L’immaginario collettivo – quando si parla di Gabriele d’Annunzio – è, indissolubilmente, legato alla città di Pescara ed al Vittoriale degli Italiani a Gardone Riviera (BS). Ciò affermato; si mosse, davvero, solo tra questi due poli? O lasciò tracce di sé anche altrove? Domande aperte, poiché tracce fisiche, postume e simboliche del Vate sono ovunque si abbia voglia di volgere uno sguardo curioso.

Emanuela Borgatta, docente, scrittrice indipendente e bibliofila cura un saggio documentato, risultato di un pluriennale lavoro di ricerca in ambito dannunziano. Passando per le varie scoperte incontrate durante il percorso, l’autrice di d’Annunzio – Tracce Piemontesi, edito da Ianieri Edizioni ci guida alla scoperta di un d’Annunzio inedito: un viaggio (accessibile a tutti) dalle venature pop a testimonianza dell’eterna contemporaneità del Poeta.

Il volume è accompagnato dalla prefazione di Franco Di Tizio e da un corollario di interviste a scrittori, registi, costumisti e collezionisti; fino ad arrivare ad un incontro con Giordano Bruno Guerri, dedicato al futuro del Vittoriale. Di seguito, proponiamo parte di un estratto dedicato alla collaborazione tra d’Annunzio ed il costumista Caramba.

La mostra torinese dedicata al costumista Caramba, ospitata presso le sale della Fondazione Accorsi - Ometto nel 2022, ha dato modo di approfondire i rapporti che legarono l’artista pinerolese a Gabriele d’Annunzio, durante la stesura di Parisina (1913).

Luigi Sapelli (Pinerolo 1865 – Milano 1936), proveniente da una famiglia militare che ne segna, in qualche modo, il destino professionale, ammaliandolo con il fascino delle divise ed il loro forte potenziale coreografico; dopo aver frequentato il liceo tecnico di Torino, inizia la sua carriera come caricaturista ed illustratore per Il Buontempone, utilizzando attivamente lo pseudonimo di Caramba (ispirandosi alla gioiosa esclamazione spagnola). A seguito della morte del padre, divenuto capofamiglia, aumenta le proprie collaborazioni fino ad entrare a far parte della redazione de La Luna, dove cura la rubrica dedicata agli spettacoli, illustrando il cartellone teatrale. Grazie alla rivista, negli ultimi anni dell’Ottocento, Caramba incontra Toscanini e Ciro Scognamiglio; quest’ultimo in particolare - con un’ingente commissione di costumi per il teatro napoletano - segna indelebilmente la carriera di Sapelli, il quale inizia a disegnare per i più importanti teatri italiani e si fa notare grazie all’inconfondibile guizzo creativo ed allo stravagante modo di vestire: memorabili, in questo senso, gli anni in cui frequenta, assiduamente, il Caffè Molinari di Torino (vero e proprio Chat Noir subalpino) il quale – a cavallo tra i due Secoli – ospita una sorta di “scapigliatura piemontese”: da De Amicis a Rubino, dallo stesso Caramba a Fontanesi.

A partire dagli anni Dieci del Novecento, sarà il Teatro alla Scala di Milano a coronare definitivamente la maturità artistica di Sapelli. Degna di nota, proprio in quel periodo è Parisina, tragedia lirica in quattro atti musicata da Pietro Mascagni, accompagnata dal libretto ad opera di Gabriele d’Annunzio e tratta dal poema omonimo di Byron.

L’opera, nata come parte di una trilogia dedicata ai Malatesta che non vide mai la luce, è preceduta dalla Francesca da Rimini. La messa in scena genera immediatamente sensazione, nonostante le perplessità di alcuni quotidiani dell’epoca. Pensiero condiviso anche da Mascagni, il quale dopo aver consegnato la composizione in tempi record, manifesta grandi remore a proposito della lunghezza del libretto scritto da d’Annunzio, poiché lo spettacolo, nella sua versione originale in quattro atti, aveva una durata di tre ore e quaranta minuti. Giovanni Pozza, il critico italiano più influente dell’epoca, ne evidenzia, in questo senso: «La smodata lunghezza: se questo difetto non è impostato bene, non poteva che pesare sul suono di Parisina. Indipendentemente dal giudizio sul valore intrinseco della nuova opera, anche il più fanatico sostenitore del Maestro non può che esprimere una speranza: tagliare, tagliare, tagliare!». Parole che convincono autore e compositore alla riduzione in soli tre atti.

Parisina, tuttavia (prova ne sia l’immenso successo riscosso nei Teatri d’Italia), colpisce per le proprie caratteristiche di opera prettamente teatrale anziché lirica, anche - e soprattutto - grazie agli abiti squisitamente scenografici disegnati da Caramba ed alla forza tragica che contraddistingue tutte le eroine nate dalla penna dannunziana. Il Vate rimaneggia, per l’occasione, elementi già utilizzati in precedenza per rendere l’opera più solida, impreziosendola con vocaboli arcaici; a dimostrazione di quanto fosse errato il volerlo relegare al ruolo di mero librettista, dimenticando le spiccate affinità elettive tra il Poeta ed Euterpe.

Esemplari, in questo senso, le parole di Marco Polastri Menni per l’Associazione Wagneriana di Milano: «Devo ricordare che il grande posto che d’Annunzio occupa nella storia della musica è stato stranamente trascurato dalla critica letteraria che ha spesso confinato la sua arte in un decadentismo classicheggiante nel quale si alternano pagine retoriche con pagine di autentico lirismo».

A questo punto, è lecito chiedersi come nasca il rapporto d’elezione tra d’Annunzio e Caramba. Facendo un passo indietro, comprendiamo che i primi anni del Novecento si rivelano, per Luigi Sapelli, di grande successo e numerose sono le compagnie che mettono a sua disposizione intere sartorie, consentendogli di avvicinarsi agli intellettuali del tempo, fra i quali proprio d'Annunzio.

Una comunione di intenti quella destinata a nascere con il poeta abruzzese, poiché Caramba (così come d'Annunzio) non si occupa solo di ciò che più squisitamente gli compete, ma offre suggerimenti registici, attoriali e scenografici, affinché nulla venga lasciato al caso ed, anzi, i dettagli dei suoi costumi siano maggiormente evidenziati, in modo da formare un insieme organico con l'opera per i quali sono stati disegnati; allo scopo di raggiungere l'apice del “teatro totale” tanto amato dal Vate stesso.