Sostanzialmente esistono quattro tipologie di moneta.
Moneta a debito a corso legale emessa dalla Banca Centrale contro titoli dello Stato (in genere meno del 3% di quella a corso legale e “quasi” a corso legale, vedi il punto successivo).
Moneta a debito “quasi” a corso legale emessa dalle banche sotto forma di credito (in genere meno del 97% del totale).
Moneta non a debito emessa direttamente dallo Stato (eccezionalmente anche dalla Banca Centrale in emergenze) per un quantitativo marginale: è quella che non è contemplata dal Trattato di Lisbona e potrebbe venir emessa e immessa dallo Stato, nel caso dei Paesi dell’euro come valuta parallela a sola circolazione nazionale e non convertibile.
Esiste poi la moneta fiduciaria, anch’essa a debito, emessa dai privati (cambiali, pagherò, assegni postdatati, ecc.).
Da quest’ultima categoria promanano le monete complementari che possono dividersi in tre sottocategorie: a) scontistica; b) criptovalute; c) moneta locale.
La scontistica (es. lo scec) può fornire un aiuto in termini di reddito, ma nei limiti dello sconto stesso che, se non è più elevato del margine operativo dei venditori, rischia di finire nel cestino dopo aver avvantaggiato il venditore stesso, ma senza far crescere l’economia: ci sarà solo una fidelizzazione del cliente al venditore che accetta (di fatto, pratica) lo sconto stesso.
Le criptovalute non sono necessariamente a debito perché possono venir accreditate a costo zero o quasi, ma possono offrire solo uno sconto (e niente cambia) oppure accreditano moneta scritturale che sarà possibile spendere dentro ad un circuito sufficientemente ampio che la accetti.
Le criptovalute sono convertibili in moneta a corso legale secondo le valutazioni di agenzie di intermediazione (moderni “cambiavalute”) e, quindi, comportarsi come titoli di borsa: salire di valore se vengono domandate e non spese (il che contraddice alla moneta vera e propria, “non merce”); crollare nel caso opposto.
Le cripto sono soggette a interessamento da parte del sistema bancario intenzionato ad eliminare il cash e controllare la nuova moneta (vale a dire il pubblico in generale) in caso di crollo del sistema finanziario ultraspeculativo attuale.
La moneta locale può essere emessa da un consorzio di produttori in precedenza spiazzati dai beni della globalizzazione: quest’ultima, infatti, fornisce beni a bassissimo prezzo (e di altrettanto bassa qualità), ma, data l’artificiosa carenza di mezzi monetari nelle tasche dei consumatori, spiazza (creando disoccupazione locale) le produzioni tradizionali e di qualità non protette da nicchie.
Quindi, il consorzio emette moneta locale (che non può essere spesa fuori dal territorio e dal circuito che la accetta) e consente ai produttori di ricominciare ad approntare i beni e i servizi per i quali, in precedenza e a causa della globalizzazione, mancavano mezzi di acquisto in valuta a corso legale (liquidità).
Così, i consumatori e i produttori di beni finiti si troveranno in tasca due tipi di moneta: quella forte, internazionale, come gli euro, e quella debole, locale. Cercheranno di spendere prima quest’ultima perché l’altra può essere utilizzata per ogni transazione, mentre quella locale solo per beni finiti e intermedi tutti dentro la filiera locale.
Riassumendo: devono esistere risorse disoccupate disponibili e dev’essere possibile integrare tutta la filiera di un prodotto senza esser costretti ad importare dall’esterno parti o materie prime.
Le banche locali potrebbero venire interessate dalla cosa perché il maggior reddito così immesso (pur essendo concorrente col credito bancario stesso) fornisce ai cittadini mezzi aggiuntivi che liberano risorse in valuta internazionale necessarie a pagare le rate dei debiti.
A questo tipo di moneta può venire interessato l’ente locale che entrerebbe a far parte del consorzio stesso.
L’ente locale può emettere altri due tipi di moneta del territorio: quando aspetta trasferimenti da istituzioni sovraordinate che tardano ad arrivare e, allora, emette effetti metallici o elettronici (quelli cartacei sono proibiti da un regolamento del 1909) che, in seguito, saranno scambiati con gli euro quando essi arriveranno.
Questo tipo di moneta può fare aggio su quella attesa purché si svaluti in proporzione al ritardo nella sua utilizzazione.
Un terzo tipo di moneta comunale può venir gestita attraverso un bilancio parallelo (il Comune, ad esempio, finanzierà solo questa iniziativa come finanzierebbe fontanelle o la ristrutturazione della biblioteca): al passivo di esso ci sarà l’immissione di buoni acquisto senza copertura, finalizzati a sostenere il reddito dei disoccupati che svolgerebbero attività – es. manutenzione strade e giardini – per le quali difettava lo stanziamento; all’attivo le entrate per far funzionare servizi aggiuntivi (ad esempio, asili nido) per cui le famiglie sarebbero disposte a pagare, parte, in euro, e, parte, in buoni acquisto. Quindi, se il costo dei servizi aggiuntivi a pagamento (ovviamente a prezzi inferiori rispetto a quelli praticati dai privati) pareggia la componente in euro, il bilancio (parallelo) sarà in pareggio: le entrate in euro copriranno i costi e i buoni acquisto in entrata e in uscita si pareggeranno.
Ovviamente i servizi comunali devono essere aggiuntivi a quelli dei privati e non sostitutivi: ciò dipende dal fatto che “il mercato” è segmentato tra i poveri (che ricevono gratuità dalle amministrazioni stesse), ricchi (che possono pagarsi servizi necessari di tasca propria) e quel che resta della classe media con ISEE superiore a quello dei poveri, ma senza sufficiente reddito.
Alla fine, senza sborsare un euro (a parte l’eventuale finanziamento dell’iniziativa), il Comune avrà fatto la manutenzione di strade e giardini, dato un reddito da lavoro agli ex-disoccupati, avviato servizi aggiuntivi a pagamento.
Affinché una tale architettura funzioni, occorrono: disoccupati disponibili; servizi aggiuntivi di interesse della cittadinanza; quindi, un’analisi attenta del territorio, delle sue caratteristiche e delle sue esigenze.