Quando ancora, nell'autunno del 1946, le lacrime dei sopravvissuti, così come le ferite nel corpo e nello spirito, sanguinavano copiosamente, le quattro potenze uscite vincitrici (chi più, chi meno...) dal secondo conflitto mondiale decisero di processare i responsabili del nazismo e gli altri - militari, imprenditori, uomini di scienza - che si erano accodati al Fuhrer per tornaconto personale o per convinzione.

E lo fecero creando una fattispecie giuridica assolutamente sconosciuta, quella dei crimini contro l'umanità, che valicava i limiti della territorialità. Un'accusa che troppo spesso, colpevolmente o per ignoranza, viene accostata solo all'Olocausto, quando la violenza dissennata del nazismo (e di chi ad esso si accodò) colpì anche altre “categorie”, meritevoli d'essere colpite o, come gli ebrei, sterminate.

Norimberga ha segnato l'inizio di una nuova ''era'' giuridica e forse, disvelando tutte le atrocità del regime, sperava di contribuire a estirpare la malapianta dell'antisemitismo. Che però, a dispetto dell'evidenza, non è mai morta, spandendo i suoi malefici semi in tanti Paesi, anche in quella Germania che, davanti all'orrore che si era generato dal suo popolo, avrebbe dovuto avere la forza di imboccare la strada della presa di coscienza, della consapevolezza e dell'ammissione di responsabilità, non solo da parte di chi s'era materialmente macchiato le mani di sangue, ma anche di chi sapeva e ha taciuto.

Quelli che, come mirabilmente raccontato in più film, intuivano quello che, a poca distanza da loro, accadeva, ma si negavano il dovere di interrogarsi. Per connivenza, per convenienza, per inanità, per codardia.

Quel processo, quelle condanne a morte, con Hermann Göring che vi si sottrasse appena poche opre prima di salire i gradini del patibolo, sono state anche una pietra miliare della storia giudiziaria del mondo perché, per la prima volta, fu ammessa la proiezione, come prova dell'accusa, dei filmati girati dai soldati americani - per volontà del generale Eisenhower; poi i russi avrebbero fatto lo stesso - nei campi di sterminio, con le cineprese che facevano sentire il loro ticchettio passando tra fantasmi in fattezza d'uomo e cadaveri accatastati, come fascine pronte ad essere bruciate.

La spietata organizzazione con cui le SS inquadrate nelle Einsatzgruppen obbedivano al loro compito (come dissero quelle andate a processo: per noi erano solo ordini) ha cancellato, con un tratto d'inchiostro rosso sangue, milioni di uomini e donne, bambini, anziani, omosessuali, zingari, disabili. Un tritacarne dello spirito, oltre che reale.

Eppure anche oggi in Germania l'antisemitismo esiste, c'è, si alimenta tra ideologia e odio etnico e la sua presenza si avverte netta, quasi che, come un fiume carsico, non aspetti altro che tornare su, manifestarsi, proporsi.

Come è accaduto appena pochi giorni fa, quando, a Giessen, mentre si stava celebrando il congresso per la rifondazione del movimento giovanile di Allianz für Deutschland, il partito che si ispira alla destra più estrema, un ragazzo è salito sul palco e, nel suo discorso, ha imitato in modo palese il Fuhrer e come Adolf Hitler si rivolgeva alle folle, nella stessa maniera in cui lo raccontò Leni Riefenstahl ne Il trionfo della volontà, girato nel 1935 appunto a Norimberga, per questo scelta per il processo, celebrato nella culla del regime.

Uno studio, fatto su un campione molto vasto di soggetti, dal Centro tedesco per la ricerca sull'integrazione e la migrazione, ha indagato sugli atteggiamenti antisemiti, soprattutto tra gli immigrati musulmani in Germania che, hanno accertato i ricercatori, diminuiscono, si stemperano quanto più lungo è il periodo del loro soggiorno nel Paese e con l'aggiungersi delle generazioni.

Dallo studio è emerso un aspetto significativo: sebbene gli atteggiamenti antisemiti siano presenti in tutti i gruppi della società tedesca (e questo è un elemento inquietante), le differenze riguardano più l'orientamento politico – in particolare le preferenze partitiche – che l'origine.

Per dare parametri sempre più stretti al tema della ricerca, sono state proposte diverse affermazioni/possibili risposte a domande generiche, sul fatto che gli ebrei fossero "altri", fossero élite o sostenessero cospirazioni legate agli israeliti. L'affermazione sull'alterità è stata respinta dalla maggioranza in tutti i gruppi etnici, con almeno il 70% che la riteneva falsa. Per quanto riguarda le teorie del complotto antisemite, i musulmani e gli intervistati del Sud-Est asiatico hanno registrato il rifiuto più basso, intorno al 63%; tuttavia, si trattava comunque di una maggioranza.

Un aspetto molto significativo ha riguardato l'approccio alla tematica della ricerca dei musulmani, acriticamente, bell'accezione comune, arruolati d'ufficio tra gli antisemiti più convinti.

In questo segmento della popolazione residente in Germania sono importanti lo status di cittadinanza e la durata del periodo di permanenza nel Paese. I tedeschi-musulmani di seconda o terza generazione o coloro che hanno già la cittadinanza sono stati quelli più propensi a respingere affermazioni antisemite – in particolare narrazioni cospirative – rispetto agli immigrati più recenti o agli individui senza cittadinanza tedesca.

Le persone di origine musulmana erano meno propense a rifiutare affermazioni che riflettevano un antisemitismo secondario, che si riferisce alla revisione o al rifiuto di fatti storici o all'inversione dei ruoli vittima/carnefice.

Alcune domande del questionario meritano attenzione, come quella sul fatto che gli ebrei ''traggono profitto dalle sofferenze dell'Olocausto oggi''. Se questa affermazione è stata respinta da circa il 70% di coloro che non hanno un background migratorio, solo il 37% dei musulmani la ritiene non veritiera.

Ma, ed è qui che lo studio diventa indicativo, i sostenitori dell'AfD hanno mostrato livelli notevolmente elevati di antisemitismo, sia quello tradizionale, che il secondario legato a Israele, ma anche di un sentimento anti-musulmano.

Però negli ultimi tempi si sta assistendo in tutto il mondo ad una pericolosa saldatura tra due posizioni che, apparentemente legate solo da un punto di vista ''etnico'', ora si mischiano, accomunando l'odio palese per le politiche di Israele in Palestina con l'antisemitismo, non distinguendo più la forte avversione verso quello che fanno il governo di Benjamin Netanyahu e i coloni con il cittadino israeliano, che magari contesta Bibi, ma ad esso viene accomunato, esponendolo quindi a pagare colpe che non sono sue.

Così accade, come è successo a Manchester, che ad essere attaccata, con un bilancio di morti, da un musulmano radicale è stata una delle sinagoghe meno politicizzate del Regno Unito. Così accade che davanti ad un tempio israelita ci sia stata una manifestazione degenerata in atti di violenza per la presenza di un'organizzazione che nulla ha a che fare con il governo di Israele. E manifestazioni di generalizzata intolleranza a tutto quello che rappresenta Israele si registrano anche in Paesi che, di consolidata democrazia, proprio per il rispetto del diritto alla libera espressione, assistono ad esplosioni di violenza incontrollata contro gli israeliti.