La Storia spesso viene conosciuta per sommi capi, oppure per ciò di cui si parla con maggiore frequenza, mentre altri aspetti della vita del tempo andato vengono taciuti, o comunque poco trattati. Così mi è capitato di andare a visitare una foiba a Trieste e di sentirmi dire dal gentile custode: “Le interessa la nostra storia, quello che abbiamo vissuto!” e il suo stupore mi ha ferita.
Trieste è stata una città ferita, malgrado la si veda bellissima andandola a visitare. Siamo nel 1945: Milano era insorta, e ormai libera. Proseguono le operazioni militari mentre procedono le trattative per la firma della resa tedesca in Italia. Il cessate il fuoco sarebbe scattato il 2 maggio.
Le retroguardie tedesche non sono disposte ad arrendersi e tentano di fuggire verso la Germania. Trieste insorge contro di loro il 30 aprile, capeggiata da Antonio Fonda Savio e don Edoardo Marzari. Verso sera i Volontari della Libertà hanno conquistato la città quasi completamente e il tricolore sventola sui suoi punti principali. I tedeschi ancora non si arrendono, temendo la consegna agli alleati.
Il primo maggio, il maresciallo Tito occupa Trieste, entrandovi prima dell’arrivo delle truppe neozelandesi dell’esercito alleato. Lo sconcerto generale è totale, mentre diventa subito chiaro che quell’occupazione non sarebbe stata meglio di quella nazista. Infatti le truppe di Tito disconoscono i Volontari della Libertà che avevano combattuto per cacciare i tedeschi, e i membri del Comitato di Liberazione Nazionale1 sono costretti di nuovo alla fuga e ad entrare in clandestinità per non essere arrestati.
Non solo: il tricolore italiano che tanto significato aveva avuto nella lotta friulana per tornare italiani, adesso è sostituito dalla bandiera rossa con la falce e il martello, esposta ovunque, mentre le truppe di italiani partigiani che erano entrati nelle compagini titine per la liberazione dai nazifascisti sono state mandate altrove, per tenerle lontane da quell’occupazione.
Tutto sembra un incubo: viene nominato un commissario politico comunista, tale Franc Stoka, filoslavo. Vengono imposti il coprifuoco e l’ora legale, come già era in vigore nel resto della Jugoslavia, mentre gli italiani vengono prelevati a cento al giorno, non soltanto se fascisti o filofascisti, quanto anche se combattenti partigiani, e quindi liberatori della città, per dimostrare di essere loro gli unici veri liberatori di Trieste.
Nei mesi precedenti di quel 1945 si erano susseguite le discussioni tra i fautori di una svolta comunista della zona e chi, invece, ancora calcando la mano sul pericolo “rosso”, millantava orrori nel caso in cui ci fosse stata una virata a sinistra troppo forte, quindi sbandierando quel pericolo comunista che già qualche anno prima era stato al centro dell’azione italianizzatrice dell’area. Lo stesso CLN diffuse volantini sulla necessità di non lasciarsi incantare delle idee slave di occupazione. Il Partito d’Azione, rivolgendosi ai lavoratori triestini, spingeva a non pensare all’annessione di Trieste alla Jugoslavia, che avrebbe significato la perdita dell’autonomia economica.
Il 24 aprile esce a firma del Partito d’Azione un manifesto indirizzato ai “Lavoratori triestini” in cui si sostiene che da un’annessione di Trieste alla Jugoslavia non ci si può attendere che la rovina dell’emporio: “Perciò abbiamo il coraggio di affermare che l’incorporazione di una città quale è Trieste in uno stato jugoslavo costituirebbe, in definitiva, la riduzione in schiavitù economica e sociale dei triestini, i quali si vedrebbero cacciati e posposti nelle aziende, nelle fabbriche, negli uffici e sulle navi”.
La tensione in città era evidente da alcuni mesi, dal momento che la popolazione era di provenienze diverse, politicamente contrapposte a detta dei combattenti.
Il movimento partigiano era costituito prevalentemente da garibaldini, integrato nell’esercito di Tito a seguito della decisione dell’ottobre 1944. E questo significava avere una sezione politica che dirigeva l’attività del partito. Il movimento rapido delle truppe titine e l’accordo stipulato tra Tito e l’URSS appariva come l’appoggio di quest’ultima alle attività slave in Venezia Giulia. Se Churchill guardava all’area come strategicamente importante, gli americani non volevano togliere uomini dal fronte dello sbarco francese, così l’arrivo delle compagini comuniste fu facilitato. Verso la metà di aprile 1945 i fascisti volevano porre un blocco all’avanzata slava in città, ma non c’era adeguata collaborazione per riuscirvi, mentre la X Mas di Borghese veniva fermata dalle truppe neozelandesi verso Padova. Con il 30 aprile saranno i Volontari della Libertà a salvare il porto, già minato dai nazisti, mentre il giorno precedente era stato fatto saltare il forno crematorio nella Risiera di San Sabba.
L’8 maggio viene nominata Trieste città autonoma nella Settima Repubblica Federativa di Jugoslavia. Si scoprirà in fretta che i prelevati andavano nei campi di concentramento o venivano infoibati a Basovizza o Opicina. Qualcuno miracolosamente si salvava e riusciva a uscire dalle cavità carsiche arrampicandosi sui cadaveri. Uno di questi riesce a liberarsi e ad andare dal vescovo cittadino, monsignor Santin, per raccontare l’accaduto e lanciare l’allarme. Le richieste di aiuto al comando alleato restano inascoltate almeno fino a quando non fu chiaro quanto Tito fosse inaffidabile e, per non ripetere l’errore che già era stato con Hitler, viene imposto alle sue truppe di ritirarsi.
Era evidente che Stalin non aveva nessuna intenzione di appoggiare Tito nella sua azione e quindi bisognava agire diversamente. La situazione, infatti, comincia a normalizzarsi dal 9 giugno, quando un accordo tra il maresciallo Tito e le truppe alleate porta alla costituzione della Linea Morgan, in modo che gli jugoslavi lasciassero le terre della Venezia Giulia occupata, mentre i poteri passavano all’amministrazione degli anglo-americani, così Trieste e Gorizia, dal 12 giugno, e Pola dal 20 giugno, per un periodo. Fiume rimase con il controllo jugoslavo.
Sarà il Trattato di Parigi del 1947 a stabilire che il Carso e l‘Istria, come il Quarnaro e Fiume, sarebbero rimasti slavi, mentre Trieste verrà dichiarato territorio indipendente, Territorio Libero. Quel territorio venne diviso in Zona A, sotto il controllo degli alleati, e la Zona B sotto il controllo jugoslavo. Gorizia rimase italiana.
Si arriverà così al 1954, quando la Zona A, Trieste compresa, venne affidata all’amministrazione italiana, mentre la Zona B restava sempre jugoslava. Servirà il 10 novembre 1975, cinquant’anni fa, e il Trattato di Osimo per ratificare i nuovi confini.
Note
1 Gli slavi partigiani erano decisamente più numerosi dei partigiani italiani in quella zona, durante la guerra di liberazione. Inoltre, il CLN nel dicembre 1944 aveva firmato un patto che rivendicava la città di Trieste all’Italia, con l’autonomia della regione e le garanzie del rispetto dei diritti, il ruolo internazionale del porto triestino e la vaga idea che, per il quieto rapporto con gli slavi, si sarebbero accettate piccole modifiche territoriali.