Nei primi anni Novanta, quando esplose Tangentopoli, l’Italia sognò con il Pool di Mani Pulite, formatosi all’interno della procura milanese, un cambiamento epocale che, alla prova della storia, non solo non sembra essersi avverato, ma sta risultando quasi un rimedio peggiore del male che voleva combattere.

Il popolo italiano sognò che le ingiustizie e i privilegi della casta sarebbero finiti; sognò che la mafia e il malaffare dentro la politica sarebbero terminati; sognò che l’attività politica l’avrebbero svolta i galantuomini e non più i ladri matricolati dei partiti della Prima Repubblica: La DC, il PSI, il PCI e via elencando, dal pentapartito per tutto l’arco costituzionale.

Quello che è successo dopo che Mani Pulite ha spazzato via un’intera classe politica, lo abbiamo ancora sotto gli occhi: le bustarelle e i privilegi continuano a girare a tutto spiano; gli scranni che contano sono occupati da dilettanti allo sbaraglio, forse dotati di buone intenzioni, ma privi di esperienze e in molti casi perfino di capacità; le istituzioni sono allo sbando, l’economia langue moribonda e i nostri giovani se ne vanno all’estero, privati di ogni speranza e del lavoro.

Ci siamo risvegliati dai sogni di gloria di Mani Pulite.

Forse è giunto il momento di tracciare un bilancio storico di quella vicenda.

In quegli anni sono stato a guardare, mentre cadevano tutte quelle teste coronate, speranzoso in un’Italia migliore. Quella classe politica, spazzata via dal pool dei pubblici ministeri milanesi, non lo dimentico, era quella sopravvissuta alla triste parentesi degli anni di piombo, al fuoco dei terroristi; la stessa classe politica che non ebbe né la capacità, né il coraggio, di salvare la vita all’onorevole Aldo Moro, ucciso dai brigatisti nel maggio del 1978, dopo cinquantacinque giorni di prigionia. L’illustre vittima delle BR lanciò il suo anatema sui rappresentanti più illustri di quella classe politica, scrivendo che il suo sangue sarebbe ricaduto su di loro.

Credo che si sia sottovalutato questo aspetto, negli oltre anni di analisi e di studio che sono seguiti alla resa dei conti di Tangentopoli.

Non è questa la sede appropriata per un giudizio oggettivo e per un’analisi storica delle vicende del pool della procura di Milano e sulle conseguenze che quell’attività giudiziaria ha determinato sulla vita politica italiana. Io sto studiando e approfondendo il tema in altra sede. Qui mi azzardo soltanto a sostenere che il popolo italiano si schierò compatto con i giustizieri di Milano e contro la classe politica italiana, anche perché la riteneva responsabile della morte di Aldo Moro.

Intendiamoci bene: io sono convinto che a schiacciare il grilletto che uccise lo statista democristiano fu uno dei brigatisti rossi. Ma il popolo italiano capì bene, nonostante gli omissis e le cortine di fumo che si frapposero all’accertamento della verità sulla morte di Aldo Moro, che una parte della classe politica fu responsabile, quantomeno, di non avere fatto abbastanza per salvare la vita al povero Moro.

Sono altresì convinto che non ci fu soltanto questa recriminazione interiore ad esacerbare gli animi del popolo italiano: sicuramente ebbe il suo peso anche la sensazione che un mare di danaro pubblico venisse drenato dalla classe politica per la propria sopravvivenza, non sempre speso tuttavia per fare funzionare quegli apparati mangiasoldi che si chiamavano e si chiamano partiti politici. E si tenga presente anche le dimensioni che ha assunto il debito pubblico italiano; una dimensione tale da preoccupare e da condizionare tutti i governi sulla tenuta dei conti pubblici. Viene da chiedersi, per inciso, dove siano finiti i soldi dell’enorme debito pubblico.

C’era anche la frustrazione di avere vissuto per decenni in una democrazia incompiuta, mutilata all’interno dall’incapacità di coinvolgere il partito comunista prima, e il movimento sociale poi, nella gestione del governo (ma a quest’ultima limitazione pose rimedio Silvio Berlusconi, sin dal primo suo governo, che grazie a una revisione storica portata avanti dai missini, coinvolse l’ex partito postfascista ai massimi livelli governativi); mentre dall’esterno gli italiani avevano assistito inermi alla tarpatura delle ali che gli USA fecero all’ingresso del Partito Comunista nel centro di comando romano (e qui, inevitabilmente, torniamo alla vicenda di Aldo Moro, vero crocevia storiografico, per una corretta analisi delle vicende storiche dell’Italia dell’ultimo mezzo secolo).

Ma cosa resta oggi, nel 2024 di quella stagione, a parte le macerie della Prima Repubblica?

Borrelli e D’Ambrosio sono morti; Di Pietro ha sperperato il suo patrimonio di credibilità nella sua avventura politica; Gherardo Colombo, molto saggiamente, si è ritirato dalle scene e lavora per la prevenzione della correzione istruendo i giovani nelle scuole.

Forse è ancora presto per un meditato giudizio storico sul pool di Mani Pulite, che all’inizio degli anni novanta, spazzò via un’intera classe politica, trascinando in giudizio tutti i più importanti uomini politici della Prima Repubblica, accusati di avere imposto alle imprese un sistema di tangenti e bustarelle che, in violazione del codice penale, drenando una marea di soldi nelle casse dei loro partiti (ma, pare, anche nei loro conti personali), facevano lievitare a dismisurare il costo degli appalti, procurando un indubbio danno alle casse dello Stato e alla cosa pubblica.

E certo però che il pool di Mani Pulite di Milano ebbe un grande seguito popolare. Forse fu un movimento populista ante-litteram, nel senso che parlava alla pancia del Paese. Ma l’odio della gente contro la casta politica era tanto e tale, che tutta l’Italia si schierò con loro. Forse è lì che è iniziato il distacco tra la politica e la gente. Questo aspetto non è stato ancora abbastanza approfondito.

Di quegli eroi osannati dal popolo ne restava visibile, sino a poco tempo fa, soltanto uno: il dott. Piercamillo Davigo.

Questo magistrato, per lunghi anni autore di un meritorio impegno contro la corruzione politica degli anni caldi di Tangentopoli, ha rilasciato al Fatto Quotidiano un’intervista che di eroico non ha davvero niente. Un uomo delle istituzioni, che ha fatto parte a lungo di uno dei tre poteri dello Stato (anche in misura apicale, avendo occupato un seggio nel Consiglio Superiore della Magistratura, il massimo organo di autotutela dei magistrati), non dovrebbe esprimersi come si è espresso Davigo. Infatti il prode reduce di Mani pulite, per risolvere i problemi della giustizia italiana (di cui ha fatto parte per quarant’anni), suggerisce e propone di limitare i poteri della difesa nel processo penale, arrivando a dire che gli avvocati che propongono appello dovrebbero essere assoggettati a una sanzione pecuniaria in caso di conferma della sentenza impugnata.

Ma si può osare tanto? Ma dove stiamo arrivando, se un magistrato, ancorché si tratti di un ex, osa mettere in discussione i più sacri principii costituzionali in materia di diritto della difesa in sede processuale?

Intanto, più o meno nel periodo in cui il dottor Piercamillo Davigo rilasciava l’intervista al quotidiano diretto da Marco Travaglio, dei documenti scottanti, riguardanti una delicatissima inchiesta, ancora in corso, transitavano nelle sue mani. Pare che il nostro paladino della giustizia non ne abbia fatto un buon uso, se è vero com’è vero che il 20 giugno scorso (nel giugno del 2023) l’ex pm del pool Mani Pulite, è stato condannato in primo grado a 1 anno e 3 mesi dal Tribunale di Brescia. Egli era infatti accusato di rivelazione del segreto d’ufficio in merito ai verbali di Piero Amara su una presunta Loggia Ungheria.

Non godo mai quando qualcuno viene condannato e per me vale comunque e sempre la presunzione d’innocenza sancita dalla nostra Carta Costituzionale (art. 27 Cost.).

I legali di Davigo hanno preannunciato appello: spero che in caso di conferma della condanna, essi non vengano condannati al pagamento di una sanzione (come proposto dal loro patrocinato nell’intervista sul Fatto Quotidiano). Sarebbe orribile. Davigo ha diritto, come tutti noi, di intraprendere ogni e qualsiasi difesa per dimostrare la sua innocenza.

A proposito di riflessioni storiche su Mani Pulite mi è venuta alla mente, mentre leggevo l’intervista di Davigo, una similitudine, partendo dalla considerazione che tutti i poteri dello Stato dovrebbero collaborare, come organi di uno stesso corpo. Ebbene, senza esprimere alcun giudizio di merito, la lotta della magistratura contro il potere esecutivo e il potere legislativo, mi ha fatto pensare a delle mani che accecassero gli organi della vista (o distruggessero degli altri organi), perché magari hanno guardato l’inguardabile; oppure a degli organi del corpo che confliggessero tra loro. Può infatti il cervello combattere contro il cuore? O il fegato lavorare contro i reni? Non sarebbero questi degli atteggiamenti cannibaleschi o autodistruttivi?

Ripeto: è una riflessione a caldo, e resta comunque in me salda la convinzione che occorra combattere sempre contro la corruzione dei politici.

Ma visti i risultati che l’opera del pool di Milano ha prodotto nel sistema politico italiano, forse è una riflessione che val la pena di tenere in considerazione.