare di concluderle proprio per non rendere ancora più tesi i rapporti con l’attuale alleato sovietico. L’idea di diventare l’ago di una bilancia ormai distrutta da parte del dittatore tedesco fece rischiare il naufragio definitivo dell’Operazione Sunrise, perché gli alleati consideravano che Wolff fosse solo comandato di prenderli in giro. Tuttavia egli continuò ad essere l’interlocutore dei nemici per arrivare ad un accordo che, per le lungaggini varie, si trovò alla firma quel 29 aprile, quando Mussolini era già stato ucciso e ormai per il Terzo Reich non c’era più speranza di ottenere voce in capitolo alle condizioni di resa.
Un ufficiale delle SS, Dollmann, con la mediazione del barone Luigi Parrilli, che manteneva rapporti con i servizi segreti, iniziò trattative separate per la gestione della resa. Wolff, Rahn (plenipotenziario del Reich in Italia), Zimmer delle SS e Harster in rappresentanza di Kaltenbrunner, si riunirono a Desenzano per considerare l’invio di una missiva al servizio segreto statunitense stanziato in Svizzera. Le trattative erano ostacolate dal diniego inglese che non avrebbe mai concesso una resa condizionata ai nazisti, né tanto meno si lasciavano incantare da promesse di non resistenza e di apertura alle armate alleate in Italia; allo stesso tempo vere e proprie trattative non sarebbero mai state organizzate nemmeno dagli americani.
Per saggiare la buona disposizione nazista, venne chiesta la liberazione di due importanti prigionieri: Ferruccio Parri e Antonio Usmiani, che in effetti vennero rilasciati l’8 marzo. Wolff mise al corrente Kesselring delle trattative in atto per convincerlo ad arrendersi, mentre Mussolini non venne avvisato. Sul tavolo degli accordi c’erano anche le industrie italiane che dovevano essere preservate, così come le dighe e le centrali elettriche: molti siti erano già stati minati e il rischio di vedere saltare tutto in aria era reale. Gli eventi presero un andamento concitato, per la sostituzione dei comandanti e per la pressione reciproca, peggiorata dall’informativa ai sovietici sugli accordi in corso, dei quali questi ne chiesero l’immediata cessazione.
Dopo i drammatici fatti della consegna di Graziani agli alleati e della morte di Hitler, Kesselring non era ancora d’accordo ad arrendersi e Wolff lo convinse in tempo per rispettare il cessate il fuoco del 2 maggio, iniziato alle 14 del giorno stesso. La guerra in Italia era finita davvero.