Il legame controverso che Manzoni stabilisce tra potere e opinione pubblica, tra giustizia e sentimenti diffusi, ci induce a riflettere, sia pur in tempi incommensurabilmente distanti, sui pericoli che corrono oggi le società democratiche di fronte alla diffusione del distorto e aggressivo uso dei social media, dell’accentramento dei mezzi di comunicazione nelle mani dei pochi, della disinformazione organizzata e dei tentativi di sistematica manipolazione della realtà.

Queste sono le parole pronunciate dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel suo discorso tenuto il 22 maggio 2023, in occasione dei 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni.

Il riferimento è senz’altro a quel capolavoro di letteratura civile, compreso e rivalutato solo a partire dal secolo scorso, che è La storia della colonna infame, in cui il Manzoni ammonisce di quanto siano pericolosi gli umori delle folle anonime, i pregiudizi, gli stereotipi; e di quali rischi si corrano quando i detentori del potere - politico, legislativo, giudiziario - si adoperino per compiacerli a ogni costo, cercando soltanto un consenso effimero. Lo stesso concetto ritorna nei «Promessi sposi», nei capitoli dedicati alla peste, con il Manzoni che scrive “Il buon senso c’era; ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune”.

Tutto questo ci porta a parlare di un problema oggi molto attuale e sentito, che è quello delle fake news: termine ricorrente per indicare un fenomeno molto più ampio, che è quello dell’information disorder.

Fenomeno che deriva sicuramente da più fattori: da una parte c’è quella che alcuni studiosi hanno definito la “mediatizzazione estesa della rete”, in riferimento al fatto che i media - e in particolare i media digitali e la rete - sono diventati ormai parte integrante della vita sociale, politica e culturale, al punto da trasformare le modalità con cui le persone comunicano, si relazionano e vivono il mondo. Tutto questo ha avuto la conseguenza di redistribuire verso il basso l’esercizio della libertà d’espressione: tutti parlano di tutto, anche di argomenti tecnici e che richiederebbero una conoscenza specifica.

Altro fenomeno che sicuramente contribuisce all’information disorder è quello del Fast journalism, ovvero la produzione di contenuti di taglio giornalistico che sono “veloci” proprio perché prodotti senza quel controllo delle fonti che invece ci dovrebbe essere. Questo tipo di contenuti vengono definiti snackable contents – contenuti sgranocchiabili, proprio per indicare la loro natura effimera, e si contrappongono a quelli che invece derivano dallo Slow Journalism, ovvero il giornalismo lento in quanto selezionato e verificato e di precisione.

L’information disorder ha fondamentalmente tre declinazioni:

  • La disinformation, in cui informazioni, generalmente false, vengono condivise solo per creare danno;

  • La misinformation, in cui gli utenti sono inconsapevoli di creare contenuti falsi;

  • La malinformation, per la quale vengono diffuse informazioni generalmente vere, ma che non dovevano essere divulgate (es. la divulgazione al pubblico di informazioni private).

Tutti questi tre aspetti costituiscono quelle che ormai sono universalmente note come fake news. Il termine ha acquisito popolarità dopo le elezioni americane del 2016, in cui, durante la campagna elettorale che vedeva contrapposti Donald Trump e Hillary Clinton, furono diffuse, soprattutto attraverso la rete, una quantità enorme di notizie false. Queste notizie, inventate di sana pianta (come per esempio quella secondo cui “il Papa appoggiava Trump”), trovarono diffusione soprattutto attraverso i social network, in particolare su Facebook e su l’allora Twitter (adesso X), i cui algoritmi premiavano i contenuti che diventavano virali, senza verificarne la veridicità.

Il termine, nel 2020, è stato declinato in due variabili principali dall’Oxford English Dictionary:

  • Storie le cui fonti non sono verificate e che diffondono tramite la rete e i social media, e che assolvono ad uno specifico scopo politico o ideologico;

  • Tentativo di discredito di informazioni altrui.

Strettamente legato al fenomeno delle fake news è quello del clickbait (letteralmente “esca da clic”) Si tratta di una tecnica di comunicazione usata soprattutto sul web, per attirare l’attenzione degli utenti e spingerli a cliccare su un contenuto, attraverso titoli sensazionalistici, ambigui ed esagerati. Possiamo citare qualche esempio classico di titolo clickbait: “Non crederai mai a quanto è successo dopo!”, oppure “scopri il trucco che i medici non vogliono farti sapere”.

Il contenuto a cui si arriva, però, è decisamente inferiore alle aspettative degli utenti e l’unico obiettivo di chi utilizza questa tecnica è quello di aumentare le visualizzazioni, e quindi la visibilità online e le entrate pubblicitarie.

Si capisce bene come mai il fenomeno delle fake news sia strettamente legato con i clickbait: entrambi giocano sulle emozioni, soprattutto sulla curiosità e la paura degli utenti per spingerli ad interagire, entrambi si affidano a dei fenomeni di diffusione virale ed entrambi hanno la finalità di generare guadagni da pubblicità o, peggio ancora, di mettere in atto una manipolazione.

Come difendersi da tutto questo? In realtà già Google e Meta stanno tentando di mettere in atto dei meccanismi per fermare le notizie non vere. Certamente, tanto spetta a noi: alla nostra attenzione, alla nostra accuratezza nel verificare sempre le fonti e alla nostra disponibilità per spendere un po’ del nostro tempo per approfondire le varie notizie, e non fermarsi mai al primo titolo.

Perché, come diceva Mark Twain, “una bugia fa in tempo a viaggiare per mezzo mondo, mentre la verità si sta ancora mettendo le scarpe”.