Dopo aver descritto Brno1 continuo ad esplorare la “misteriosa” Mitteleuropa, portandomi a Bratislava.

La capitale della Slovacchia rientra appieno in questo territorio-concetto. Apparteneva infatti all’impero asburgico e, come a Brünn/Brno, vi si parlava sia una locale lingua slava di popolo che il tedesco delle classi dominanti. Quest’ultimo, come ho notato nel mio precedente articolo, costituiva l’elemento comune alle diverse nazioni che un tempo componevano quell’impero e ne forniva il sostrato culturale sovranazionale/mitteleuropeo. Ma se Brünn era bilingue, la capitale slovacca era addirittura trilingue, dovendosi aggiungere l’ungherese. Il capoluogo di uno dei più antichi (e mitici) regni slavi divenne infatti, per due secoli, la capitale del regno d'Ungheria quando questo, dopo la battaglia di Mohács del 1526, era stato occupato quasi interamente dai turchi. Di qui i tre nomi della città: Bratislava, il nome slovacco, Pressburg, quello tedesco, e Pozsony, quello ungherese (derivato da Posonium, antico avamposto romano sul Danubio).

Ma prima di addentrarmi oltre nei meandri storico-culturali che caratterizzano il passato slavo-tedesco-magiaro di Bratislava vorrei fornire una sommaria descrizione “turistica” della città. Nella capitale slovacca, che dista un’ora di macchina da Vienna, dove abito, mi sono recato un’infinità di volte, per visitarne monumenti e musei, provare con poco sforzo il frisson di una visita all’estero, comprare libri sulla cultura locale e assaporarne la cucina sapida e i rinomati vini bianchi.

Poiché la città conta su monumenti di tutte le epoche, nel descriverli cercherò di andare in ordine cronologico.

In epoca medievale, Bratislava era completamente fortificata, ora rimane solo una porzione delle mura. Quella dell‘arcangelo Michele (Michalská) è l'unica porta rimasta delle mura cittadine. La sua costruzione risale al 1300, ma la sua forma attuale risale alla ricostruzione del 1758 in stile barocco. Lo Hrad, il castello - in realtà una fortezza massiccia - s'inalza su Bratislava con i suoi torrioni possenti, la sua robusta simmetria e il suo colore bianco candido. La storia del Vecchio Municipio, affacciato sulla grande piazza principale risale agli inizi della città medievale, nel XIII secolo. All'originario edificio romanico-gotico, nel 1581 fu aggiunto un porticato rinascimentale.

La cattedrale gotica di San Martino è del 1291 e il suo portale rappresenta il più antico esempio di architettura rinascimentale in Slovacchia. Dal 1563 al 1830 fu la chiesa dell'incoronazione dei re ungheresi, come testimonia la replica dorata della corona appollaiata sulla cima del campanile. A Bratislava gli Asburgo venivano a cingere la corona di Santo Stefano e la giovane Maria Teresa, a cui veniva contestata la successione dopo la morte del padre, l'imperatore Carlo VI, venne a chiedervi l’aiuto della nobiltà ungherese nel 1741, presentandosi col figlio Giuseppe (il futuro imperatore “illuminista”), appena nato, in braccio. Una “scena madre” rappresentata in una miriade di quadri e stampe dell’epoca.

Il “percorso reale” va dalle rive del Danubio, alla cattedrale, ai piedi del castello. Per concludere, il settecentesco Palazzo del Primate, nella cui Sala degli Specchi fu firmata tra i rappresentanti degli imperatori francese e austriaco la Pace di Pressburg dopo la vittoria di Napoleone nella battaglia di Austerlitz (per la Francia c’era il celebre Talleyrand).

Ma al di là dei singoli monumenti, quel che più colpisce della città vecchia di Bratislava è la sua compatta unitarietà stilistica, derivante dai molti palazzi barocchi appartenuti alla nobiltà ungherese e austro-tedesca, altrettanto eleganti, seppur in scala ridotta, di quelli di Vienna. E notevole a Bratislava è anche la posizione, fra il Danubio e le prime pendici dei Piccoli Carpazi. Costruita quasi a pelo dell’acqua del grande fiume color giada, la città ne riceve una luminosità quasi marina. Fuori dalle mura, un piccolo Ring alberato con caffè all’aperto, dignitosi edifici storicisti (il teatro, il museo, il conservatorio) e gli immancabili palazzi Jugendstil fin de siècle. Infine, i falansteri dell’epoca socialista e i nuovi grattacieli del mondo globalizzato.

Ultimato il mio “compitino” turistico, posso passare a cose più sostanziose, di natura storico-letteraria.

Una storia composita e plurinazionale

A Bratislava mi aveva colpito una grande statua - sguardo severo rivoilto al Danubio -di Ludovit Stúr poeta e patriota slovacco rivoluzionario del 1848 a me sino ad allora sconosciuto. Studiarne la figura aiuta a capire la storia e la psicologia di questo Stato. Filologo e poeta, attivissimo animatore culturale e politico, identificando la difesa della libertà nazionale con quella dell'idioma del suo paese Stúr ebbe un'importanza fondamentale per la codificazione della lingua letteraria slovacca moderna.

Nel 1848, quando le speranze rivoluzionarie infiammavano l'Europa, gli slovacchi indirizzarono ai loro dominatori ungheresi, in rivolta contro gli Asburgo, una richiesta di elementari diritti nazionali, cui le autorità magiare risposero con arresti e dure misure repressive. Kossuth stesso, il “Mazzini ungherese” chiarì subito che in Ungheria potevano esistere una sola lingua e una sola nazione. La questione della lingua creava difficili problemi anche all’interno della fratellanza slava. I rivoluzionari cechi infatti invocavano l'uso del ceco anche in Slovacchia, per conferire unità ed efficienza al movimento, relegando così lo slovacco a un ruolo subalterno.

Sperando che gli austriaci sarebbero stati disposti a concedere alcuni diritti a una popolazione slovacca che si fosse schierata con loro contro i separatisti ungheresi, alla fine del 1848 vennero formate unità di volontari slovacchi sotto il comando austriaco. Fu un calcolo sbagliato. Gli austriaci, una volta scontitta la rivoluzione quarantottesca, cercarono di riconciliarsi con gli ungheresi e abbandonarono ad essi gli slovacchi.

Il destino di questi ultimi — specie dopo la costituzione della Duplice Monarchia nel 1867, - è una pesante oppressione; considerati come mero gruppo quasi folcloristico all'interno della nazione magiara, gli slovacchi vedono negata la loro identità e la loro lingua, impedite e ostacolate le loro scuole, stroncate anche sanguinosamente le loro rivendicazioni, bloccata la loro ascesa sociale, boicottata la loro rappresentanza parlamentare. La schiacciante prevalenza economico-sociale ungherese confinava gli slovacchi a un tenore di vita rurale e rendeva oltremodo difficile la crescita di una loro classe borghese. Fu solo la chiesa a tutelare la nazione, a fondare scuole e a difendere l'oscura e disprezzata lingua slovacca.

L'austro-slavismo professato dei cechi si fondava sulla speranza di una posizione rilevante in un futuro assetto imperiale nell’ambito di una tollerante e corretta amministrazione austriaca. Gli slovacchi, soggetti all’amministrazione ungherese fortemente nazionalista e divisi dai cechi, non potevano identificarsi con questo progetto. Stur, il poeta e patriota rivoluzionario del 48, abbracciò quindi il panslavismo filo-russo e auspicò la dissoluzione dell'impero absburgico.

Un’altra importante figura della letteratura slovacca è Janko Král', contemporaneo e allievo di Stúr, di cui comprai una traduzione inglese in una libreria di Bratislava. Nei suoi versi fuse lo spirito della canzone popolare e il ricco folklore slovacco ai temi tipici della poesia romantica. Nel 1848 prese parte all'insurrezione slovacca, evitando miracolosamente la forca. Anche lui, come Stúr, nel 1849 si uní ai Croati per combattere contro I rivoluzionari ungheresi. Personalità ribelle rimasta leggendaria nella letteratura del suo paese, Král', fatte le debite proporzioni, sta alla Slovacchia come Sándor Petöfi sta all’Ungheria e Adam Mickiewicz alla Polonia. Una sua poesia, caratteristicamente proclama:

Gli slovacchi hanno la loro patria,
gli altri hanno il loro re.
Miei cari fratelli, parenti tutti,
è ora di capire:
non siamo orfani della terra,
abbiamo la nostra terra natale!
I Tatra sono le nostre fortezze,
la pianura per il nostro grano,
il Danubio, la Tisza, i confini –
che il Signore ci sostenga!”

Per ricapitolare: a Bratislava (e nell’intera Slovacchia) contava solo l'elemento dominante ungherese o, tutt'al più, quello austro-tedesco; al sostrato contadino slovacco non veniva riconosciuta dignità o rilevanza.

I filosofi hegeliani dell’Ottocento che tracciavano le leggi necessarie del divenire storico non furono teneri né ottimisti nei confronti della Slovacchia, bollandola come “nazione senza storia”, una comunità che la natura aveva destinato a una perenne condizione agraria e subalterna.

Al disfacimento dell’impero asburgico nel 1918 i vincitori della Prima Guerra Mondiale s’inventarono una Cecoslovacchia che facesse da baluardo a Germania e Russia. Fin da subito la rivalità fra cechi e slovacchi, una spirale reciproca di sospetto e diffidenza, vecchi pregiudizi di superiorità da parte degli uni e di rivalsa da parte degli altri, minarono l'unità del nuovo Stato. Quando la Germania occupò la Cecoslovacchia nel 1939, Monsignor Tiso instaurò un governo collaborazionista, separatista e indipendentista slovacco, alleato della Germania nazista e sorretto per lo più da cattolici di segno fortemente conservatore.

La Seconda Guerra Mondiale avrebbe dovuto rappresentare, nei territori occupati dall'Armata Rossa, la sconfitta dei nazionalismi e l'avvento dell'internazionalismo comunista. Ebbe invece l'effetto di «semplificare» etnicamente la Slovacchia: vennero cacciati e dovettero tornare nella patria d'origine gli ungheresi e gli austro-tedeschi, ma non si risolse la rivalità fra cechi e slovacchi. Non c’è quindi da sorprendersi che, dopo la caduta del Muro e la “rivoluzione di velluto” del 1989, le due nazioni abbiano pacificamente divorziato. Trovato finalmente il suo posto in Europa, la nuova Slovacchia sembra avviata a un più prospero e pacifico avvenire. E Bratislava si presenta allegra e vitale, rivolta non alla malinconia del passato, ma alla crescita e al futuro.

In conclusione

Spero di essere riuscito a convogliare in questo articolo il fascino che irradia la storia composita e plurinazionale della capitale slovacca. Spero quindi che i lettori decidano, in occasione di una loro visita alla più celebre Vienna, di fare un piccolo sforzo in più, spingendosi fino a Bratislava (le due capitali sono collegate da un’autostrada, treni, autobus e perfino un battello). Sono sicuro che non se ne pentiranno.

Note

1 Vedi l’articolo su Meer edizione italiana del 28 febbraio 2025: Brno: la Mitteleuropa che resiste.