Come i numeri escono dall’unità per suo scorrimento
e la linea e i volumi dal punto materiale e matematico
così gli elementi dall’unica sostanza.

(Louis Grassot, La Filosofia celeste, 1802)

L’alchimia è un sapere strano a partire dal suo nome e dai suoi testi. Anche per il nome non si ha alcuna certezza: alcuni la ritengono parola araba, altri greco antico ad indicare lo “scioglimento del sale” (als), altri ancora la connettono con la città dell’antico Egitto chiamata Kemi, sfiorata dal mito di Perseo e ritenuta esprimere l’idea del limo scuro delle inondazioni del Nilo. Gli stessi scrittori di testi alchemici non definiscono l’alchimia con questo termine ma la chiamano in vari differenti modi: Arte, Arte delle arti, Arte Regia, Filosofia della natura, oppure rinviando ad Hermes.

Si tratta di una vasta tradizione letteraria che perdura per otto secoli: dall’anno mille della Tabula Smaragdina, testo tanto breve quanto paradigmatico del linguaggio e del sapere ermetico, all’ultimo testo conosciuto autenticamente alchemico: La Filosofia celeste del medico francese Louis Grassot, 1802. Prima del medioevo cattolico abbiamo solo un frammento di papiro (Papiro di Leida, III secolo d.c.) e i testi ibridi e incompleti delle Visioni di Zosimo di Panopoli, IV secolo d.c., dove probabili insegnamenti alchemici si mescolano con visioni mistiche e saperi gnostici-sincretistici.

È solo dentro la Cristianità, specie cattolica, che sorge, cresce e si moltiplica la vasta, ricca e variegata letteratura alchemica, per poi interrompersi violentemente con la rivoluzione francese e quella industriale, dopo le quali sorge un mito postumo posticcio e non documentato che vede personaggi del calibro di Goethe, Balzac e Victor Hugo ancora adepti dell’Arte.

Il mondo arabo è solo un tramite a livello di traduzione di testi bizantini ma non sviluppa una tradizione propria. Anche l’enigmatica figura di Fulcanelli e lo sfuggente Canseliet, se certamente dimostrano approfondite conoscenze alchemiche, dall’altra parte non producono nuovi testi alchemici, né garantiscono la perpetuazione della tradizione viva, ma più che altro offrono una sorta di neo-ermeneutica alchemica, quasi sempre applicata all’arte figurativa e non autonoma.

Se tutto è segreto in Alchimia, fine, linguaggio, procedimenti-operazioni, certamente il “segreto dei segreti” appare senza dubbio l’identità della “materia prima” (detta anche “Soggetti dei filosofi” o dei “Saggi”) su cui iniziare ad operare per attivare un processo unitario che giunge alla sua gloriosa conclusione dell’Elisir-Pietra finale. Un processo organico e vitale, sia materiale che spirituale, dove non c’è distinzione fra scienza, filosofia, arte e spiritualità.

Lo stesso Louis Grassot nel suo prezioso e limpido testo paragona il processo alchemico ad una mimesi del processo divino di creazione e lo assimila alle fasi principali dei Misteri di Cristo: Incarnazione, Morte, Sepoltura e Resurrezione. Tutti i testi antichi parlano della “materia prima o madre” ma quasi sempre ne accennano in modo criptato tramite allegorie, simboli, immagini, e le più varie: Mercurio, Acqua, Acqua ardente, Vergine, Madre, Mare, Sale, Balsamo, Pietra grezza, e molte altre decine di termini.

In quelle rarissime occasioni in cui la letteratura alchemica apre spiragli identificativi i due soli connotati che ripetutamente ritornano sono il carattere “vile” di tale sostanza, cioè di scarso valore sociale ed economico, e la sua grande diffusione tra tutti i ceti sociali e tutte le terre del mondo.

Anche il nostro testo-gioiellino de La Filosofia celeste (1802) capolavoro di equilibrio narrativo, non solo rappresenta una magnifica sintesi delle plurali declinazioni metaforiche dell’unitario linguaggio alchemico (poetiche, matematico-geometriche, filosofiche, mistiche, apocalittiche) ma, a differenza della stragrande maggioranza dei testi ermetici, appare assai più dettagliato nel seminare preziosi indizi che possano aiutare a decrittare questo massimo enigma: quale sostanza è quella che funge da “materia iniziale” della sacra Opera dell’Arte di Hermes?

L’importanza è decisiva in quanto i testi alchemici sono concordi nell’affermare che non serve altro se non trattare la medesima sostanza! Lois Grassot espone molti indizi sulla “materia prima”:

  1. Sembra una pietra ma non è una pietra.

  2. È di colore grigio-nero.

  3. Può generare fumi i quali sono maleodoranti.

  4. È più abbondante al nord che in Spagna.

  5. Si trova anche in cucina.

  6. Nasce all’ “inferno” e poi va in cielo.

  7. In una certa stagione vi si sputa sopra o la si calpesta!

Tentando una risposta che soddisfi la maggior parte degli indizi potremmo azzardare che si tratti del carbone, o della fuliggine o del salnitro che usciva un tempo dai muri quale polvere grigia. Il problema di decrittazione dell’enigma appare più complesso a livello di metodo se si considera come si debba ricostruire una mentalità tradizionalista (e non illuminista) di due secoli fa, molto differente dalla nostra, insieme alla differente percezione e conoscenza del mondo. Come era una cucina due secoli fa? Come si accendeva il fuoco? Due secoli fa la Spagna era povera di carbone o salnitro?

Le altre indicazioni dello scrittore francese sono simboliste e già conosciute in letteratura alchemica: si tratta di un “Caos scuro”, di un “Saturno nero”, di una “Vergine grigia con velo nero”. Ulteriore problema ermeneutico è dato dal fatto che anche se si “indovinasse” l’identità della materia prima si sarebbe solo all’inizio della ricerca perché ancora oggi manca la conoscenza di un altro fattore fondamentale: il “forno filosofico” (=alchemico), cioè un tipo di riscaldamento dolce, ermetico e costante (e graduale) senza il quale la trasformazione pensata non è realizzabile.

Se consideriamo che Grassot parla di una “cottura” di 7 mesi “filosofici”, cioè di 40 giorni ciascuno, tale segreta tecnica appare quindi non solo molto importante ma pure geniale, acuta e delicatissima perché appare ancora oggi estremamente difficile garantire tale riscaldamento (e ignoriamo le giuste temperature) per un così lungo lasso di tempo. Riscaldamento che deve essere poi nel contempo congiunto ad un grande alambicco di vetro, necessario per osservare i cambiamenti di colore e di stato, il quale deve presentare almeno quattro “storte” per separare dall’unica sostanza i quattro elementi (l’“aria” dal “fuoco” e l’ “acqua” dalla “terra”), i cui nomi ovviamente non indicano i corrispondenti materiali quanto degli occulti ma vivi principi naturali.

Oltre al tema, centrale, del calore/fuoco alchemico, che serve ad attivare un calore/fuoco interno alla materia, per colpa dell’ideologismo del razionalismo ottocentesco e per colpa del segreto iniziatico abbiamo perso anche tutte le altre conoscenze di corredo: quando iniziare la procedura (che dovrebbe concludersi a Pasqua), come sorvegliare la procedura e capire i tempi di intervento, come evitare avvelenamenti o esplosioni o dispersione di fumi.

Ci resta l’indubbio fascino di questo strano sapere, considerato per otto secoli il culmine di ogni conoscenza della natura e del cosmo e, anche, ricapitolazione delle più importanti Verità spirituali e metafisiche. L’unico Sapere che ruota attorno ad un Enigma centrale, fondante e polarizzante.