Le adolescenti di Rita Ackermann non hanno nulla delle giovani fanciulle in fiore di Proust. Sono piuttosto figurate eteree dal piglio ironico e suadente, delle piccole Christiane F. immerse in un mondo dal sinistro sapore fiabesco. Fumano e guardano televisori agganciate al circuito elettrico con un laccio emostatico che trasferisce immagini sotto forma di flebo.

La ricerca dell’artista ungherese, classe 1968, naturalizzata americana, nasce da lontano. E’ immersa nel cinema europeo e statunitense dell’inizio degli anni ’80. Si ciba appunto dell’immagine maudit della Christiane F. dello zoo di Berlino, della sua acerba bellezza e della sua già troppo vissuta esistenza. Un prototipo che Ackermann riporterà nei suoi disegni del primo periodo, quello che precede l’ingresso nell’informale di matrice americana.

Profondamente influenzata dai testi filosofico-critici di Paul Virilio e dal suo testo fondamentale “Estetica della sparizione” del 1980, l’artista nata a Budapest si forma, oltre che all’Accademia d’Arte della sua città natale, anche sulle pagine del filosofo francese che le appare immediatamente in sintonia con i suoi interessi. In particolare, è il concetto di “Intelligenza metafisica” che la affascina e che sente consustanziale alla sua ricerca artistica. Allo stesso modo l’attrae il modo in cui i bambini percepiscono il mondo e come assenze e interruzioni nel loro modo di vedere abbiano a che fare con le immagini cinematografiche.

E, in effetti, le opere degli anni ’90 di Ackermann sono pervase da una dinamica tipica del mondo del cinema. La sua decisione nel 1992 di trasferirsi a New York dove potrà lavorare in un loft alle sue grandi tele, è la chiave di volta nella sua ascesa nel mondo dell’arte riconosciuto. Nella Grande Mela Rita cambia il suo cognome dall’ungherese Bakos al più cosmopolita Ackermann, cognome della nonna paterna. La stessa artista avrà poi modo di spiegare la sua scelta motivandola con la necessità di “recidere le proprie radici e imparare tutto da capo in una nuova cultura, senza perdere ciò che sei. Solo così puoi avvicinarti alla tua essenza e missione: capire perché sei qui”.

Tornando al cinema, grande fonte di ispirazione per l’artista, un film che la forma dal punto di vista estetico è “Il tempo sospeso” del regista ungherese Peter Gothar, ambientato nel 1956 mentre i carri armati sovietici entrano a Budapest, due giovani che trovano l’amore. Werner Herzog è un altro dei registi, la cui retrospettiva viene vista nei cinema d’essai da una giovanissima Rita. A New York Ackermann è la straniera che parla l’inglese con un accento che rivela l’origine europea orientale e questo ne fa acquisire ulteriore fascino. Il suo studio sulla 42esima strada diventa punto di riferimento per la giovane scena artistica newyorchese. La nota la gallerista Andrea Rosen che va a vedere i suoi lavori in studio e nel giro di qualche giorno organizzerà una personale di Rita nella sua galleria.

Ma la via del successo si è aperta per Ackermann, nel 1994 Marcia Tucker la direttrice del New Museum le commissiona un’opera sulle tre grandi vetrate della facciata del museo al 583 di Broadway, luogo ambito da molti artisti. Ackermann, trae ancora una volta ispirazione dal suo mentore, Virilio che era stato anche pittore di vetrate, il filosofo aveva successivamente paragonato le vetrate delle chiese ai cinema e la cattedrale di Chartres come sala di proiezione solare.

Ecco la suggestione: l’artista ungherese realizza un trittico in cui adolescenti affrontano il mondo digitalizzato. E, come si diceva all’inizio, si immergono in una cultura digitale che assorbono anche per via intravenosa. Nell’opera una ragazzina imbraccia un fucile con aria di sfida mentre sorregge un infante, forse un figlio illegittimo, su queste giovanissime inconsapevoli vittime del progresso grava la catastrofe di un mondo in cambiamento che non risparmia la loro innocenza.

L’impatto è straordinario e la lettura critica impattante dal punto di vista del messaggio. Rita Ackermann diventa l’artista di punta dell’avanguardia newyorchese. Gli ingredienti ci sono tutti: un’europea che appone una critica feroce al progresso e allo stile di vita americano che è comunque quello di tutti i giovani del mondo occidentale. Le opere di Rita Ackermann sono esposte in tutto il mondo, attualmente il Lac (Lugano Arte Cultura) di Lugano ospita la personale “Hidden” che merita assolutamente un visita fino al 13 agosto.