Il nostro cervello molto spesso può incappare in vere e proprie trappole mentali, che ci distolgono dal percepire la realtà per quello che è, relegandoci in un mondo fittizio. Queste trappole vengono chiamate in gergo “bias cognitivi” e sono delle scorciatoie che il cervello usa quando deve prendere delle decisioni in condizioni di scarsità delle risorse (tempo e energia). Cioè, quasi sempre. Questi bias sono da sempre oggetto di studio da parte non solo della psicologia e della sociologia ma anche della psicologia e della sociologia “militarizzate”, che studiano i fenomeni psichici e sociali, sviluppando tecniche volte al controllo delle masse e al contenimento delle crisi.
I governi oggi usano molto i bias per narcotizzare le popolazioni e indurle ad accettare delle condizioni di vita, che, in condizioni normali, mai e poi mai avrebbero accettato. Pensiamo al coprifuoco o ai lockdown come misure imposte irragionevolmente innanzi all’emergenza di presunte crisi sanitarie o, ultimamente, alla “necessità” di armarsi per difendersi da un nemico inesistente identificato con la Russia. In condizioni di emergenza continua il nostro cervello deve reagire prontamente nel minor tempo possibile per far fronte ad una serie innumerevoli di minacce percepite come vere, propagandate ogni giorno a ritmo martellante dai media mainstream. In queste circostanze, conoscere le dinamiche delle distorsioni cognitive ci può aiutare a restare saldi con i piedi a terra e a non essere travolti da eventi catastrofici.
Ne abbiamo parlato con Andrea Di Gregorio, laurea in Psicologia, Master Trainer PNL, formatosi presso la NLPU di Robert Dilts a Santa Cruz in California, e dal 2012 Direttore di PNL Evolution, Scuola di PNL Sistemica in Svizzera. Andrea Di Gregorio è autore del libro Bias cognitivi. Non è solo teoria, È vita quotidiana. Manuale completo. I 184 modi in cui la nostra mente ci inganna.
Molto spesso, quando ci troviamo davanti a tante informazioni, tendiamo a selezionare e memorizzare solo quelle che confermano la nostra visione del mondo. Ci fidiamo di chi riteniamo autorevole, anche se parla fuori dal suo campo, e oggi affidiamo sempre più giudizi all’intelligenza artificiale, pensando che il processo automatizzato sia superiore a quello umano. Pensiamo, ad esempio, a quante volte ci è capitato di fare una ricerca online su un argomento e di leggere solo gli articoli che supportano la nostra tesi. Oppure, quante volte abbiamo comprato un prodotto consigliato da un influencer che ammiriamo, senza verificarne le reali qualità. Che cosa si nasconde dietro questi comportamenti, apparentemente irrazionali?
Alla radice di questi meccanismi ci sono le euristiche: scorciatoie mentali per decidere velocemente, anche se spesso ci ingannano ed è lì che si manifestano i bias cognitivi. Si tratta di "regole pratiche" che il nostro cervello ha sviluppato per funzionare in modo efficiente, risparmiando tempo ed energia. Un esempio è l’euristica della disponibilità, che ci fa ritenere più vere o frequenti le informazioni che ricordiamo con facilità, anche se non lo sono. Basti pensare a come, dopo aver visto un incidente aereo al telegiornale, la nostra percezione del rischio di volare aumenti, anche se le statistiche dimostrano che l'aereo è uno dei mezzi di trasporto più sicuri. L'errore che può derivare dalle euristiche si chiama bias. La psicologia sociale e cognitiva ne ha individuati diversi, nel mio manuale ne raccolgo 184 suddivisi in contesti differenti. Vediamo quelli pertinenti con la tua domanda.
Il bias di conferma porta a cercare, interpretare e ricordare le informazioni che rafforzano le nostre convinzioni già presenti, creando delle "bolle" di pensiero. Il bias di autorità spinge a credere a chi si ritiene autorevole, anche se non ha competenze specifiche sul tema. Ad esempio, se un noto scienziato si esprime su un tema fuori dal suo campo di ricerca, il suo parere viene comunque spesso accolto come una verità assoluta, senza il dovuto spirito critico. Infine, il bias di automazione porta a fidarsi ciecamente delle macchine, come gli algoritmi, ritenendoli infallibili. Sono solo alcuni esempi.
Ma allora che cosa sono, in generale, i bias cognitivi? E quali vengono usati più spesso dai governi per orientare l’opinione pubblica?
I bias cognitivi possiamo definirli come "distorsioni sistematiche del pensiero". Sono universali, agiscono in modo inconscio e sono intrinseci alla nostra natura. Nascono con una funzione evolutiva, in quanto ci permettono di prendere decisioni rapide in situazioni di pericolo. Ad esempio, se in passato per i nostri antenati era fondamentale reagire istintivamente di fronte a un predatore, oggi la mente spesso agisce in modo rapido più per risparmiare tempo ed energia che per operare la scelta migliore.
In politica, i bias possono essere utilizzati come strumenti potenti di persuasione per influenzare l'opinione pubblica. Ad esempio, l’euristica della disponibilità rende più credibili i temi ripetuti continuamente nei discorsi politici o nei media. Un altro esempio è l’effetto dell’esposizione, che porta a simpatizzare per ciò che si vede spesso, come il volto di un candidato politico, semplicemente perché è più familiare, da qui si intuisce perché chi ha più potere economico tende a vincere su chi non è in grado di apparire con la stessa frequenza. C'è poi l’effetto della negatività, che rende gli scandali e le campagne allarmanti molto più evidenti delle notizie positive, catturando l'attenzione del pubblico. E ancora, l’ancoraggio condiziona le scelte delle persone basandosi sulla prima informazione ricevuta. Un governo potrebbe annunciare una cifra molto alta per un progetto (l'ancora) per poi ridurla, facendo percepire la cifra finale come un successo o una vittoria, anche se è ancora molto alta.
Vi è poi l’effetto cornice, cioè il modo in cui un dato viene presentato linguisticamente può stravolgere la percezione di un messaggio. Ad esempio, presentare una tassa come un "contributo per la solidarietà" piuttosto che una "imposta patrimoniale" può cambiarne la percezione. E, naturalmente, non può mancare il bias di conferma, che spinge gli individui a cercare solo conferme alle loro convinzioni preesistenti, alimentando la polarizzazione.
Negli ultimi tempi stiamo assistendo a un’espansione impressionante dei servizi di intelligenza artificiale. Sempre più persone sembrano affidarsi agli algoritmi per le proprie decisioni. Se i bias cognitivi finiscono nell’IA, non rischiamo davvero di ritrovarci in un mondo come quello raccontato in The Matrix?
È una metafora suggestiva, ma bisogna fare chiarezza. In Matrix, le persone vivevano in una simulazione totale, ignare della vera realtà. Qui non siamo dentro una prigione virtuale assoluta, ma rischiamo di abitare una realtà filtrata e distorta dagli algoritmi, una sorta di "gabbia cognitiva" molto più sottile. L’IA, infatti, non è immune dai nostri errori, perché dipende dai dati con cui la nutriamo. Se i dati sono parziali, obsoleti o pieni di stereotipi, anche l’algoritmo li replicherà, amplificando i bias umani. Pensiamo al settore del recruiting: molte aziende usano algoritmi per selezionare i candidati. Se l'algoritmo è stato addestrato su dati storici in cui la maggior parte dei dirigenti era di sesso maschile, potrebbe automaticamente scartare i CV femminili per posizioni di leadership, perpetuando una discriminazione inconscia su larga scala. Lo stesso accade nella giustizia, dove alcuni sistemi di IA usati per predire il rischio di recidiva hanno mostrato un pregiudizio razziale a causa dei dati su cui sono stati basati (vedi la vicenda del software Compas utilizzato dai tribunali americani). Il rischio non è solo che gli algoritmi amplifichino i nostri pregiudizi, ma che ci rendano dipendenti da essi, riducendo la nostra capacità di pensiero critico e di autonomia decisionale.
E allora, come possiamo liberarci da questa gabbia cognitiva che ci costruiamo o che altri costruiscono intorno a noi? Che ruolo può avere la PNL, e in particolare la PNL sistemica o di terza generazione?
La Programmazione Neuro-Linguistica (PNL) è lo studio di come linguaggio, pensiero e comportamento interagiscono per creare la nostra esperienza soggettiva. È nata negli anni ’70 per osservare e modellare i processi che portano alcune persone all’eccellenza ed ha contribuito allo sviluppo di strumenti per cambiare schemi di pensiero e comportamento limitanti.
La PNL ha visto un’evoluzione nella storia. La prima generazione era finalizzata alla psicoterapia e focalizzata sulla persona, come un individuo isolato, con obiettivi molto specifici (es. curare una fobia). La seconda generazione sviluppava un accrescimento delle capacità dell’individuo, con un'attenzione particolare a come questi si relaziona con gli altri. La terza generazione va oltre il singolo individuo e lavora sui sistemi, ovvero gruppi, organizzazioni e culture. Considera la visione e la missione dell'individuo nel suo contesto più ampio, con l’obiettivo di creare cambiamenti generativi, cioè sostenibili e orientati al futuro.
La PNL viene così definita anche sistemica, un concetto introdotto da Robert Dilts e Todd Epstein negli anni ’80, che introduce un quadro ecologico. Questo significa vedere come ogni convinzione e comportamento non resta isolato, ma ha effetti sull’intero sistema di cui fa parte. È uno strumento per riconoscere gli schemi mentali automatici, i bias che ci spingono ad agire in modo predefinito, per poi ristrutturarli e ampliare la nostra libertà cognitiva. In questo senso la PNL ci offre non una via di fuga da una realtà virtuale, ma una chiave per uscire dalle trappole percettive e decisionali che ci impediscono di vivere con più consapevolezza, flessibilità e libertà.