La regina dei serpenti, dea della società cretese, ci parla del ruoto centrale della femminilità in una società remota; e di come l’essenza del femminile si sia trasformata, socialmente e politicamente, in quella che noi definiamo un’epoca arcaica andata in scena migliaia di anni fa. Dea e madre, che nel serpente traccia la mutazione della sua pelle, la sua rigenerazione e rinascita a nuova vita, dopo il letargo dell’inverno, ed esprime ciclicamente il senso del tempo e delle stagioni, ci informa di logiche già in atto molto prima di questo nostro presente.

Il modellato del suo corpo è la traccia di una primigenia forma sartoriale che legge l’anatomia ed esalta il carattere del genere per il valore che in esso risiede esattamente come la cintura e l’astuccio penico impostano il trapezio della fisicità maschile nella nudità assoluta della materia epidermica e della sua atleticità propria della realtà cretese. La scultura della società minoica e la sua pittura muraria regalano a Cnosso (la capitale del regno) il senso profondo di un’armonia che risiede nel carisma femminile della procreazione e nel sentimento dell’accoglienza che ad essa è collegato, opposti ai temi della conquista legati al virile.

Il popolo dell’antica Creta converge nella piazza principale, che si apre all’altezza del palazzo reale e, con chi governa, condivide ed apprende soggetti e idee sul medesimo piano. Questi sono fattori distintivi che allargano la visione ad una compenetrazione del mondo naturale che invade le sale del regno e che investe anche la figura maschile nell’allegoria del “Principe dei Gigli”: divinità composta da parti di dipinti diversi che convergono in un'unica immagine: giovane prestante dalle forme aggraziate, quanto espressamente accentuate nel trapezio impostato del torace e in tutta la sua evidenza anatomica. La creatura divina porta una corona piumata, un piccolo perizoma, la cintura avvitatissima connessa alla conchiglia penica come unici elementi che lo ricoprono.

Tutta la grazia cretese è accentuata dalla simbologia cromatica che va dal bianco pallore della luna, al rosso vivificante del sole, sino al nero che racconta delle oscure energie delle tenebre. La curvilinearità dell’umano si inventa nella quotidianità minoica, al femminile e al maschile, per il processo del gioco: dal salto frontale del toro, preso per le corna come perno dell’elevazione, al pugilato la cui nudità è parte del costume e del volere della bellezza. Il concetto di elaborato sartoriale (come scissione e non più piega o foggia) ha in questo luogo una sua prima manifestazione storica.

Il modellato del busto avviene non solo attraverso l’azione muscolare della prestazione sportiva ma anche dal taglio come progetto di disegno delle forme. Il seno della donna è esposto per simboleggiare il materno femminile e il punto vita esaltato nella sottigliezza per entrambi i sessi.

Nell’esempio della Dea Madre le mammelle sono incorniciate in un vero bustier, antesignano di quelli della Belle Époque che ha portato gli archeologi dei primi del ‘900, che ne hanno rinvenuto i resti ha denominare la donna cretese: “La Parisienne”, per l’evidenza di un contatto d’immagine con la moda femminile della capitale francese dei primi ‘900.

Ecco i caratteri formali di questa creatura divina che tutto governa. Alta cintura, a sagomare la vita e accentuare l’esplosione dei fianchi, marcatori di fertilità. Mezze maniche a fasciare le braccia, profonda scollatura che diviene insenatura che delle mammelle è megafono e cornice.

La parte inferiore del corpo è costruita da una gonna dalla forma conica ma con un vezzo di rotondità nella rastrematura, ricca di balze e spunti geometrici. Il colore è determinante nell’identificazione retinica della superficie dell’indumento perché accentua il contrasto dei tasselli che costituiscono la geometria modulare quadrata, sorta di macro-mosaico. I serpenti accompagnano la dea nel ruolo di protettrice del tempo e governante delle stagioni: invocata per le ricche messi dell’agricoltura a protezione delle colture.

Un gatto la sovrasta come divinità che protegge il raccolto dai roditori ma anche come soggetto sacro agli egizi che diviene sacro ai minoici attraverso gli scambi commerciali che di fatto sono scambi culturali e che identificano il felino come ponte verso l’aldilà. Il tema della donna e della natura ad essa connessa è la base di una civiltà che ancora oggi si erge a modello privilegiato e non deteriorabile del carisma del genere.

La compatibilità armonica e compenetrativa delle multiformi espressioni delle sensazioni umane, che sono insite in chi contiene la vita, è il metro ineffabile di un modello sociale che è sempre attuale o che così dovrebbe essere. Il maschile giunge dall’esterno a questo sentore pur contribuendo totalmente all’accadimento, ma ciò che è fuori è sempre per definizione comparabile e gerarchizzabile mentre ciò che viene da dentro è un tutt’uno con chi lo porta.

La comparazione genera alterità, emulazione, o distanza, mentre nel materno vi è unità. Il materno possiede il dono della provvidenza anatomica. Il maschile possiede il carattere di chi deve penetrare l’anatomia per plasmarla in evidenza strutturale, provenendo da un universo parallelo che cerca coscienza di ciò che è il sistema. Un esempio evidente di questo fattore del virile, sin dall’antichità, sono i calzari del faraone d’Egitto che portava disegnati, sulle suole i tratti di coloro che aveva vinto per poterne insidiare la figura nel tempo. Manifestazione di sopraffazione reiterata oltre lo spazio della conquista. La lotta, la battaglia, il conflitto è del canone di “Adamo”.

La natura contempla solo le sue logiche armoniche e quanto l’ego comporta non è nelle sue corde: è l’uomo ad individuarne attribuzioni improprie. La comparazione è dell’essere umano ma chi gli dona la vita possiede, in maggior misura, per genetica, l’opportunità di contenerla nella comprensione.

La dea dei Serpenti rappresenta una visione moderna e reale del contesto umano dove plausibilmente si può tracciare il senso dell’esistenza. Dall’allattamento, che il suo petto racconta, si evince l’approdo universale e parificante della sapienza del nutrimento del corpo e dell’anima che dal dono femminile si esprime a favorire le necessità universali dell’uomo.