Perciò si proclami per noi solo e vero imperatore
colui che è caro a Dio che regna su tutto, colui che solo è libero

(Eusebio di Cesarea, Discorso per il trentennale)

Non è possibile certamente sintetizzare in poche pagine la ricchissima arte visiva del periodo costantiniano, argomento che va lasciato agli esperti, ma uno scenario culturale può e deve essere meditato per chi ama l’iconologia, e merita ancora attenzione la posizione di una semplice domanda, spesso elusa: il “nuovo” sentire cristiano di cui Costantino diventa icona in che rapporto si pone con i linguaggi artistico/estetici? Sorgono già allora nuovi scenari? La risposta l’ho sintetizzata nel titolo di questa mia breve riflessione: una rivoluzione che è spirituale e iconologica prima ancora che iconografica e stilemica.

Per capirla dobbiamo accennare all’essenza della novità di Costantino quale primo imperatore cristiano. Questa profonda novità ce la riassume efficacemente Eusebio di Cesare nel suo celebre “Discorso per il trentennale”. L’incipit di Eusebio è già rivoluzionario in quanto taglia radicalmente con le “favole” del passato allontanandosi dalla retorica del mito (ma che allora era ancora religione, anzi era la Tradizione di Roma) per ribadire lui stesso l’elemento della novità:

Sono venuto a celebrare tra voi le lodi regali con un canto più nuovo. Ascoltiamolo in alcuni brevi passi: L’anima del sovrano possiede la sapienza di ciò che concerne il divino e di ciò che riguarda l’umano (…) A questo Grande Re scioglie inni il nostro vittorioso sovrano, perfettamente convinto che costui è l’autore del suo regno (…) Ebbene può chiamarsi veramente sovrano colui che rappresenta nell’anima l’imitazione del regno superno con virtù regali. Colui che invece si è allontanato da tali cose e rinnega il Re universale (Dio) e non conosce il Padre celeste nè ha il decoro conveniente ad un sovrano (…) in verità potrebbe chiamarsi tiranno.

Sembra che nulla cambi nel panegirico pro imperatore rispetto alla simile e precedente retorica imperiale precristiana e invece si è effettuato un capovolgimento epocale, cosmico, “copernicano”, grazie alla novità dirompente e creativa del Cristianesimo. L’imperatore cioè non è più sacro in quanto imperatore, per un diritto divino innato, dinastico, quasi funzionale, ma è sacro, è cioè inserito in un Disegno provvidenziale in quanto serve un Ideale, in quanto ha interiorizzato la Fede. L’imperatore è sacro, l’Imperatore è Imperatore in quanto cristiano. La scelta individuale di credere a Cristo lo rende degno di un ruolo di servizio che solo da Cristo riceve legittimità. Per la Tradizione di Roma invece, come per tutti gli Imperi non cristiani, l’Imperatore è tale o perché figlio di Imperatore, o perché accettato come tale dal Senato/Popolo/Esercito e/o perché la sua vittoria militare ha dimostrato, come in un’ordalia, che gli Dei approvavano il suo potere.

Non c’era un vero rapporto spirituale/interiore fra l’Imperatore e il pantheon pagano ma una semplice compresenza in un ordine religioso formalistico e legalistico dove dominava il “do ut des” anche nel rapporto con il Cielo. Quando l’eroico Germanico cadde in battaglia contro i barbari il popolo di Roma, che lo amava, distrusse alcuni templi per sfogare la sua rabbia in quanto gli dei non lo avevano protetto nonostante i sacrifici! Costantino facilita e permette invece una conversione del potere verso una sana laicità, verso un nuovo concetto di sacralità. Il potere imperiale e l’Imperatore stesso con l’Editto di Milano del 313 fanno un passo indietro e riconoscono che i mondi divini non sono oggetto di monopolio o egemonia imperiale.

L’Impero si piega alla libertà religiosa di tutti i suoi sudditi, riconosce che esiste qualcosa di divino che lo precede, che esiste indipendentemente dall’Impero stesso il quale non è sacro in se stesso e, quindi, non può ergersi autonomamente al di sopra dei culti. I due ambiti sono per la prima volta chiaramente distinti ed è proprio la “salute pubblica” l’anello di congiunzione fra l’Impero e la libertà e il rispetto di tutti i culti verso Dio. Recita il provvedimento di Costantino e di Licinio (Milano, febbraio 313): Noi, dunque Costantino Augusto e Licinio Augusto, essendoci incontrati proficuamente a Milano e avendo discusso tutti gli argomenti relativi alla pubblica utilità e sicurezza, fra le disposizioni che vedevamo utili a molte persone o da mettere in atto fra le prime, abbiamo posto queste relative al culto della divinità affinché sia consentito ai Cristiani e a tutti gli altri la libertà di seguire la religione che ciascuno crede, affinché la divinità che sta in cielo, qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità.

Non solo: Costantino distinguerà, e non solo per prudenza e furbizia, fra il Cristianesimo quale religione dell’Imperatore e l’Impero in se stesso considerato. Prova ne è che non ci fu alcuna persecuzione antipagana e la monetazione statale rimase in gran parte inalterata, così come le tradizioni religiose pubbliche, tranne per l’aruspicina. Costantino non partecipava pubblicamente a sacrifici cruenti agli Dei ma non li proibì. Con Costantino il potere miracolosamente si autodelimita. Non capita nella storia quasi mai!

Roma va avanti nel suo progresso e al contempo recupera il suo migliore spirito originario, universale, cattolico ante litteram tanto che con Tiberio l’Impero voleva già accogliere il nuovo Cristianesimo nel pantheon romano ma il retrivo senatoconsulto del 35 d.c. lo impedì. Tutto ciò sembra che non abbia connessione con l’arte e invece il rapporto fra idea del potere e idea dell’arte è intimo e strettissimo, e foriero di conseguenze per secoli, per millenni. Non solo perchè il potere funge da modello di valore, direttamente o indirettamente per l’arte, gli artisti e i committenti, ma pure per altre ragioni fra cui il suo favorire l’inculturazione del Cristianesimo nella romanità e la stessa permissione politica di una fioritura artistica cristiana.

Il Cristianesimo infatti nasce artistico già nelle catacombe, in un contesto quindi drammaticamente politico. Senza Costantino non avremmo potuto avere il “Poema vangelico” di Aquilino Giovenco che mette in versi tutti i quattro vangeli dandone una versione sinottica e “romana”, fedele e creativa nel contempo. L’effetto costantiniano sull’architettura celebrativa è immediato e infatti l’arco di Costantino, l’ultimo di Roma, intelligentemente e innovativamente rappresenta il primo monumento laico della storia. I riferimenti alla Tradizione religiosa di Roma vengono attenuati ad allegorie di potere e l’unico riferimento religioso testuale è un riferimento ingegnosamente ecumenico, amplissimo, in quanto si limita ad un accenno all’ “ispirazione divina” che ha mosso Costantino e gli ha ottenuto la gloriosa vittoria su Massenzio. In questa “ispirazione” potevano così riconoscersi sia i sudditi romani cristiani che i sudditi romani tradizionalisti. Il primo monumento che si limita a raccontarci la storia di una nazione quanto un trionfo personale, individuale, senza voler imporre alcuna fede o pensiero. Un altro effetto del cristianesimo di Costantino è dato dall’innovazione organizzativa e linguistica dell’apparato amministrativo.

Nascono nuove figure, nuovi nomi come il comes rerum privatarum ("ministro degli affari privati"), che si occupava di gestire il patrimonio privato dell'imperatore, il praepositus sacri cubiculi ("preposito del sacro cubicolo"), una sorta di gran ciambellano che si occupava della vita della corte imperiale, e i due comites domesticorum ("ministro dei domestici"). I tre alti funzionari a cui competeva l'amministrazione dello Stato erano: il magister officiorum ("maestro degli uffici”), il quaestor sacri palatii ("questore del sacro palazzo"), il comes sacrarum largitionum". La figura del “conte”, cardine del sistema feudale e medioevale, deriva dal comes costantiniano e così la stessa istituzione della cavalleria cristiana deriva dai nuovi Equites aurati creati dal nostro. Nasce per la prima volta la nuova essenziale distinzione fra corte e Impero, fra Imperatore e Stato, che continua ancora oggi ad esempio nella distinzione fra patrimonio della Corona inglese e patrimonio pubblico, e rappresenta un cardine di giustizia e di civiltà.

La riforma costantiniana lascerà il segno fino a Carlo Magno, che ne farà tesoro. Nell’arte visiva compaiono nuovi simboli come il celebre “Crismon”, dato dall’incrocio della C (X) e della Rho (P) greca che coincidono con le prime lettere del nome: Cristo. Il simbolo è un simbolo che unisce semplicità a complessità e si mostra strutturalmente performativo e di massimo valore universale e cosmico. Non a caso in alcune versioni viene arricchito dall’alfa e dall’omega, come nello stupendo esempio del monogramma cristico dei Musei Vaticani (inv. 31550) dove il segno è contornato trionfalmente dalla corona di lauro e rose.

La corona del trionfo imperiale si unisce alla croce: il potere si spiritualizza e lo spirito si storicizza ottimisticamente. Ecco la rivoluzione del Cristianesimo nell’arte. Il Crismon dimostra che grazie al Cristianesimo nasce una nuova epoca caratterizzata da una nuova teologia, da una nuova filosofia del segno.

Nel Crismon fatto e simbolo convivono, in quanto questo segno solare e irradiante, questa indicazione di armonico trionfo rappresenta sia un riassunto del cosmo che un glifo cristico e pure il ricordo storico della vittoria di Costantino. La storia si trasfigura in sacralità, in simbolo spirituale. Nel Crismon la religione si manifesta, sia in se stessa che nell’alleanza con il potere, non più ripiegata nella celebrazione dei fasti del’antico ma invece proiettata verso un futuro di progresso.

L’allegorica e intellettualizzante religione di Roma (ma era già esplicitamente così con Plutarco e Giamblico) evapora di fronte alla potenza filosofica e mistica del Cristianesimo il cui simbolo pubblico occidentale, la Croce cosmica del Crismon, unisce metafisica a concretezza, precisione ad apertura semantica. E’già un’icona diacronica, trascendente e storica, immanente e mistica. Mirabile anche il Crismon del Sarcofago del’anastasis con gli apostoli (Musei vaticani) dove due colombe si avvicinano al segno cristico ferme ai suoi lati, come pure il Crismon dell’Epitaffio di Siddi (Musei Vaticani) ove abbiamo due colombe ai lati del nostro segno, come sono e saranno i cervi e i pavoni rispetto ai vasi e alle fontane cristiche ed eucaristiche di più di mille anni di successiva storia dell’arte cristiana che trova nel periodo costantiniano la sua freschissima radice.

Grazie alla libertà costantiniana compaiono le prime terracotte cristiane di uso comune, domestico, dove compare il typos del martire. Un romano non cristiano non avrebbe mai contaminato il suo vasellame con decorazioni di cadaveri, vittime, morituri. Il cristianesimo durante Costantino introduce questo epocale ribaltamento: la vittima diventa eroe, lo sconfitto icona, il debole modello di virtù e al vittorioso carnefice viene riservata quella damnatio memoriae che prima il potere, anticristiano, riservava agli sconfitti, fra cui i cristiani stessi perseguitati a tal punto da dover vivere nei cimiteri. Ricordiamo la coppa con scena di damnatio ad bestias del Museo Nazionale Romano e la coppa con martire fra due leoni del Romisch-Germanisches Zentralmuseum di Mainz. Se cambia il rapporto fra il potere e la propria rappresentazione e fra la spiritualità e il potere assistiamo ad un mutamento, sempre per inculturazione del Cristianesimo, anche nella declinazione semantica dello spaziotempo.

Nel vetro dorato con figura di Cristo del British Museum un Gesù giovane tiene il centro della scena. Il nome Cristus viene articolato in un Cris a sinistra e in un tus a destra della figura, come a descrivere un arco cosmico che attraversa il tempo e descritti negli spazi che si aprono fra i due quadrati, il più centrale ruotato, appaiono i quattro evangelisti, simili nel giovanile volto a Cristo stesso. Qui abbiamo un esempio illuminante di come il Cristianesimo crei una nuova geometria sacrale, simbolica e mistica, perfettamente scritturale e vangelica e nel contempo innovativa.

Il tema dei due/tre quadrati che formano figure che tendono al circolo e che formano stelle ad otto punte diventerà un topos delle arti in Occidente. Un altro meraviglioso esempio lo troviamo nella placchetta votiva con occhi in lamina d’oro della Fabbrica di san Pietro, che è stata giustamente presa a immagine della recente mostra su Costantino che si è tenuta a Palazzo Reale di Milano. La croce fra gli occhi è idea che proviene dal testo dell’Apocalisse di Giovanni e così dimostra il grado di notevole profondità a cui era già giunta la metabolizzazione interiore del Cristianesimo nell’arte già nei primi secoli. Ma la creatività cristiana del periodo costantiniano non si ferma a questo.

Lo stesso imperatore fu per sua vocazione un innovatore. Innova nel costume e nell’arredamento, introducendo toghe multicolori e uso abbondante dei mosaici, e innova pubblicamente anche con un nuovo rito sociale: l’Ippodromo della Nuova Roma, laicizzato nella sua essenza sportiva, assai simile all’attuale “teatro del calcio”. La fondazione della nuova capitale imperiale rappresenta un fatto rivoluzionario che ha conseguenze su tutta la storia mondiale. Per la prima volta viene fondata, pacificamente e senza alcuna motivazione evidente, una capitale imperiale che doveva rappresentare (e per molti rappresentò) l’incarnazione della Città Ideale, della Città di Dio, della Città Universale. Non a caso l’imperatore fece venire nella Nuova Roma statue, colonne, pietre, simboli, provenienti dalle principali città dell’Impero. Ecco nata la Città delle città, nuova Icona del nuovo Impero cristiano. Come non vedere in questo la vecchia Roma lasciata al Papa?

Se Lorenzo Valla il celebre “screditatore” del celebre documento “La Donazione di Costantino”, fosse stato meno chiuso nel suo intellettualismo e nel latino artificiale tipico di molti umanisti, (così lontano dal latino parlato e vissuto dal popolo e dalla Chiesa) avrebbe lui stesso capito che la sua “scoperta scientifica” non era così’ probante e così straordinaria. Valle chiamò “cittaduzza” la grande metropoli di Costantinopoli mai comprendendone l’immensa importanza geopolitica, spirituale e simbolica. Era normale per tutto il medioevo e fino all’invenzione della stampa, data la consumabilità della pergamena, riscrivere periodicamente i documenti più antichi.

Poteva quindi capitare che lo stesso testo fosse reso in un latino più consono a quello del tempo della riedizione del documento. Costantino ha parlato, rispetto al potere temporale della Chiesa e del Papa, non con documenti ma con un fatto inaudito e molto più eloquente delle carte: spostare la capitale dalla gloriosa Roma ad una nuova sede che la sostituisse. La Nuova Roma prende il posto di Roma prima ancora che nel potere politico (ormai risiedente in città come Nicomedia, Arles, Treviri, Milano) ancor di più nel ruolo simbolico di segno e garanzia dell’unità e della vitalità dell’Impero. Il potere temporale concesso al Papa era garanzia di una vera e neonata laicità. Da allora grazie a Costantino Roma si sviluppa e si rinnova come capitale spirituale, sacrale e artistica, e non più politica, del mondo.

Dante non apprezzò molto ma pure lui colse il segno simbolico, quasi provvidenziale, di un Impero che con Costantino torna all’oriente da cui proveniva secondo la Tradizione. Costantinopoli in effetti sorge non lontana da Ilio e da Ilio veniva la Gens Iulia secondo Cesare, Augusto e Virgilio. Esiste persino un racconto mitico della scelta del luogo dove edificarla. Costantino quale nuovo Romolo. Senza la potenza creativa del Cristianesimo questo non sarebbe stato possibile. Costantino diventa icona di unità e di mediazione: fra oriente e occidente, fra grecità e romanità, fra tradizione e innovazione cristiana. Anche nella monetazione si scorgono elementi di innovazione.

Il celebre follis conservato al British Museum con il labaro che innalza il crismon e con il serpente schiacciato a terra rappresenta il nuovo messaggio che trasfigura il simbolo/segno in racconto, e in un racconto archetipale di psicomachia, di vittoria metafisica. Per la prima volta il serpente diventa segno di oscurità, sconfitto dalla Luce. Nell’aureo di Costantino del Cabinet des Medailles di Parigi la scena sembra invece ancora canonica: l’imperatore ritratto accanto all’allegoria del Sol Invictus con la corona raggiata. Eppure anche in questo esemplare sembra respirarsi un’aria iconologica nuova: i profili non sono identici, l’imperatore è messo in primo piano rispetto all’allegoria, e l’immagine del Sol Invictus viene ripresa sullo scudo nella raffigurazione del suo carro.

La Tradizione gradualmente viene riposizionata riducendosi a decorazione, a mera cultura, mentre i sensi spirituali trovano luogo di incarnazione nel volto umano dell’imperatore. Altro parallelo sviluppo lo notiamo nel medaglione d’argento del Staatliche Munzsammlung di Monaco dove l’imperatore domina con il suo viso la scena mostrando segni di introspezione e individualizzazione psicologia. Costantino tiene le redini del cavallo e ci offre degli occhi misticamente cerchiati che ritorneranno tante volte nell’iconografia sindonica di Cristo. Ancora oggi in Sardegna, a Sedilo, si corre l’ “Ardia” (lat.: ardua), una gara equestre in onore di Costantino, mentre i nostri fratelli orientali lo considerano santo. L’ecumenica sacralità cristiana assorbì anche i giochi rituali antichi, così perpetuandoli, risacralizzandoli.