Sfondata ogni porta
abbattute le mura
è il cosiddetto Infinito
la nostra vera clausura?(Giorgio Caproni, Tre interrogativi senza data)
Il Niente è la forma della vita mistica
(Elémire Zolla, Che cos’è la Tradizione)
Non ci sarebbe abbastanza Io in noi
per abbandonare l’Io per amore…(Simone Weil, L’ombra e la grazia)
Quando entriamo in acqua senza sapere nuotare ci prende una sottile angoscia. Certe volte capita anche a chi sa nuotare. E il pesce tratto fuori dalla sua acqua muore nell’aria. Ogni creatura ha un suo ambiente di vita. Muore se si trae fuori da tale ambiente. Spiritus indica il vento, il respiro, il muoversi dell’aria. Un qualcosa di fisico e di corporale che più si avvicina all’idea del trascendente, dell’invisibile, del divino quale principio attivo, vivificante, animante. E questo respiro, di cui abbiamo coscienza (a differenza degli animali) non lo controlliamo, continua anche mentre non siamo coscienti, non possiamo né generarlo e né trattenerlo quando ci lascerà. Un qualcosa di fisico e nello stesso tempo qualcosa che sembra alludere all’oltre-fisico.
Ogni corpo ha dei limiti, è finito e presuppone un ambiente vitale. San Paolo nelle sue lettere esprime due passaggi molto significativi: Dio quale ambiente in cui siamo immersi, come i pesci nel loro mare, e la vita quale gestazione dentro una vita più grande, da cui l’idea cristiana della morte (al mondo) quale nascita (al cielo). La morte quale passaggio a un altro ambiente vitale dove il vestito del corpo non può seguire, non serve più. “In Lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo, come anche alcuni dei vostri poeti hanno detto: poiché di lui stirpe noi siamo” (Atti, 17,28). Dio quale sostanza delle sostanze che permette la stessa dynamis dei corpi e delle vite come l’aria è il medium che permette il muoversi e manifestarsi del suono.
Gli antichi credevano all’etere quale prima sostanza e medium del movimento della luce. Il nostro respiro verrebbe dallo Spirito quale “respiro di Dio” che regge la vita nostra e del mondo. L’umano quale “stirpe di Dio” ci pone quali coassociati all’Essere fin dal nostro inizio, personale e storico quanto ontico. Siamo esseri eterni anche se abbiamo dei limiti e un inizio nel tempo e una fine. Eterni perché spirituali, innestati in uno Spirito assoluto e di esso respiranti nel profondo della nostra sostanza.
Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto; essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo (Rom. 8,22).
E ancora: “Figli miei, per i quali sono di nuovo in doglie finché Cristo sia formato in voi” (Gal. 4,19). Fino ad una grande precisione come in una sorta di “anatomia somato-spirituale”: “infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb. 4,12) “e fino a considerare il corpo stesso come un seme: così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile; si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza; si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale” (1Cor.15, 42-44).
La concezione paolina appare coerente, semplice e nel contempo audace e creativa: esistono punti di congiunzione tra anima, spirito e corpo, i corpi sono di differenti tipi ma il corpo umano seguirà un ciclo che ricorda quello naturale, solo a un livello superiore: morto nella corruzione rinascerà nella gloria, cioè avrà una nuova vita futura. Sull’anima immortale Paolo non dice molto: lo presuppone, lo dà per scontato, per assodato. Paolo si concentra sul tema del corpo, della sua centralità spirituale e rituale-sacramentale per la fede cristiana.
Il Dio cristiano si fa corpo, vuole farsi comunione e la stessa vita spirituale si visualizza come un partecipare al corpo mistico di Cristo. Lo stesso respiro umano se ci ricorda lo Spirito si fonda onticamente sulla sostanza divina, come ogni cosa. Il corpo stesso quindi ci porta ragioni spirituali, di speranza, di audacia. E il nulla? Ecco il tema dell’angoscia. Cos’è il nulla? Perché ci affascina e sgomenta? Da un certo punto di vista l’assoluto di Dio nullifica ogni determinatezza e relatività creaturale-creazionale.
L’anarchico e poeta Renzo Novatore scrisse del Nulla quale scaturigine del tutto come un mistico e un credente può parlare di Dio quale Tutto in quanto prima Origine di tutto, prima eternità. Ma abbiamo poi un altro senso del nulla: quello di cui parla Genesi dove si dice che Dio crea dal nulla, ex nihilo. Mentre l’uomo può solo trasformare, modificare, combinare ma non può né creare e né annichilire totalmente neppure un granello di sabbia o una molecola d’acqua, Dio crea “dal nulla”. Non nel senso che il nulla è una matrice che Dio usa per creare, demiurgicamente, ma nel senso che crea da solo esseri e vite prima del suo atto creativo non esistenti in alcun modo e in alcuna forma.
Questa idea già di per sé ci trasmette un sottile senso di angoscia perché “avremmo potuto non essere” e invece siamo. Ma l’angoscia ritorna associata al pensiero della morte in quanto siamo così abituati alla vita fisica, sensoriale e corporale che il venire meno di questo corpo, di questa veste sensoriale ci deprime, ci spaventa e smarrisce come se tutto si annichilisse con la sua necrosi. Eppure sentiamo sempre nella nostra coscienza un altro tempo, un tempo-flusso, animico, aionico, una dimensione noetica-intellettuale e anche astratta, indifferente alla carne e alle contingenze.
Il respiro ci fa pensare allo Spirito ma nel contempo il suo venire meno ci sconvolge come fosse un fatto assurdo, antinaturale, di insopportabile violenza anche se nella natura vediamo continui cicli di trasformazione, dove morte e vita si susseguono continuamente e complementarmente. Eppure l’idea che abbiamo bisogno del respiro non ci fa sentire limitati, anzi piuttosto in connessione con qualcosa più grande di noi ma vitale e necessario.
E quando saremo pescati? Non appare naturale il pensare di poter entrare così in un altro ambiente di vita dove il corpo come lo conosciamo non servirà più? Avremo un altro respiro? Respireremo lo stesso Spirito eterno direttamente? Da una parte vogliamo essere come Dio ma soli nel nostro ego, dall’altra anche questa in condizione non si scamperebbe dall’angoscia, dall’ansia; dall’altra vorremmo stare così ma senza i limiti della materia e del tempo che ci affliggono ma pure ci permettono di essere come siamo.
Ma i corpi e la materia non si danno mai senza limiti, non possono darsi come infiniti, né nelle loro qualità né nel loro decorso. Se la nostra anima (da cui sboccia la coscienza, la ragione, la volontà e la libertà) è inserita dentro un corpo il nostro respiro non sarà inserito dentro lo Spirito? Può la felicità e la pienezza essere solitaria? O temporanea? L’immensità dell’idea di Dio ci toglie il respiro quanto l’idea del Nulla. Perché? Perché comprime il nostro tenace senso dell’ego? Non riusciamo a concepire bene l’assenza di limiti a cui aspiriamo e in tale condizione di assenza vorremmo conservarci limitati per non perderci. Siamo coscienze contraddittorie!
Il credente, il cristiano vive già di un altro mondo, è già mezzo pesce e mezzo volatile, possiede delle branchie interne invisibili che gli permettono di nuotare già nei mari superni, celesti. La vita spirituale è l’essenza della vita: una gestazione nel ventre di questo mondo per poter finalmente nascere a un altro mondo a cui si è preparati in questo, come il feto dentro la carne materna. Per questo ora vediamo in modo confuso e andiamo a tentoni: siamo feti dentro un liquido e occorre che impariamo a respirare nello Spirito per poter passare il varco delle doglie e iniziare la vera vita, nella luce. Siamo germogli, primizie che sempre abbisognano di un ambiente da cui trarre la linfa della vita.
Pensare a Dio per quel che è (eternità senza limiti, da sempre e per sempre) può anche spaventare e smarrire. Penso che Giorgio Caproni provasse un senso d’angoscia e di claustrofobia al pensiero dello stesso Infinito per poi scrivere le parole che ho ricordato all’inizio. L’in-finito quale smarrimento, a-peiron che annulla chi ha bisogno come noi di limiti e confini per sentirsi vivi, presenti, distinti. Giorgio come altri percepisce meglio Dio e il suo assoluto per negazione, nella sua apparente assenza, nella tensione tra il vuoto del mondo e il Vuoto da cui soffia liberamente lo Spirito. La claustrofobia quale prova dell’esistenza di Dio, dell’onticità del Nulla.
Quando Pinocchio-asino viene gettato in mare con una corda al collo, per ucciderlo i pesci ne divorano la “scorza asinina” e torna fuori dall’acqua un burattino vivo. È stato necessario uccidere l’asino per passare allo stato di vita burattinesco, come sarà necessario far morire il burattino per vedere sorgere il ragazzo. Così parla San Paolo quando accenna al tema della vita quale gestazione della vera vita e quando sfiora il discorso del passaggio dal nutrimento del latte al nutrimento adulto della carne.
La morte quale mancanza di respiro è il passaggio da uno stato ontico all’altro. È il “farsi nulla” di cui parla la folle-sapiente Simone Weil, cioè l’abbandonare in un angolo l’ingombro equivoco dell’Io, che tutto corrompe e ostacola, per “fare vuoto” e proprio in questo vuoto-nulla appare lo spazio abitabile dalla grazia, dalla divina levità, dall’irrompere della vita superiore, spirituale, pneumatica.
Questo voler “morire alla morte morendo al mondo” corrisponde al “non desiderare” quale essenza della Legge divina data a Mosè chiosata nella narrazione di Edmond Fleg (Mosè secondo i saggi): il “non desiderare” toglie acqua al pesce mostruoso dell’Io e riassume in negativo la via all’Assoluto in quanto “chi desidera non gode quel che possiede e non onora coloro che glielo hanno dato. Chi viola l’ultimo comando divino li viola tutti. Chi desidera già desidera un altro dio, altri genitori…”.
La nullificazione dell’Io appare l’unica condizione necessaria per iniziare a vivere la vita divina. Il nulla quindi nella sua radicalità illuminante permette e quasi attrae l’Essere divino, l’Origine, come lo zero permette la numerazione, il moltiplicarsi delle relazioni. Se non fosse pensabile il nulla, non sarebbe neppure concepibile la creazione divina, ex nihilo. Il nulla-zero è come una lama che divide la luce dalla tenebra, generandole entrambi nella nostra percezione. Come il dover-essere è una “chiamata all’essere” (ci insegnava il nostro docente di filosofia del diritto Amedeo Conte), così il nulla-zero da una parte ci turba e destabilizza facendo vacillare le nostre precarie certezze, dall’altra appare una necessità tanto stringente quanto l’Essere-Necessità di Parmenide, adepto di Nemesi-Adrastea.
Può già esistere ciò che è “chiamato a esistere”? La mente viene presa dalla vertigine, precipita. Se l’Essere “non può che essere” perché l’idea di vuoto-nulla ci attrae? Perché emerge? Quella di Simone Weil è una filosofia-mistica della sensibilità estrema che attinge al senso della luce oltre il concetto stesso di grazia, oltre la distinzione fra carne, vita e pensiero.
Il vuoto chiama Dio, mentre l’autoconsolazione induce verso la morte. Qualsiasi consolazione è idolatria, autoalienazione, e l’immaginazione è proiezione dell’Io per cercare di colmare un senso del vuoto che non va colmato ma esperito fino in fondo. Simone comprende come anche il desiderio della grazia vada superato altrimenti non si esce dall’appropriazione possessiva-egoica dell’idea di Dio, perché “l’amore non è consolazione, è luce”.
Respinto l’Io, esiste ancora il mondo? Possiamo resistere ancora alla Luce? Lo spazio, il tempo e la stessa materia sono forme di difesa dall’eccesso di luce che è Dio che non possiamo sostenere. L’Io vale in quanto oggetto di un progressivo abbandono. L’Io è soggiogamento, sottomissione, falsificazione, contraffazione. Simone non entra sacramentalmente nel Cristianesimo solo per la paura di perdere un rapporto diretto, personale e immediato con la presenza di Cristo. Formidabile paradosso. Ha paura dell’umano. Non si fida. Ebbe un senso di soffocamento all’idea del battesimo come Caproni di fronte all’idea dell’In-finito?
Acque che tolgono il respiro e acque mosse dal Vento. Preferiva un subire la Luce nella sua violenza dissolutiva? Simone ha colto nel profondo, come pochi spiriti riescono, la radicalità dell’opposizione fra possesso e illuminazione, potere e vita, mondo e Spirito, struttura e kerigma. Commovente e illuminante è la sua incapacità di muoversi nel mondo, di agire nel mondo. Come Woody Allen, come gli “eroi del nulla” di Carmelo Bene. Quando Simone va a combattere in Spagna la mettono in cucina perché non riesce a maneggiare i fucili e in cucina si fa male mettendo il piede in una pentola di olio bollente. Simone inciampa nel mondo. Ciò che è buffo o insano o folle per il mondo è sapiente per lo Spirito. Il mondo è un inciampo.