“Essere o non essere, questo è il problema”. Chi non conosce questi celeberrimi versi? Sono l’inizio del monologo teatrale più famoso di tutti i tempi: il monologo dell’Hamlet di William Shakespeare. E tutti, nell’udire questi versi, vediamo dinanzi a noi il “pallido principe” di Danimarca vestito a lutto, con in mano il teschio, e fa nulla se la scena col teschio del buffone Yorick è un’altra e non c’entra col celebre monologo.

Sicuramente molto famosi sono anche Romeo e Giulietta, la tragedia dell’amore contrastato, o Otello, divenuto antonomasia per la gelosia, conosciamo certo il monologo funebre di Antonio nel Giulio Cesare, l’ “inverno del nostro scontento” di Riccardo III o il monologo dei “felici pochi” dell’Enrico V. Ma la tragedia più famosa di William Shakespeare è senza dubbio l'Amleto, quella più rappresentata e più citata, quella dal protagonista più affascinante nella sua modernissima inquietudine.

Il Bardo tuttavia non ha proprio inventato di sana pianta ma, come negli altri casi si é rifatto ad una storia già esistente, e più precisamente ad un mito norreno a noi noto grazie alle Gesta Danorum di Saxo Grammaticus, uno storico danese, probabilmente un chierico, vissuto tra il 1150 e il 1220. E la storia ha solo alcuni punti in comune con la versione canonizzata da Shakespeare: il grande drammaturgo inglese ha infatti stravolto in più punti la vicenda e persino la stessa personalità dell’Amleto originale, meno raffinato e introspettivo, e più rozzamente barbarico, da buon vichingo qual era.

Innanzitutto il nome del protagonista è leggermente diverso: in Shakespeare il personaggio è Hamlet, nella versione originale norrena tramandataci da Saxo è Amleth. E il protagonista è quello che ha il nome più vicino a quello originale. Vediamo quindi più da vicino l’Amleto più antico. Amleth è figlio di Horwendill, re dello Jutland, che viene ucciso dal fratello Feng che ne sposa la moglie Geruta: in Shakespeare Horwendill si chiama Amleto, come il figlio, e rega sulla Danimarca, Feng viene rinominato Claudio e Geruta diventa Gertrude. A questo punto Amleth si finge pazzo.

La follia dell'Amleto shakespeariano è una forma di malinconia per il lutto, l'Amleth originale si finge pazzo per non essere ucciso, e la sua pazzia è violenta: Amleth ulula e si comporta come un cane o come un lupo. In pratica diventa un licantropo. Questo è sicuramente il ricordo degli ulfednar, confraternita di guerrieri devoti a Odino che in battaglia cadevano in una specie di trance che faceva sì che si comportassero come lupi (esattamente come i più noti bersekir, gli uomini-orso).

Feng sospetta che la pazzia sia simulata e cerca di farlo cadere mediante un'anonima ragazza (che in Shakespeare diventerà Ofelia). Amleth uccide una spia (il Polonio shakespeariano) e allora Feng lo manda in Britannia per farlo condannare a morte. Amleth subodora l'inganno e cambia la scritta sulle tavolette facendo condannare a morte i servi: qui Shakespeare riprende abbastanza fedelmente la vicenda originale nella storia di Rosencrantz e Guildenstern. Amleth resta un anno in Britannia pianificando la vendetta. È su questo punto che "Amleto" differisce dal suo prototipo: l'eroe shakespeariano è indeciso e tentennante. L'Amleth originale pianifica la vendetta con determinazione, assomiglia più al conte di Montecristo o a Odisseo che ad "Amleto".

Amleth accumula ricchezze, sposa una principessa britanna e torna nello Jutland dopo un anno. Qui la versione originale e quella di Shakespeare divergono radicalmente. Amleth torna in tempo per assistere ad un banchetto funebre in suo onore. Fa ubriacare Feng e i suoi uomini e poi fa calare su di loro delle tende di lana dotate di piolini che aveva affilato durante la sua finta follia, uccidendoli tutti. Quindi prende la corona degli Juti e muore diversi anni dopo cadendo in battaglia come un vero vichingo degno del Valhalla. Questa, a grandi linee, la storia di Amleth come raccontata nella cronaca di Saxo. Sicuramente Shakespeare ha mescolato alla leggenda norrena alcune suggestioni più note.

Il tema della pazzia simulata è presente anche nella mitologia romana, quella più familiare ai tempi di Shakespeare. Il prototipo sarebbe Lucio Giunio Bruto, la cui famiglia sarebbe stata sterminata dal tirannico re etrusco di Roma Tarquinio il Superbo, e che si sarebbe finto pazzo per evitare la sorte dei suoi familiari: brutus in latino significa appunto “stupido”. Lucio Giunio Bruto avrebbe quindi approfittato della morte di Lucrezia, suicida dopo lo stupro subito da uno dei figli di Tarquinio, per sollevare il popolo contro il tiranno, abbattere la monarchia e istituire la repubblica. Questa vicenda è narrata da Tito Livio nel primo libro del suo monumentale Ab Urbe condita.

Ma l’Amleto shakespeariano ricorda molto un personaggio della mitologia greca: Oreste, il figlio di Agamennone che vendicò la morte del padre uccidendo la madre Clitennestra ed Egisto, amante della madre e zio di Oreste. La vicenda è stata trattata in innnumerevoli tragedie greche, come l’Orestea di Eschilo o l’Elettra di Euripide. Forse Shakespeare non conosceva direttamente le tragedie greche, ma la storia, trattata anche da autori latini, l’avrà conosciuta. Il Bardo opera però una piccola censura, dettata dall’etica cristiana: a differenza di Oreste, Amleto non uccide la madre, anche se è una figura comunque colpevole.

Una versione di Amleth più vicina al mito originale è stata portata al cinema da Robert Eggers, il giovane regista di The Witche, The Lighthouse e Nosferatu, nel suo The Northman.