29 aprile 2025
Questa volta forse non li vedrò. Li sento, li percepisco ad osservare dall'abisso me e i miei compagni di immersione, con il nostro ribollire, il nostro rumore e le nostre lucine bianche e rosse ma probabilmente non ci ritengono degni di attenzione e per ora non sono risaliti a guardarci da vicino, dalle fresche profondità, ad oltre sessanta metri sotto la superficie rovente del mare.
Perché, dove mi trovo ora, sui Farasan Banks, a circa 15 miglia al largo di Al Lith, sulla costa del Mar Rosso in Arabia Saudita, già ora, alla fine di aprile, l'acqua, almeno fino ai 35-40 metri di profondità, cioè dove arrivano le nostre immersioni, sfiora i 29 gradi Celsius mentre loro, i grandi squali martello e i loro gregari pelagici, i silk ( carcharinus falciformis) e i longimanus ( carcharinus longimanus) , preferiscono acque più fresche e quindi con queste temperature rimangono profondi, oltre la nostra portata.
Meravigliosi coralli, madrepore fissatrici di calcio matrici di future catene montuose, alcionarie color cremisi, gorgonie fluttuanti nelle correnti, banchi di carangidi, tonni solitari e giganteschi pesci Napoleone ma i grandi squali per ora no, non si sono fatti vedere.
Da domani ci sposteremo nei banchi più a sud e le probabilità saranno ancora minori o forse no, inshallah, come dicono da queste parti.
I Farasan banks sono banchi corallini che emergono dagli abissi del mar Rosso, limite nord della Great Rift Valley, la mostruosa fenditura della crosta terrestre che separa la placca tettonica africana da quella arabica. Non sono di origine vulcanica, come gli atolli del Pacifico ma tettonica ed emergono solo per pochi metri dalla superficie del mare con effimere strisce di candida sabbia, rifugio per miriadi di uccelli marini, per poi continuare sott'acqua sviluppandosi in un dedalo di pinnacoli corallini che sorgono da plateau sabbiosi digradanti verso le profondità, magnifici e ricchi come i giardini di Babilonia.
Mi sono ritrovato con il gruppo di subacquei, tutti molto esperti e navigati, con cui alcuni anni fa andai a Coco, isola sperduta al largo del Costa Rica, e siamo a bordo di una grossa barca egiziana appositamente attrezzata per la spedizione e venuta fino qua da Sharm el Sheik a "cercar fortuna" dopo le ripetute crisi che hanno messo in ginocchio questo tipo di turismo in Egitto. Questa modalità esplorativa della porzione acquea del mondo mi ha sempre affascinato fin da quando, bambino di nemmeno 10 anni, divoravo alla televisione i documentari di Jacques Cousteau che per primo, negli anni ‘60 del secolo scorso, dischiuse il mondo subacqueo alla curiosità e alla passione di giovani sognatori avventurosi quale io ero.
Essendomi scoperto appassionato naturalista, appena ne ebbi la possibilità, iniziai a viaggiare senza sosta per esplorare, finché esisteva, la natura selvaggia nella perfezione del suo intatto splendore. Come incalzato da un oscuro presagio mi sono spinto sulle montagne, nei deserti e nei mari del mondo e poiché ogni ambiente richiedeva peculiari attitudini fisiche e psicologiche nonché tecniche di esplorazione adeguate, mi avvicinai all'attività subacquea, per procurarmi la chiave d' accesso al mondo delle acque profonde, tanto meraviglioso quanto fragile, come purtroppo ebbi modo di scoprire più tardi negli anni.
Verso la fine degli anni ‘70, quando iniziai a farle, le immersioni con autorespiratore ad aria compressa erano una specie di azzardo che, per essere affrontato in relativa sicurezza, richiedeva il rispetto di rigorose regole di comportamento che mettevano in un rapporto strettissimo la durata dell' immersione stessa, la profondità massima raggiunta e la riserva d' aria disponibile. Tutto andava programmato con precisione secondo tabelle calcolate dalla marina militare americana, che stampate in plastica rigida si portavano al collo per poter essere consultate sott'acqua qualora le circostanze ci avessero costretto a variare il programma iniziale.
Il rischio era la terribile MDD, la malattia da decompressione o malattia dei cassoni perché venne scoperta nel diciannovesimo secolo quando lavoratori che operavano sotto il mare a diverse profondità, all'asciutto in apposite strutture di metallo o di cemento chiamate appunto "cassoni", una volta riportati in superficie iniziarono ad avere strani sintomi come eruzioni cutanee, paresi e in alcuni casi a morire misteriosamente. Si scoperse poi che la componente inerte dell'aria inspirata, l'azoto, riportato alla pressione superficiale dopo essere stato compresso in profondità, sprigionava bolle nel sangue, come quando si stappa una bottiglia di acqua gassata e queste bolle andavano a occludere i vasi sanguigni nelle varie parti del corpo.
Inoltre anche l'assetto subacqueo doveva essere calcolato in precedenza in base allo spessore della muta gravandosi di piombo per poter rimanere immersi. Naturalmente la pressione comprimeva la muta quindi la risalita era quasi sempre "negativa", vale a dire che si doveva pinneggiare faticosamente per risalire verso la superficie. Per non parlare delle tappe di decompressione necessarie per smaltire le microbolle d'azoto che si fossero eventualmente formate risalendo: almeno 3 minuti a 6 metri e 3 minuti a 3 metri e librarsi per tanto tempo ad una quota fissa con onde e correnti non era certo cosa facile. Insomma un’avventura per pochi iniziati. Poi anche in questo mondo esclusivo il progresso tecnologico delle attrezzature, trainato dalle potenzialità di business, portò a due rivoluzioni epocali: il GAV (giubbotto gonfiabile ad assetto variabile), praticamente l'equivalente della vescica natatoria dei pesci ed infine il computer subacqueo che permette di immergersi in piena libertà di quota perché, una volta impostato, calcola tutti i parametri permettendo, se lo si desidera, di evitare le tappe di decompressione rimanendo in un ambito di totale sicurezza.
Ma all'inizio di rischi se ne correvano davvero e ripensando ai miei vent'anni e a certe immersioni invernali a Pantelleria con amici ancora più pazzi di me mi vengono ancora i brividi e non solo per il ricordo del freddo che si pativa. Evidentemente la mia buona stella vegliava su di me e così ora sono qui, sui south Farasan Banks a raccontare di questo viaggio.
3 maggio 2025
La "crociera", come si chiama in gergo un viaggio in barca per subacquei, volge oramai al termine e alla fine, contro ogni previsione e sicuramente grazie alla benevolenza del Profeta, i grandi squali sono venuti dall'abisso a degnarci della loro magnifica ed elegante presenza. Come sempre fanno, i grandi martello sono risaliti dalle fresche acque profonde, si sono avvicinati incuriositi per poi ripiegare e tornare nel mistero blu da cui sono venuti.
Si sa ben poco di questi animali meravigliosi e inquietanti, la specie qui presente è la Sphyrna Lewini, un pesce cartilagineo che può arrivare a 4 metri di lunghezza anche se le dimensioni medie di un adulto rimangono sotto i 3 metri. È un animale gregario che si muove in grandi branchi ed è presente, anche se localizzato, nella regione circumtropicale di tutti i mari e gli oceani del globo.
La caratteristica saliente di questo squalo è la testa bilobata a cui deve il suo nome e la cui funzione non è ancora ben conosciuta. Si ipotizza che la posizione degli occhi agli apici dei lobi fornisca loro una visuale completa a 360 gradi, oppure che una simile testa li aiuti nello stabilizzarsi durante il nuoto agevolando brusche torsioni laterali anche se l'ipotesi più plausibile è che permetta all'animale di avere una superficie cefalica molto più vasta che gli consente di potere distribuire sul muso molte più ampolle di Lorenzini, corpuscoli dermici peculiari degli elasmobranchi (squali e razze) che permettono loro di percepire il campo elettromagnetico terrestre, nonché quello emesso dalle loro potenziali prede. Anche il comportamento sociale di una specie che vive parte della propria vita aggregata in grandi branchi e parte come individui solitari è tuttora un mistero.
Vivipari, si riproducono una volta all'anno mettendo al mondo una decina di piccoli squaletti, perfette copie in scala minore degli adulti, in basse acque costiere in prossimità di lagune di mangrovie che fungeranno da nursery e dove i piccoli nuoteranno tranquilli al sicuro dalle minacce del mare aperto e dove potranno imparare a cacciare le loro prede abituali: cefalopodi, razze e pesci. Poi, raggiunte adeguate dimensioni, in genere oltre il metro e mezzo, lasciano la sicurezza delle lagune costiere al riparo delle mangrovie per riprendere il largo unendosi ai grandi branchi di adulti.
Non è considerato uno squalo pericoloso per l'uomo anche se qualche attacco è stato registrato a canoisti e surfisti. Per come li ho conosciuti io, sono animali bellissimi, timidi e diffidenti, difficili da avvistare e ancor più da avvicinare, capaci però di testimoniare che ancora resistono, su questa nostra povera Terra, asservita e profanata, reami di bellezza e di mistero che vivono e prosperano nonostante noi e disposti a manifestarsi a chi vi si voglia avvicinare con passione e reverenza, alla ricerca dell' ultima, effimera, libertà.