La teologia negativa (o apofatica) ha influenzato parecchi teologi e filosofi, conducendone molti sulla via dell’emanatismo. Non fa eccezione Meister Eckhart, teologo domenicano, filosofo e mistico tedesco, che visse a cavallo tra il XIII e XIV secolo. Fu scomunicato un anno dopo la sua morte, con la bolla In Agro Domini (1329), a causa di molte sue affermazioni giudicate eretiche. Benché Eckhart parli di Dio in termini di essere, in altri suoi scritti, sulla scia di Scoto Eriugena e della metafisica henologica di Plotino, lo definisce come il Nulla.
Il Dio di Eckhart è un Dio impersonale, ineffabile, puro, che sfugge a ogni determinazione. È la “superessenzialità divina” di Scoto Eriugena, il “Dio nascosto” degli gnostici. Dio è ineffabile come il nulla. Dal momento che Dio non è nulla di quanto si possa affermare (buono, misericordioso, ecc.), in quanto privo di accidenti, lo si definisce sofisticamente come l’Uno, il numero per eccellenza dei pitagorici, alla cui sostanza divina partecipano tutti gli esseri («Tutte le creature sono in Dio e sono la sua propria divinità» = pan(e)teismo).
L’assenza di qualsiasi negazione/distinzione in Dio fa sì che egli sia il Nulla, dal momento che solo il nulla è assenza di ogni negazione. Di qualcosa possiamo dire che è distinto da qualcos’altro, che non è quello né questo. Del nulla non possiamo dire alcunché, perché non si distingue dalle cose. Essendo Dio l’Uno assoluto, egli è privo di distinzioni, per cui è negazione della distinzione, cioè, negazione della negazione. Il Nulla. È dall’Uno che deriva l’essere, per cui Dio non è essere ma l’Uno. Questo concetto richiama l’altro di Eriugena, per cui Dio si crea da se stesso, nel momento in cui si manifesta, passando dall’Uno all’essere. Esiste Dio-Uno e Dio-Essere. Il primo è il Dio eckhartiano, l’altro la declinazione di Dio. Bisogna liberarsi di quest’ultimo per ascendere al primo, all’Uno. In questo consiste l’ascesa mistica: diventare poveri in spirito fino a perdere Dio al fine di possedere il Regno dei Cieli.
Per contemplare l’Uno (Nulla) bisogna che l’anima si distacchi, si liberi dalle creature, cioè, dal mondo molteplice della distinzione (spazio e tempo), che è il “nulla” (con la n minuscola). Solo alienandosi dal nulla e da Dio stesso, l’anima può contemplare il Nulla e fondersi con esso al punto tale che l’Io dell’anima è l’Io stesso di Dio/Nulla. Emerge qui una forte richiamo alla dottrina indiana dell’atman, che è sia la coscienza individuale, l’anima, il proprio Sé, sia il principio cosmico assoluto, il Sé cosmico, detto brahman, cioè, l’anima mundi.
La liberazione dell’anima dal mondo, l’allontanamento da Dio-Essere per entrare nel proprio Nulla (una specie di Nirvana), cioè, nello stato di assenza totale di distinzione, che coincide con l’Uno, lo zampillare dell’essere di Dio al di fuori di se stesso fino all’identità sostanziale tra l’Io e l’Uno, sono tutti elementi gnostici, che ritroviamo nella filosofia indiana e in quella di Plotino. A ragione, Schopenhauer scriveva che Śākyamuni (Buddha) e Eckhart insegnano le medesime cose. È proprio dalla filosofia di Ekhart che trarrà alimento l’idealismo tedesco, la più alta forma di gnosi che, secondo Baur, supera lo stesso paradigma plotiniano.
In generale, se si prescinde dalle forme, che dipendono dalle circostanze esterne, e se si va al fondo delle cose, si troverà che Śākyamuni e Meister Eckhart insegnano la stessa cosa; solo che il primo poté esprimere il suo pensiero apertamente, mentre l’altro fu costretto a proporlo nella veste del mito cristiano e ad adeguare a quest’ultimo il proprio modo di esprimersi. Ma egli si spinge talmente avanti, che in lui il mito cristiano è oramai solo un linguaggio figurato, pressapoco come quello ellenico per i neoplatonici: egli lo usa sempre allegoricamente. 1
Nel buddismo Zen ritroviamo i medesimi concetti espressi da Eckhart e da Eriugena. Il Nulla come pienezza ineffabile senza distinzioni, che non è il nulla inteso come assenza di qualcosa (nulla relativo). Il Nulla è indefinibile e, nel momento in cui si cerca di definirlo, non è più il Nulla ma altro. Il soggetto che contempla il Nulla diventa una cosa sola con questo, come l’onda che sorge dall’acqua e ritorna all’acqua. Le onde e l’acqua sono la medesima sostanza (panteismo o immanentismo). Il nostro essere qui e ora, cioè, il nostro esserci, non è altro che la declinazione dell’ineffabile e impersonale Nulla (l’Uno).
Il Nulla non si identifica con il nulla […] come negazione dell'esser-presente, in quanto non nega né l'esser presente di un singolo ente né dell'ente in generale. In realtà nessuno vorrà credere che il nulla che si esprime nella asserzione: “il tavolo non c'è” o “la gioia non è” rappresenti il Nulla specifico del Buddismo-Zen.
Nel Ch'i-hsin-Iun, un commento buddistico, è scritto: “L'essenza della verità non ha una forma, né è priva di forma, né è senza forma né senza assenza di forma, né ha, né non ha forma contemporaneamente, né ha una forma uguale né una forma diversa, né infine ha una forma uguale e una diversa insieme”.
Questa proposizione afferma: “la verità assoluta non è in ultima analisi qualcosa di altro e diverso, ma propriamente è Nulla”. Questo nulla è fondamentalmente e nient'altro che quel nulla che nella terminologia cristiana si esprime nell'affermazione “Dio è nulla”. Nel Buddismo il concetto di nulla, nel significato di cui sopra si è detto, viene spesso usato per definire la natura del Buddha, della verità assoluta o del Nirvana. Ma questo nulla è in sé pur sempre il nulla come negazione del giudizio e non il Nulla dello Zen. Poiché il Nulla del Buddismo-Zen esclude ogni asserzione e determinazione concettuale su di sé, si può anche dire di esso: “il Nulla dello Zen non è qualcosa” o altrimenti: “il Nulla dello Zen è Nulla”.
Il Nulla dello Zen non è un oggetto visto in virtù di un atteggiamento passivo, ma è piuttosto il cuore stesso che vede. Tuttavia ciò non si esaurisce neppure in un mero attivo vedere, ma piuttosto il soggetto del nulla è attivo e passivo insieme e identico con l'oggetto.
Nel Buddismo si ricorre sovente alla metafora dell'onda che è più appropriata, più adatta come immagine sensibile della forza creativa del cuore. Un'onda non cade nell'acqua dall'esterno, ma proviene dalla stessa acqua senza separarsene; scompare e torna all'acqua da cui ha tratto origine e non lascia nell'acqua la minima traccia di sé. Come onda, essa si solleva dall'acqua e torna all'acqua; come acqua, essa è il movimento dell'acqua. L'acqua forma con l'onda un'unità, e tuttavia l'acqua non sorge e non tramonta col sorgere e tramontare dell'onda, né si alza e si abbassa. Come onda (l'acqua) sorge e tramonta e come acqua non sorge e non tramonta. Così l'acqua forma mille e diecimila onde e tuttavia resta in sè costante e immutata. L'unico cuore, da cui tutto viene prodotto, è simile all'acqua.
Il sesto patriarca Hui-neng afferma: “La natura vera è nella sua essenza immota e può produrre tuttavia diecimila cose” e : “Tutte le diecimila cose non sono separate dalla vera e propria natura”.
Nel Yui-ma-Kyò sta scritto: “Sull'originario fondamento della vera e propria natura che non ha dimora, sorgono tutte le cose”.Queste sentenze ci rendono avvertiti della natura vera di questo cuore. Il Nulla Zen è questo cuore, che può essere presentato in un'immagine, con l'acqua intesa come sostanza che non muta. La forza creatrice del nulla trova la sua metafora, nel significato più ampio, nel rapporto necessario dell’onda con l'acqua da cui proviene. L'onda che sorge e passa, intesa come soggetto, è simile al se stesso ordinario e quotidiano dell'uomo. Il fatto che questo soggetto sempre di nuovo ritorni dall'onda all'acqua, è l'essenza del Nulla Zen.
Il Nulla Zen ha da sempre il carattere del non-esser-qualcosa. Ma al tempo stesso gli è proprio un altro tratto che si può esprimere con la parola “vuoto”.2
Che si ricorra all’immagine dell’acqua o della scintilla divina, il discorso è sempre lo stesso e comporta l’annullamento dell’individuo, del proprio sé nell’oceano sconfinato del Nulla impersonale, dal momento che ogni ente non è che una declinazione del Nulla.
Note
1 Schopenhauer, A., Il mondo come volontà e rappresentazione, VIII ed. I Meridiani, Mondadori, Milano, 2007, pp. 1540-1541.
2 Hoseki Schinichi Hisamatsu, La pienezza del nulla. Sull'essenza del Buddismo Zen, Luni Editrice, Milano, 1986, pp. 13-17.