Etere che si manifesti dall’alto
Principio eccelso del cosmo
Eruzioni splendente, lucente, irradiante di stelle
(Inni Orfici, Profumo di Etere)

Pallade unigenita
Distruttrice dei Giganti Flegrei
Signora dei cavalli Tritogenia
dragonessa, spirito niceforo
(Inni Orfici, Profumo di Atena)

Tra la "Primavera" e "la Nascita di Venere", Botticelli regala a Lorenzo De Medici e a tutta l’umanità di ogni tempo questa magnifica “Pallade” che doma dolcemente il focoso e passionale Centauro prendendolo per la chioma in un gesto di rara grazia e bellezza formale. Uno di questi gesti profondi e stupefacenti che proiettano un’aura che facilmente si impone quale “assoluto visivo”, segno talismatico, irradiante. Pallade, non Athena o Minerva, a richiamare il totem sacro del Palladio, a sua volta allegoria postuma della necessità di evitare gli eccessi dell’esaltazione istintuale in quanto fù appunto Athena che uccise senza volerlo l’amata Pallade durante riti di danze-giochi armati.

Il Palladio quale oggetto sacro fondante sia per l’Impero di Ilio che per l’Impero di Roma, comparendo tra i suoi pignora imperii, custodito dalle Vestali. Palladio che veniva dal cielo, quale oggetto acheropita scagliato da Athena con rabbia dopo che la pleiade Elettra lo aveva toccato, inseguita da uno Zeus in preda ad uno dei suoi raptus erotici. Ciò non è più sacro per il cielo lo diviene per la terra? Un’opera questa di Botticelli che compendia una delle essenze fondamentali del neoplatonismo quattrocentesco: la coincidentia oppositorum che la Teologia Platonica e il De Voluptate di Ficino quanto la Dotta Ignoranza e la Quadratura del cerchio di Niccolò Cusano teorizzeranno speculativamente anche quale aionica “geometria filosofica” tanto trascendente quanto strutturalmente immanente a livello ermetico.

Qui la polarità dialettica appare evidente sia nei colori che nei dettagli quanto nel rapporto con la scena ambientale: il Centauro condensa i carismi della terra e del fuoco mentre la Pallade dagli occhi verdi (colore dominante nelle sue vesti) sublima tutte le quattro essenze lasciando però ampio spazio ai principi dell’aria e dell’acqua. Via secca e via umida, nei loro scambi. Oltre quindi il sottile velo morale-politico ecco fiorire nell’usuale fluida e aerea semplicità di grazia botticelliana tutta una serie di concordanze e risonanze assolutamente coerenti con questo quadro cosmico-ermetico generale.

Da una parte il Centauro appare posto in un avvallamento e tutto ricompreso dentro l’elemento della dura roccia che gli fa da sfondo e lo sovrasta oltre a manifestare il colore rosseggiante tipico del suo carisma igneo-focoso, confermato anche dalla cinghia rossa, dalle frecce (quattro) e dalla chioma caotica e selvaggia. La sua mano sinistra distingue il due dal tre alludendo probabilmente alla separazione dello “spesso” dal “sottile” ricordata dalla Tabula Smaragdina mentre l’arco allentato nella sua corda e la gamba anteriore sinistra piegata alla maniera dell’agnello di molti sigilli medioevali indica la mitigazione dei suoi umori essenziali.

L’elemento verticale rosso-bruno conversa tacitamente con l’assialità dell’alabarda possente di Pallade che attraversa mare e cielo. Che si tratti di un golfo marino e non di un lago lo indica chiaramente la tipologia del vascello che compare sullo sfondo, con una vela mezza avvolta mentre le acque appaiono calmissime. La voluptas ancora rozza e violenta nel Centauro appare sublimata spiritualmente in Pallade (potenza titanica) come si evince dai delicati colori aureo-rosseggianti delle calzature, dell’asta e delle tipiche chiome botticelliane. Vicino alla mano sinistra del Centauro compare sulla roccia una lettea “e”: l’E di Delfi di cui parla Plutarco? Pallade rivela una notevole ricchezza simbolica nelle sue pur semplici e arieggiate vesti. Qui Botticelli gioca con l’impresa medicea dell’anello diamantato (deo amante) per velare appena i chiari sensi ermetici che tracimano nell’intreccio a quattro anelli delle braccia e nell’abbondanza di gioielli piramidali cerulei presenti sulla figura palladica.

Donna-Sapienza sfoggia sette piramidi celesti: quattro sul petto-ventre (capezzoli, cuore e plesso solare), una sul capo tra gli occhi a coronamento della ghirlanda d’ulivo, una incastonata al centro dell’incrocio della punta dell’alabarda e l’ultima costituita dalla stessa sottile punta dell’arma e mentre la sua mano destra mostra quattro punta di dita quella sinistra stringendo l’asta allude al numero tre. Se osserviamo con calma e attenzione il gioco floreale-minerale del petto e del ventre di Donna-Sapienza ne scorgiamo alluso il caduceo di Hermes in una sua versione trionfale e congiunta con l’ouroboros dell’anello posto sul cuore la cui grande gemma piramidale si mostra composta platonicamente da altri più piccoli triangoli, segno dell’essenza del fuoco.

Una nuova stupenda versione della celebre e frequente immagine dell’“Albero dell’Alchimia” propria di olte illustrazioni ermetiche ad indicare tutte le principali operazioni e scambi dell’Arte, oltre alle sue due principali Vie. L’umanesimo nei suoi maestri più eccellenti è maestro di sottile sensibilità e raffinate allusioni. Il Centauro, nel quale fuoco e terra confliggono, non può che dolcemente cedere alla superiore completezza di Pallade che ha già trasfigurato e sublimato il quattro della terra e il tre del fuoco che si agitano ancora nel caos esemplificato dalla creatura ibrida e saettante.

L’equilibrio di Pallade rinvia all’equilibrio tra i quattro principi costituivo della Pietra filosofale secondo la visualizzazione delle Dodici Chiavi della Filosofia di Basilio Valentino. L’asta palladica è axis mundi che attraversa, ricapitola e congiunge gli elementi fino a toccare il punto polare e trans-iper-uranico similmente alla “catena aurea” di Zeus che regge il cosmo di cui parla l’incipit del libro ottavo dell’Iliade. Gli “eroici furori” centaureschi incontrano il limite di una roccia rozza e spezzata da cui però vediamo pendere dall’alto dell’umido muschio, segno di ricettacolo mercuriale. Non è un caso che il vascello-vasello sia posto nel mezzo fra la Voluptas e la Sapientia celeste delle due figure botticelliane.