Una casa calda, accogliente, con tutta la famiglia che si ritrova dopo una giornata di lavoro e di scuola, e si riunisce intorno ad un piatto di pasta, che in quel momento è molto più di un alimento. È, infatti, il simbolo della serenità, della convivialità, della protezione data dal nucleo familiare; e, come avviene nella maggior parte delle volte in cui si usano i simboli, questa associazione non ha bisogno di nessuna spiegazione: è un qualcosa di innato in noi, nella nostra rappresentazione del mondo.

Ed è su questo immaginario condiviso che la Barilla ha costruito il suo slogan di maggior successo, quel “Dove c’è Barilla, c’è casa”, che si è sedimentato nella testa degli italiani ormai da quarant’anni, per non uscirne più. Lo slogan, infatti, venne utilizzato per la prima volta nel 1985, in uno degli spot più famosi del marchio: una bambina vestita di giallo, che sotto la pioggia si affretta a tornare a casa, mentre la mamma, intenta a preparare il pranzo, guarda preoccupata l’orologio. La bambina per strada trova un gattino, infreddolito e in difficoltà, e decide subito di prenderlo con sé per portarlo al riparo a casa sua. Lo spot finisce nel migliore dei modi: la famiglia si mette a tavola davanti a un bel piatto di pasta, mentre il gattino si riscalda con una ciotola di latte.

In questa pubblicità c’è tutto il mondo Barilla: tanta narrazione, con una musica ben riconoscibile, ovvero il brano Hymne di Vangelis, e la pasta come simbolo di casa, di famiglia, di protezione. Un modello che ha funzionato, perché quel mondo là non era certamente reale, nella ruvidezza e nella complessità del quotidiano, ma era comunque un mondo che a molti è appartenuto, anche solo per qualche istante, e che tutti, in qualche luogo e in qualche tempo, hanno comunque desiderato: il calore di una famiglia, la quiete del focolare, la certezza della protezione. E non sono forse, il sogno, il ricordo o il desiderio, la materia prima della pubblicità?

C’è stato un momento in cui, però, questa capacità di Barilla di sintonizzarsi con le aspettative del suo pubblico, di raccontare storie che emozionavano e univano, ha subito una brusca interruzione. Si tratta di una delle crisi reputazionali più importanti vissute dal marchio, che merita di essere raccontata. È il 25 settembre del 2013 quando, ai microfoni di Radio24, a chi gli chiede perché l’azienda non abbia ancora dato spazio agli omosessuali nei propri spot, Guido Barilla risponde:

Non faremo pubblicità con omosessuali perché a noi piace la famiglia tradizionale. Se i gay non sono d’accordo, possono sempre mangiare la pasta di un’altra marca.

Questa frase, subito rilanciata dai principali mezzi d’informazione, scatenò una pioggia di polemiche, che probabilmente Guido Barilla non aveva nemmeno ipotizzato. Una delle reazioni immediate che si è avuta nel web è stata la diffusione la diffusione dell’hashtag #boicottabarilla, che dimostrò, nel 2013, quando ancora questa percezione non era chiara come l’abbiamo ora, quanto potesse essere forte il web nel creare contenuti virali, e come un commento locale potesse trasformarsi in una crisi capace di varcare i confini nazionali.

Basti dire che i boicottaggi arrivarono anche negli Stati Uniti, dove la Barilla al tempo controllava il 30 per cento del mercato di pasta (e dove aveva venduto prodotti per 430 milioni di dollari nel 2013). L’Università di Harvard arrivò a rimuovere la pasta Barilla dalla propria mensa, le associazioni LGBT invitarono tutti a consumare pasta prodotta da altri marchi e gli avversari di Barilla colsero l’occasione per mostrarsi più progressisti (per esempio, la divisione tedesca della pasta Bertolli pubblicò su Facebook un’immagine con una didascalia che promuoveva Pasta e amore per tutti!, mentre la Buitoni diffuse lo slogan A casa Buitoni c’è posto per tutti).

Ovviamente, c’erano anche tanti italiani che erano d’accordo con le dichiarazioni di Guido Barilla, e altri che non vi vedevano nessun motivo valido per smettere di acquistare questa pasta. Ma il punto della questione non è questo. Barilla non si doveva difendere da un semplice calo delle vendite, ma da una crisi che aveva colpito l’impalcatura della sua immagine e della sua reputazione. Ci sono dei marchi che scelgono da subito di essere divisivi, di non parlare a tutti. Barilla no: Barilla aveva puntato, fin dall’inizio, ad essere un marchio capace di unire: la casa e la famiglia, con tutte le differenze che ci possono essere, sono infatti valori che accomunano tutti noi. Ecco perché la cosa più urgente, diventava ora quella di riparare il danno, per non perdere la propria identità.

E dopo le scuse pubbliche di Guido Barilla, l’azienda ha iniziato un vero e proprio percorso di redenzione, che l’ha portata a costituire al suo interno il Diversity & Inclusion Board, composto da esperti esterni indipendenti che aiutano Barilla a stabilire obiettivi e strategie concrete per migliorare lo stato di diversità e uguaglianza tra il personale e nella cultura aziendale in merito a orientamento sessuale, parità tra i sessi, diritti dei disabili e questioni multiculturali e intergenerazionali. Inoltre, ha promosso dei training sulla diversità, ha fatto delle importanti donazioni economiche alle associazioni che lottano per i diritti LGBT e si è fatta aiutare da alcuni attivisti gay ad intraprendere la strada del cambiamento. Tutte queste azioni le hanno permesso nel 2017 di ottenere, per il quarto anno consecutivo. il punteggio del 100% nel Corporate Equality Index, un sistema di confronto sulle attività aziendali rivolte a dipendenti LGBT sviluppato da Human Right Champaign.

E a coronare questa operazione di rebranding ecco un altro spot iconico, nel 2019: Sophia Loren che esclama “È pronto!”, tenendo una pentola piena di pasta pronta per essere servita a tutte le persone riunite intorno alla tavola. Qui, però, della famiglia tradizionale non è rimasto quasi nulla: ad aspettare il pasto ci sono infatti persone di diverso aspetto, genere ed orientamento sessuale, come la drag queen Violet Chachki e la Youtuber transgender Nikita Dragun.

Ed ecco, quindi, che Barilla è riuscita a trasformare una crisi in un’opportunità, cominciando a parlare a un pubblico a qui fino ad allora non era arrivata, e avvalorando la sua immagine di un’azienda capace di sintonizzarsi con i tempi che corrono, in cui la tradizione non è un ostacolo per cercare l’innovazione. E, ancora una volta, la comunicazione ha avuto un’importanza decisiva, in questo passaggio: perché non dimentichiamoci mai che la comunicazione avviene quando, oltre il messaggio, passa anche un supplemento di anima.