In questo articolo proverò a raccontare in maniera del tutto personale e per nulla esaustiva il viaggio fatto in India, il quale per quantità di città visitate è durato decisamente troppo poco. Alcuni luoghi mi hanno spinto a scrivere delle poesie, e così ho deciso di inserirle sotto ogni paragrafo per lasciarvi fantasticare sull’esperienza vissuta nelle città.

Partire può spesso portare a situazioni scomode oppure comodissime a seconda del budget naturalmente. Di sicuro, esistono alcuni posti in cui è possibile fare un viaggio dotato di ogni comfort con un budget piccolo, e viceversa, ma a volte nonostante il budget elevato, il viaggio risulta con l’essere ugualmente scomodo e complicato. Questo è il caso del mio viaggio in India. Una volta superato l’ostacolo dei voli, grazie ad astuti giochi di scali e levatacce e adattamenti a fusi orari, si arriva finalmente con non poche difficoltà.

La prima tappa del viaggio è stata Nuova Dehli. La città è caratterizzata da una sovrappopolazione asfissiante, e si espande, attraverso bisce di traffico incessante, in una serie camaleontica di quartieri in grado di racchiudere tutto il ventaglio sociale in pochi metri. Gli abitanti sono disponibili, ma se lo sono fin troppo al novanta per cento c’è sotto una potenziale truffa (legittima, ahimé, considerate le condizioni di vita). Nei quartieri più poveri non è inconsueto incontrare bambini per strada più magri dei cani randagi. In quelli ricchi invece le persone tendono a parlare unicamente inglese e la sovrabbondanza di finti bistrot italiani e ristoranti orientali fusion mi fa sentire in via Raffaello Sanzio. Il cielo costantemente grigio però mi ricorda di essere in quel momento più che mai, lontano da casa. C’è una modernità quasi malsana, pigra, e non si sposa con i meravigliosi giardini e la fierezza della bandiera eretta sul Red Fort.

Dehli

Pure il fango brucia
capseicinica testimonianza
di bambini coi talloni gonfi
e caffè inglesi a duecento rupie.
Al Red Fort ormai, non ci sono più pavoni
E come sai che colore ha il cielo
se non l’hai visto mai?

Dopo alcuni giorni, abbiamo fatto il primo road trip e ci siamo spostati ad Agra. I limiti nelle autostrade indiane sono molto bassi. Ciò diventa subito molto chiaro nel momento in cui, usciti dal traffico delle strade cittadine, ci siamo ritrovati nel traffico autostradale che dopo lunghe ore finalmente va scemando. Come città Agra è estremamente umida. Un ricordo piacevole di quella tappa è stato il Chai Tea che ci veniva versato in Ostello per contrastare il freddo e i brividi sotto le lenzuola. Poi è venuto il momento del Taj Mahal all’alba e la suggestiva storia riguardante la lunghissima catena d’oro cosparsa di campanelli che attraversava il fiume Yamuna, emblema di un’unione tra il palazzo dello Shah ed il popolo.

Agra

Nessuno dorme fuori
ma una fredda marea onirica
fa quasi intravedere
tra le nebbie quintali d’amore
decorato da geometrie
speranzose di udire
ancora il distinto tintinnio
e le parole giuste
dello Sha.
Negli occhi di chi resta
non rimane che umida speranza.

Il passaggio da Agra a Varanasi è incominciato avvolto da una fitta nebbia in campagna mentre aspettavamo di notte un pullman in ritardo ed è finito tra i fumi di incensi e pire rituali che si innalzavano lentamente verso il cielo. La celebrazione della morte impregna l’aria dappertutto, e spesso sembra di essere quasi tra le rovine di una civiltà aliena risalente a migliaia di anni fa. Non è raro vedere anziani senzatetto con tuniche arancioni, camminare con le loro lunghe barbe e le fronti segnate. Ogni sera si sentono preghiere e musiche innalzarsi per Shiva, e tra la folla euforica si notano mani spuntare dalle stoffe colorate, mentre malinconiche s’innalzano nell’attesa di un’altra vita.

Varanasi

Non ci sono più coccodrilli
e i bramani pregano
sempre più piano.
Scorre veleno
davanti al balcone
da 2000 rupie
e canzoni vibrano nelle corti
mentre vecchi applaudono
e festeggiano
che bruciante celebrazione!
C’è posto per tutti nella smorta risacca
cimbali vibrano lontano
memorie di preghiere
passate senza soluzione,
ma se non si ascolta
non si vede e non si sente
compare l’assoluzione.
Ad ognuno la propria
chi per strada
tra sandalo e fumo
chi per strada
a farsi mangiare da qualcuno.

L’ultima tappa del viaggio è stata Jaipur. Tappa non prevista, ma gradita. Si presenta subito come più ricca e calda della altre, è quasi normale non trovare mendicanti per strada e tutte le persone sono amichevoli spesso senza chiedere nulla in cambio. La città vecchia è tutta in rosa e contiene un grosso mercato che rispecchia la sua origine mercantile. Durante la permanenza abbiamo visitato il Forte. Qui gli elefanti sono stati praticamente sostituiti alle Jeep e aiutano i turisti più stanchi ad affrontare la salita, l’Hawa Mahal, un palazzo creato in centro alla città per permettere alle donne della famiglia reale di osservare le feste cittadine senza poter essere viste dall’esterno, e il tempio di Hanuman sulla montagna delle scimmie. In quest’ultima attrazione è forse possibile scorgere uno spiraglio di vita attorno alla città. Qui bambini che abitano in ruderi, vengono a salutare, e aiutano a tenere lontane le avide scimmie mentre si percorre la salita sulla montagna. Alla fine, l’ unica cosa che chiedono dopo la visita è qualche moneta per comprarsi da mangiare e qualche aquilone in cartapesta, oggetto che riempie i loro occhi ed il cielo della città colorandolo come se fosse una delle preziose collane delle gioiellerie del centro.

Jaipur

A Jaipur le capre hanno i maglioni
e i cani non scappano
se provi ad accarezzarli
i palazzi splendono rosei
ricordi di ora straniere pietre preziose.
Dal tempio, vicino alla baracca
di quel bambino magro
si vedono una moltitudine di colori
fili su grovigli
di bastoncini e cartapesta
che partono da rocchetti
di qualunque classe
stretti attorno a mani assolutamente eterogenee.
Non c’è inganno nella fame che hanno le scimmie
scacciate dai ragazzini
mentre per due samosa
scalano con noi verso il tempio,
o nella mano ingioiellata
di Abdul e in quella setosa del cugino
sporche di riso e lavoro.
C’è poca fame a Jaipur
e mal distribuita
i fili brillano nel mezzogiorno
letali specchi per allodole.
Eppure, non posso che sentire
come un grido strozzato
strappato dal filo vetroso
di un altro aquilone.