Tutto sommato, l’arte rappresenta il bisogno di un essere umano di comunicare con un altro…la natura è il mezzo, non il fine. Se si può ottenere qualcosa cambiando la natura, bisogna farlo.
(“Note”, Edvard Munch)
È stato riprodotto su poster, magliette, tazze e ogni tipo di gadget. Ha influenzato il cinema, come nel caso della maschera del killer di Scream, ed è persino diventato un'emoji ufficiale: l'iconico Face Screaming in Fear. Stiamo parlando di uno dei quadri più evocativi e più famosi del mondo: L’urlo di Edvard Munch, un’artista che, a distanza di tempo, non smette di emozionarci e farci riflettere.
E tutti coloro che desiderano avvicinarsi alla sua arte, hanno oggi un’occasione unica: a Palazzo Bonaparte a Roma, fino al 2 giugno, è infatti allestita la mostra Il grido interiore, che raccoglie cento capolavori dell’artista norvegese, tra cui le iconiche La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–1924), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901), Danza sulla spiaggia (1904), nonché una delle versioni litografiche de L'Urlo (1895).
La mostra, che ha avuto una precedente tappa a Palazzo Reale di Milano dove ha registrato un record assoluto di visitatori, racconta l'intero percorso artistico di Munch, dai suoi esordi fino alle ultime opere, attraversando i temi a lui più cari, collegati gli uni agli altri dall'interpretazione della tormentata essenza della condizione umana.
L’ho visitata recentemente, e sono rimasta impressionata dalla potenza visiva e dalla forza di queste opere che, a una persona interessata di comunicazione come me, hanno portato a molteplici riflessioni sulla dimensione umana. Ritengo che Munch sia uno dei pittori moderni che, con la sua arte, ha maggiormente scandagliato tanti aspetti dell’anima umana. E che questo era uno dei suoi principali obiettivi, lo ammette frequentemente nei suoi scritti:
Sto conducendo uno studio dell’anima, giacché posso osservarmi da vicino e usare me stesso come esperimento vivente per il mio studio. Come Leonardo da Vinci ha indagato l’anatomia umana sezionando cadaveri, così io cerco di sezionare anime.
(Quaderno dell’artista, 1909-1911)
Gli episodi biografici hanno sicuramente avuto una forte ripercussione sull’arte di Munch: dall’infanzia fino alla gioventù egli subì la perdita di quasi tutti i suoi familiari, ovvero la madre, all’età di soli 5 anni, la sorella maggiore Sophie, il padre e il fratello Peter Andreas. Per sopravvivere a simili lutti, l’artista norvegese non poté far altro che tradurre la sua angoscia sulla tela attraverso pennellate vorticose e colori intensi, pari al forte turbinio della sua disperazione.
Questo si vede benissimo in un’opera come La madre morta e la bambina, in cui Munch rappresenta ciò che gli si è parato innanzi allo sguardo all'età di cinque anni: il letto di morte della madre, la sorella Sophie di sei anni con gli occhi sbarrati dal terrore, muta, “le mani sulle orecchie per allontanare l’urlo silenzioso ma doloroso della morte”. Nel dipinto vi sono cinque persone dall’altro lato del letto della madre morta, ognuna delle quali, a suo modo, sembra contenere le emozioni suscitate dall’evento. Ma sono al di là del letto, mentre la bambina e il piccolo Munch sono soli. Si prospetta qui una tematica ricorrente e forse mai del tutto elaborata da Munch, quella dell’incomunicabilità dell’angoscia.
Il dolore, sembra affermare Munch, è un sentimento universale che rende tutti ugualmente spettrali eppure erige muri di incomunicabilità: ognuno è solo nella gestione della propria sofferenza.
Altri dipinti esposti in mostra e che portano questo messaggio sono La morte nella stanza della malata, Lotta contro la morte, Visione, in cui lo spettatore stesso infatti diventa parte delle composizioni, vegliando insieme ai protagonisti, figure in bilico tra la vita e la morte oppure combattendo insieme a loro la malattia e il tormento.
Estremamente potente è Disperazione (1892), considerata una sorta di preludio a L'urlo, con cui condivide l'ambientazione su un ponte e una forte carica emotiva. L'opera raffigura una figura maschile, dal volto cupo e assente, che osserva l’orizzonte immerso in uno stato di profonda malinconia. Il paesaggio, con i suoi colori accesi e innaturali, sembra amplificare il senso di inquietudine e alienazione. La figura non urla, come avverrà invece nel più noto dipinto, ma il silenzio stesso diventa un elemento opprimente, rendendo il dipinto un'intensa rappresentazione della disperazione umana.
In tutte queste opere, le principali tematiche emergenti sono l'angoscia esistenziale, la solitudine e l’incomunicabilità. Munch esplora il tormento interiore dell’individuo in relazione al mondo esterno, anticipando i temi dell’Espressionismo: dall’angoscia esistenziale alla crisi dei valori etici e religiosi, dalla solitudine umana, l'incomunicabilità, all'incombere della morte; dall'incertezza del futuro alla disumanizzazione di una società borghese e moralista. “Io avverto un profondo senso di malessere, che non saprei descrivere a parole, ma che invece so benissimo dipingere”, scrive Munch nelle sue Note.
Perché le opere di Munch, a distanza di tanto tempo, riescono ancora a impressionarci così tanto? Forse perché il suo contributo alla storia dell’arte non si limita a una semplice espressione estetica, ma è invece una costante e profonda ricerca di significato su temi che sono ancestrali per noi, come il dolore, l’amore e la perdita. E non bisogna pensare che si tratti di una pittura che non lascia spazio alla speranza: il dolore, lungi dall’essere qualcosa di irreversibile, può trasformarsi in una porta d’accesso a una dimensione superiore. È proprio in questa tensione, in questo dialogo tra luce e ombra, che l’arte di Munch rivela il suo potere trasformativo, capace di illuminare, anche solo per un breve tempo, il cammino verso la redenzione. Tutte queste opere hanno una forza dirompente e, con il loro grido interiore, riescono a parlare direttamente alla nostra anima.