La giustizia e la libertà si odieranno tra loro in eterno.
(Eduardo Galeano)
Tra i Paesi latinoamericani imbavagliati, devastati, trucidati, annientati dalle dittature militari, parlerò - in particolar modo - dei due stati più italiani del Sud America: Argentina e Uruguay verso cui connazionali e corregionali si rivolsero per sfuggire alla disperazione della povertà locale, e dove incontrarono un altro tipo di disperazione. Non potrò mai restituire la loro indicibile sofferenza e quella dei loro familiari, ma mi preme - sopra ogni cosa - onorare tutte le persone di cui conosciamo il nome, talvolta il viso e particolari di vita. E tutti gli sconosciuti, donne e uomini scomparsi, bambini rubati, anime erranti… Una sterminata moltitudine (o una moltitudine sterminata) di vittime innocenti.
Attraverso le parole di due scrittori-giornalisti, l’uruguayano Mario Benedetti e l’argentino Rodolfo Walsh e quelle del giornalista sardo Carlo Figari ripercorrerò le tappe delle due atroci dittature, di chi le ha patite da vicino e di chi le ha narrate da lontano.
L’Operazione Condor1 iniziata ufficialmente nel novembre 1975 su volere del dittatore cileno Augusto Pinochet, dà l’avvio alla supremazia dei regimi militari in gran parte dell’America Latina: un “contagio” letale. Fu un’enorme e spietata operazione di intelligence - che coinvolse Argentina, Uruguay, Paraguay, Cile, Bolivia, Perù, Brasile - sostenuta dalla CIA per il consolidamento e la continuazione delle dittature in Sud America.
L’intervento degli USA comprendeva oltre all’addestramento militare, alla dotazione di armi, alla meticolosa preparazione di operazioni di intelligence, anche l’esportazione dei più efficaci mezzi di tortura. La CIA istituì, nella zona centrale del Canale di Panama, una base di coordinamento di tutti gli Stati coinvolti nell’Operazione Condor.
Voglio evidenziare due cose fondamentali:
Gli obiettivi non erano assolutamente solo i guerriglieri (la cui azione peraltro era diretta contro un regime dittatoriale e non contro uno Stato democratico), ma tutti coloro che -in qualsiasi modo- si opponevano e contrastavano il mostruoso e tentacolare Sistema.
Ci sono una corresponsabilità e coinvolgimento anche europei. La giornalista francese Marie-Monique Robin scoprì negli archivi del Quay d’Orsay (sede del Ministero degli Esteri francese) documenti originali attestanti un accordo tra Francia ed Argentina per crearvi una base operativa militare francese permanente. Gli ufficiali francesi, tutti veterani della Guerra d’Algeria (1954-1962), esperti in controinsurrezione, addestrarono i militari argentini a tecniche di tortura e sequestro dei dissidenti.
L’inchiesta della Robin è diventata anche un docufilm nel 2003, Les escadrons de la mort – L’Ėcole française, in cui i generali sudamericani che imposero il terrore nel decennio Settanta - Ottanta, rivelano, per la prima volta, di essere stati addestrati dall’esercito francese2 con i propri metodi. (Ma non bisogna dimenticare che i militari latinoamericani presero in prestito anche dal nazismo torture di ogni tipo).
Metodi atroci già sperimentati, appunto, nella Guerra d’Algeria dove scomparvero circa 30.000 algerini, ma anche il francese Maurice Audin - assistente all’Università di Algeri - fervente sostenitore degli indipendentisti del Fronte di Liberazione Nazionale, e per questo considerato un traditore in patria e dai militari in Algeria. Audin, simbolo di tutti gli orrori di quella sporchissima guerra, è stato uno scomparso per 60 anni, fino a quando se n’è svelata la sorte: tortura ed uccisione. La medesima sorte degli incalcolabili desaparecidos latinoamericani fatti sparire con le stesse, identiche modalità.
Anche l’Italia, con l’appoggio della loggia massonica P2 e nella persona di Stefano delle Chiaie, non si è sottratta a quest’infernale macchina della morte. Coinvolto nelle inchieste delle più terribili stragi durante la “strategia della tensione”3, Delle Chiaie nel 1970 ripara a Madrid, nell’auge della Spagna franchista. Alla morte di Francisco Franco, nel novembre 1975, si trasferì a Santiago del Cile dove poté disporre, per il suo gruppo, di un ufficio in stile Aginter Press: l’agenzia di stampa internazionale con sede a Lisbona dietro cui si celava un’associazione sovversiva fascista.
Delle Chiaie partecipò, su richiesta di Pinochet, alle riunioni della DINA (la polizia segreta cilena) e collaborò poi nell’Operazione Condor per la persecuzione degli oppositori. Attraversò, con la sua scure nera, l’Argentina nel 1977 e l’anno successivo la Bolivia partecipando alla costituzione di un gruppo paramilitare, presieduto dal boia nazista Klaus Barbie, lì sotto il falso nome di Klaus Altmann, alle dipendenze del Ministero dell’Interno boliviano. Questo gruppo favorì il generale Luis Garcίa Meza Tejada nel prendere il potere con un golpe nel 1980. Delle Chiaie fu “il braccio destro” di L. G. Meza Tejada e poi del suo successore.
Senza il sostegno e la protezione di Stati terzi, i regimi sudamericani sarebbero stati comunque così spietati, sanguinari e perversi? La perversione è concetto che ricorre nel definire queste dittature. Rodolfo Walsh, nel suo monumentale Operazione massacro 4 , parla di “perversità di quel regime”5 e Maria Inės Busi, nipote di Salvador Allende, nella prefazione a El Tano di Carlo Figari scrive:
Mille volte mi sono chiesta da dove possa essere uscita tutta quella perversione, tutta quella cattiveria per eliminare nel modo più crudele dei compatrioti che la pensavano in un modo diverso.6
Rodolfo Walsh è uno di questi. Nella sua Lettera aperta di uno scrittore alla giunta militare, con cui firmò la sua condanna a morte, si rivolse apertamente ai militari che assunsero il potere in modo illegittimo il 24 marzo 1976 gettando l’Argentina nel “terrore più profondo che […] abbia mai conosciuto"7.
Denunciò tutte le perversità della dittatura più sanguinosa tra le sei che l’Argentina conobbe, a periodi alterni, dal 1930. Quella dittatura che, tra le tante atrocità, uccise sua figlia Vicky, militante nei Montoneros8, come lo era stato lui.
Ma la spietatezza di tutti questi regimi si manifestava anche con una diffusione di morte e violenza più subdola: la fame e la miseria. Sia Mario Benedetti che Rodolfo Walsh, nelle analisi sulle reciproche dittature, affermano che la violenza più feroce è stata portare interi popoli allo stremo, alla povertà più assoluta; quella che lo scrittore argentino definisce “miseria programmata” 9.
L’uruguayano racconta:
La violenza era l’implacabile contorno che obbligò, per esempio, a un cittadino di Paso de Los Toros (località dell’interno del paese), a porre fine alla sua vita, perché il suo figlioletto di pochi mesi era morto di fame e la sua compagna era stata presa per aver intentato (solamente intentato) un minimo furto con lo scopo di ottenere cibo per la creatura […] La violenza era il fatto inoccultabile che migliaia di bambini uruguayani non avevano più preso un bicchiere di latte.10
La violenza era la delinquenza a cui erano costretti migliaia di uruguayani per sopravvivere. La violenza era la malnutrizione e la mancanza di igiene.
Tutto ciò investì quasi un intero continente. Tutto ciò colpì l’Argentina, l’Argentina di Rodolfo Walsh dove violenza e potere erano indissolubili. Dove si diffusero gravissime malattie come nel Terzo Mondo, dove non c’erano più medicinali ed ospedali gratuiti. Violenza e potere ridussero Buenos Aires ad “una baraccopoli di dieci milioni di persone”.11
È in questo triste contesto di violenza e povertà - il dramma di un’intera nazione (e di intere nazioni) - che vivono anche i tantissimi emigrati, come i sardi Martino Mastinu e suo cognato Mario Bonarino Marras, originari di Trasnuraghes12; sfuggiti all’estrema indigenza della Sardegna e in cerca di fortuna in Argentina.
Martino Mastinu, detto El Tano (L’italiano) era un noto sindacalista, operaio dei cantieri navali di Astarsa, Tigre. In seguito ad un incidente sul lavoro di un suo collega, propose di occupare subito i cantieri e denunciarne le misure di sicurezza. Esortò gli altri operai attraverso un discorso che mise in luce tutto il suo coraggio. Ma la sua protesta per un luogo di lavoro più giusto e sicuro gli costò il suo primo sequestro.
Non ci si poteva ribellare, era pericoloso parlare al lavoro e ovunque; il tradimento e la delazione dilagavano e diventava difficile fidarsi di chiunque. Martino Mastinu, l’eroe sindacale, era una vera minaccia e un autentico nemico per la giunta guidata dal generale Videla. In seguito al sequestro, cambiò radicalmente:
El Tano, il giovane e combattente leader dei cantieri, era diventato il fantasma di se stesso. Poco tempo dopo abbandonò definitivamente i compagni. Non voleva più essere un militante […] Il sequestro lo aveva distrutto.13
Le vessazioni, le torture, le umiliazioni psicologiche minarono un carattere forte e combattivo. Fu costretto, inizialmente, a nascondersi presso un compaesano in un’isola del Delta del Paranà dove rimase per quasi un mese. Riesce a mettersi in contatto con la madre a cui si rivolge con accorate parole:
Voi tutti siete in pericolo a causa mia […] Il mondo non sa cosa sta succedendo nel nostro paese. Si parla di sparizioni. Li prendono e non tornano più.14
Nel discorso di Martino ci sono tante verità che verranno allo scoperto una volta crollata la dittatura. La prima è che, quando una persona veniva presa, sequestrata, torturata e finanche uccisa - in un devastante effetto domino - venivano coinvolti familiari e persone vicine. Nel caso di Martino, il cognato Mario Bonarino Marras venne ucciso (ci sono testimoni oculari), la moglie Rosa Piras e la sorella Santina sequestrate, torturate e minacciate. Costrette a cambiare vita, carattere e ad accettare l’inaccettabile.
Martino è consapevole che, al di fuori dei confini argentini, il mondo è ignaro di quanto stia succedendo. È distratto da un’Argentina “tirata a lucido” e impegnata a far sfoggio di sé per quei Mondiali di calcio di cui sarà anche campione. Solo dopo la caduta della giunta golpista, in seguito alla sconfitta contro gli inglesi nella guerra delle Falkland-Malvinas, si conobbe l’entità del genocidio.
E Martino accenna, infine, alle sparizioni. Le innumerevoli sparizioni a cui corrispondono un nome, una persona che non c’è più e che mai più ritornerà. Desaparecidos. Martino, al pari di Rodolfo Walsh, da testimone si farà protagonista, vittima (il secondo sequestro sarà quello fatale) di quella guerra sucia vissuta da combattenti: il primo come sindacalista, il secondo come scrittore con l’arma più affilata, la macchina da scrivere.
Dopo la sua Lettera aperta, ricercato da esercito e polizia, ha con sé una pistola. La estrae quando è circondato dagli uomini dell’ESMA15. Verrà freddato da una raffica di mitragliatrice e il suo corpo mai ritrovato. Desaparecido. Come Martino Mastinu e come tutti coloro che hanno anche solo provato ad opporsi all’ingiustizia, al potere coercitivo, alla forza bruta e alla barbarie.
Da una storia si dipanano altre storie, persone richiamano altre persone. C’è chi si è salvato, come Mario Villani: un dissidente italiano in Argentina arrestato perché una donna sotto tortura fece il suo nome. Fu prigioniero per sei anni e si salvò grazie alla sua professione di fisico nucleare: riparava gli elettrodomestici che le squadre dei militari in borghese (le patotas) razziavano. La sua vicenda ricorda molto da vicino quella dello scrittore Primo Levi, salvatosi ad Auschwitz grazie al suo lavoro di chimico. Voce dei salvati di contro ai silenzi dei sommersi, in Polonia come in Argentina.
Ed è lo stesso Villani a paragonare il proprio vissuto a quello delle vittime dell’Olocausto:
L’Esma è il simbolo di tutti gli orrori della dittatura. È la nostra Auschiwtz!16
Luoghi di predominio e sottomissione, di abominio, di oltraggi continui, di violenze fisiche e psicologiche senza sosta. Quella di Villani è una storia esemplare, in cui l’orrore non è cessato con la fine della dittatura: venne accusato di aver collaborato con gli aguzzini. Un dolore ancor più grande delle torture e di tutte le umiliazioni a cui fu sottoposto.
Come l’ordine di aggiustare la picana17, il bastone elettrico usato per le torture e per lui vera e propria tortura psicologica, tortura della coscienza. Inizialmente si rifiutò e lo seviziarono con lo strumento guasto, ma poi accettò abbassandone il voltaggio, dopo aver visto che due reclusi venivano arsi.
Fu un problema di coscienza difficile da capire per chi non ha vissuto quei momenti.18
I prigionieri dei centri di detenzione erano come quelli dei campi di sterminio nazisti: veniva assegnato loro un codice (come il marchio nazista) e non ci si doveva chiamare per nome, pena essere bastonati. Sempre bendati e, di conseguenza, sempre affetti da infezioni e lacerazioni della pelle. La crudeltà a cui erano sottoposti, uomini e donne, infinita. Le donne incinte, al momento del parto, venivano private dei loro affetti più cari. Questi torturatori adottarono un altro perverso crimine: rubare i figli alle dissidenti e “regalarli” alle famiglie dei militari per essere educati secondo i loro precetti.
Una delle loro colpe più grandi è aver rescisso per sempre quel cordone ombelicale, aver fatto vivere nell’incertezza madri e nonne mai rassegnate, averle fatte manifestare - per decenni - coi fazzoletti bianchi e le fotografie al collo in Plaza de Mayo. C’è chi, come Estela Carlotto, leader delle abuelas, grazie alla Banca Nazionale dei Dati genetici (voluta proprio dalle abuelas), è riuscita a trovare suo nipote Guido. C’è chi ancora lo cerca e c’è chi l’ha trovato, ma quel nipote - nonostante sappia - non vuol tornare alle vere origini.
Tomás Eloy Martinez, scrittore argentino esiliato a Caracas, scrive al proposito:
A quei tempi le persone sparivano a migliaia, senza ragione apparente […] Sparivano bambini dal ventre delle madri e sparivano madri dalla memoria dei figli […] Alcuni, pochi, sarebbero riapparsi molti anni dopo, ma non erano gli stessi. Avevano altri nomi, altri genitori, e una storia che non era più la loro.19
Quelle madri possono essere una delle tante gettate ancora vive dagli aerei nell’Oceano. Bendate, sedate e fatte volare per volere del Condor… A parlare dei voli della morte è il capitano Scilingo. Difronte al famoso giornalista Horacio Verbitskj racconta, dopo dieci anni dalla caduta del regime, come si organizzavano i “voli della morte” e come tutti quegli innocenti divennero desaparecidos per sempre.
La freddezza con cui descrive tutto il processo è spaventosa e raggelante quando arriva alla fine: i prigionieri dopo aver perso i sensi in seguito alla sedazione, venivano completamente spogliati e lanciati ad uno ad uno. Dice l’ex ufficiale:
Non riesco a dimenticare l’immagine dei corpi nudi sistemati uno sopra l’altro nel corridoio dell’aereo, come in un film sul nazismo.20
Trovo agghiaccianti queste sue parole: paragonare tutto questo orrore a un film, a finzione, e non alla realtà documentata da tanti, atroci filmati.
La Storia delle dittature militari sudamericane è la più valente dimostrazione del perpetuarsi di una Storia corrotta e disumana con connivenze varie: ciò che già era accaduto in altri Stati si è realizzato qui in un clima inquisitoriale e di terrore. Gli autodafé dei libri proibiti erano legati a quelli delle persone proibite: bruciare i loro ideali per sempre era l’obiettivo di quegli spietati dominatori.
Mario Benedetti ha visto i suoi libri messi all’indice e fu costretto all’esilio in vari Paesi (le sue patries suplentes) a causa delle idee politiche. Da letterato, e non solo da cittadino, è, per lui, un obbligo morale dedicarsi alla politica in seguito alla gravissima crisi (politica, economica, sociale) che colpì l’Uruguay negli anni Sessanta e Settanta. La politica è “una forma d’amore”21, il doveroso impegno per “prendersi cura” della realtà che lo circonda.
Benedetti ha sempre detto che sa parlare solamente di ciò che conosce e afferma:
Oggi l’Uruguay ha due regioni: una, il paese che vive sotto la dittatura, e l’altra, l’esilio politico. Io cerco di parlare dell’Uruguay che ho più vicino, quello dell’esilio, ma ho la necessità di tendere ponti verso l’altro.22
La condizione dell’esiliato è magicamente descritta in Geografίas dove il narratore e un amico, entrambi in esilio a Parigi, fanno un gioco sulla lontanissima Montevideo, loro città natale. Un dettaglio della città viene evocato da uno e l’altro deve descriverlo alla perfezione. Se non ricorda, perde un punto. Il gioco si tramuta in indagine e il ricordo diventa sempre dolore. Vittime.
Vittime sono tutti coloro che, in modi diversi, sono stati ostaggio di queste dittature. Troppe. Una stazione della metropolitana di Buenos Aires è dedicata a una di loro: Rodolfo Walsh. Si sente il ticchettio della sua macchina da scrivere, più forte del gracchiare del condor.
La dimenticanza non è la vittoria sopra il male o sopra niente e se è la forma velata di burlarsi della storia, per questo c’è la memoria…
Mario Benedetti, En el dίa del medico.
Bibliografia
1 Dall’avvoltoio andino.
2 Tecniche e metodi come torture, voli aerei carichi di detenuti e interrogatori, che i francesi perfezionarono dopo la sconfitta in Indocina e la guerra in Algeri, Les escadrons de la mort – L’Ėcole française.
3 Il periodo di terrorismo vissuto dall’Italia dal 1969, dalla strage di Piazza Fontana fino ai primi anni ’80, volto alla destabilizzazione del Paese.
4 Resoconto e denuncia dell’uccisione da parte della polizia, nel 1955, di cinque detenuti: un crimine di Stato. Rodolfo Walsh, fulgido esempio di giornalista investigativo (e letterato) venne a conoscenza delle fucilazioni clandestine nel giugno 1956. L’anno successivo uscì Operazione massacro, suo libro-denuncia.
5 Rodolfo Walsh, Operazione massacro, la Nuovafrontiera, Roma 2017, p. 187.
6 Carlo Figari, El Tano. Desaparecidos italiani in Argentina, AM&D Edizioni, Cagliari 2000, p. 12.
7 Rodolfo Walsh, Op. cit., 192.
8 Organizzazione guerrigliera peronista di sinistra.
9 “Ė nella politica economica di questo governo che va ricercata non solo la spiegazione dei vostri crimini, ma una crudeltà ancora più grande che punisce milioni di esseri umani con la miseria programmata”, Rodolfo Walsh, Op. cit., p. 197.
10 Mario Benedetti, Una guίa para leer a Mario Benedetti por Hortensia Campanella, Alfaguara ebook, p. 46 (La traduzione è mia).
11 Rodolfo Wash, Op. cit., p. 198.
12 Paese dell’oristanese che li ricorda sempre: la foto di El Tano campeggia sul muro della chiesetta campestre.
13 Carlo Figari, El Tano. Desaparecidos italiani in Argentina, AM&D Edizioni, Cagliari 2000, p. 78.
14 Carlo Figari, Op. cit., pp. 93-94.
15 Il più grande centro di detenzione e tortura argentino.
16 Carlo Figari, Op. cit., p. 196.
17 La picana era il bastone con cui i gauchos spingevano le vacche.
18 Carlo Figari, Op. cit., p. 191.
19 Tomás Eloy Martinez, Purgatorio, SUR 29, SUR 2015 a cura di Francesca Lazzarato (ebook), p. 285.
20 Carlo Figari, Op. cit., p. 185.
21 Mario Benedetti, Op. cit., p. 46.
22 Mario Benedetti, Op. cit., p. 47.