Chi non ha mai vissuto l’esperienza di ritornare dopo molto tempo da adulto nel luogo in cui ha vissuto da bambino e di trovarlo totalmente stravolto? L’esperienza di chi trova una campagna in cui non ci sono più gli animali selvatici che un tempo vi abitavano: lepri, fagiani, tassi eccetera. O di chi al posto di un prato verde trova un’area totalmente coperta da cemento e palazzi, come recitava una famosa canzone di Celentano del lontano 1966, Il ragazzo della via Gluck: “la dove c’era l’erba ora c’è una città…...”. O di chi ritorna nel paesino in cui è nato e cresciuto e lo trova completamente abbandonato, in rovina, magari danneggiato da un terremoto e disabitato. O di chi, come me, dopo decenni, ritorna nella savana africana, nelle foreste pluviali, in quelle di pianura e di montagna e non vede più le scimmie, gli elefanti e i leoni che un tempo l’abitavano.

Credo che tutti noi abbiamo almeno una volta vissuto queste brutte esperienze. Brutte in quanto gli stravolgimenti ambientali oltre a cambiare l’aspetto fisico del paesaggio cambiano inesorabilmente i nostri stati d’animo cancellando i ricordi più belli del passato e rendendoci incapaci di capire noi stessi e il senso dei nostri comportamenti. Le domande che ricorrono allora diventano: perché l’abbiamo fatto? per ottenere quali vantaggi? Ammesso poi che di vantaggi ce ne siano stati. Dall’infanzia all’età adulta, correremo il rischio di rinforzare un’insensibilità culturale e sociale che potrebbe diventare devastante. Questo è il rischio che si corre, appunto, di alimentare un’amnesia del paesaggio, di non sapere più individuare le differenze tra passato e presente.

Non sapremmo più fare i confronti. Il fatto è che quando noi esseri umani non sapremo più capire i cambiamenti, o meglio gli stravolgimenti, non potremo più costruire un futuro, né per noi né per le prossime generazioni. Certo, i giovani hanno meno termini di paragone rispetto ai più anziani: i giovani credono che il mondo e il suo ambiente siano stati sempre così, ma la verità è che questo purtroppo non è vero. Quando ero un ragazzino, e mi guardavo intorno, credevo che tutto fosse stato sempre in quel modo, ma non era vero. Dalla rivoluzione industriale in avanti l’uomo sta prendendo il sopravvento su quelle che sono le leggi dell’evoluzione, del cambiamento naturale delle cose. Stiamo stravolgendo tutto e purtroppo senza rendercene conto. Noi uomini siamo gli unici esseri viventi a farlo. Non ne siamo coscienti eppure la coscienza dovrebbe essere la nostra guida per discernere il bene dal male, come riteneva il filosofo Immanuel Kant. Stiamo imponendo alla natura le nostre regole del progresso o di ciò che riteniamo tale. Stiamo imponendo sia agli animali, sia all’ambiente ciò che vogliamo e trattiamo tutto il mondo vivente e non vivente come se fosse un oggetto modificabile a nostro piacimento.

Il risultato è l’evidente crisi ecologica che sta attraversando il nostro Pianeta. Tutto cambia e in peggio, ma spesso è come se tutto rimanesse come prima, almeno per gli indifferenti. Poi, non dobbiamo meravigliarci se un autorevole scrittore e scienziato americano, Jared Diamond, ci spiega perché alcune culture del passato tanto forti e che sembravano intramontabili, pensiamo solo all’impero romano o a quello di Alessandro il Grande, siano letteralmente scomparse, perché ci siano state sempre delle guerre e perché in Brasile stia scomparendo la foresta amazzonica che è la riserva fondamentale di ossigeno per tutto il nostro Pianeta insieme a tutta la sua biodiversità.

Noi uomini abbiamo una predisposizione naturale per risolvere pacificamente i conflitti, ma essa viene spesso sopraffatta dagli indottrinamenti politici, dall’apatia, dall’indifferenza, dai fanatismi, dall’ignoranza e dagli integralismi di ogni genere. Oggigiorno pensiamo inoltre che molti dei nostri problemi possano essere risolti, per esempio, dall’Intelligenza Artificiale. Per quanto sotto molti aspetti scientifici, almeno in alcuni di loro, certamente nel campo biomedico, si tratti di una tecnologia utile all’umanità, c’è un rovescio della medaglia a cui non facciamo caso: dipendenza psicologica dalle piattaforme digitali, diffusione di fake news che prendiamo per vere e tanti altri profili come la semplificazione delle problematiche che inducono ad abbandonare la lettura dei quotidiani e dei libri, mettendo i giovani nelle condizioni di non capire un testo o di fare una divisione a due cifre senza la calcolatrice; per non parlare di risolvere un’equazione di secondo grado.

Il problema è che molti di questi giovani poi arrivano all’Università con tutte queste carenze (essendo stato per circa trent’anni un docente universitario, ne so qualcosa). I rettori e non soltanto loro, però, non si preoccupano di questo degrado culturale e intellettuale, pensano solo al numero degli studenti iscritti nelle varie Facoltà e di portarli alla laurea in ogni modo. Oggi, vedere qualcuno che legga un libro su un treno, per esempio, è quasi impossibile. Prendiamo poi l’esempio di un gruppo di persone, di qualsiasi età, italiani e stranieri, che aspettano un tram sotto una pensilina: nove su dieci sono intente a smanettare con il loro smartphone. Altro che libertà di pensiero o libero arbitrio! C’è il pericolo di un analfabetismo di ritorno incombente, come ci aveva anticipato un ventennio fa, non oggi, il linguista Tullio De Mauro, che purtroppo non preoccupa nessuno.

Torniamo ancora al rapporto dell’uomo o meglio dei bambini con la natura. Se chiedessimo a dei bambini africani nei loro villaggi, per non parlare di quelli che vivono in città, se hanno mai visto un elefante dal vivo, sorprendentemente molti di loro risponderebbero di no. Figuriamoci poi per altri animali, come per esempio leoni o scimpanzé, eppure questi animali, anche se ancora per poco, vivono in Africa, non in Europa. Probabilmente questi bambini sanno di che cosa si sta parlando ma solo perché li hanno visti in televisione, ammesso che ne abbiano una in casa. Il fatto più grave è che a queste domande non saprebbero rispondere affermativamente nemmeno i loro genitori. Gli scimpanzé sono nella Lista Rossa dello IUCN (International Union for Conservation of Nature), cioè in grave percolo di estinzione. Il fatto ancor più grave è che in alcuni villaggi africani gli abitanti per non morire di fame catturano e uccidono molti animali selvatici, molte specie di scimmie e a volte anche degli scimpanzé. È assurdo che questo capiti ancora nel Terzo millennio quando il cibo dovrebbe essere disponibile per tutti.

Concludiamo con la felicità (o l’infelicità), come è scritto nel titolo di questo articolo. Che cos’è la felicità? È un’emozione che spesso confondiamo con un sentimento. La felicità non è un sentimento. La felicità, elaborata psicologicamente, può trasformarsi in un sentimento, ma il punto è che non è facile farlo diventare, soprattutto ai nostri giorni, un buon sentimento, perché tendiamo sempre a cercare la felicità dove non c’è. La vogliamo ritrovare nel divertimento a ogni costo e con qualsiasi mezzo. La felicità invece è sempre spontanea, è immediata e incondizionata.

La felicità è libertà. Un grande scrittore inglese, Bruce Chatwin, scomparso nel 1989 a Nizza all’età di 49 anni, scrisse che l’infelicità dell’uomo deriva dalla sua stanzialità, dalla noia e dalla monotonia della sua vita che induce all’apatia e anche all’inquietudine interiore. Non bisogna andare alla ricerca della felicità in fittizie esigenze di libertà con tutti i vari surrogati, nemmeno nel consumismo mediatico o nelle tavole dei ristoranti o, peggio ancora, nelle droghe. Chatwin disse inoltre che noi occidentali spesso subiamo passivamente le trasformazioni ambientali come fatti normali vivendo sempre in una sorta di amnesia, dimentichi, purtroppo, di come erano un tempo i nostri paesaggi in cui vivevamo sereni, felici e pieni di aspettative per il futuro.