Del traffico tutti ne parlano male e io, che per anni son dovuto andare da una clinica veterinaria all’altra del centro di Roma per offrire le mie consulenze come dermatologo, non mi sottraggo. Erano i primi anni 2000, inizi della mia carriera professionale e quindi periodo di grande impegno.

Del traffico si può discutere per ore, dirne di ogni male, ma alcune volte (rare) ci sono le eccezioni. Innanzitutto il traffico fa perdere tempo e ancor più la pazienza. Non meno, imbottigliati nel traffico, si perdono salute e concentrazione, oltre che soldi.

Il traffico di Roma offre tutto questo con un’aggiunta di caos e creativa irresponsabilità con tocchi di sconsideratezza.

Io in coda sulle vie consolari o sul raccordo ho trascorso intere (e non è un modo di dire) mattinate o pomeriggi e questo fa molto male a testa e corpo.

Quando la mattina sali in auto e lo fai per lavoro, sapendo di non avere alternative, devi trovare delle soluzioni che ti permettano di affrontare il traffico e di sopravvivere. Se vuoi tornare a casa la sera coi nervi sani sei obbligato a trovare se non una soluzione, almeno un compromesso. Immagino che ognuno abbia il suo.

Fermo nel traffico ho visto (sentito) persone ascoltare musica al 110% del volume, altre cantare, altre ancora cercano distrazione con gli audiolibri o coi più impensabili corsi in cassetta. Io avevo il mio trucco per sopravvivere: distrarmi. Se lo si fa quando l’auto è bloccata, ferma, immobile non è pericoloso. Si può fare e Roma offre un bel modo per farlo: in ogni via le sue bellezze uniche e secolari scorrono lungo gli sportelli dell’auto. In molti casi questo scorrere neanche viene notato, io decisi di farlo.

Basta allungare l’occhio a destra o a sinistra e vicoli caratteristici, case di tutte le epoche, chiese di ogni stile, palazzi e palazzoni con ogni abuso, giardini e parchi inaspettati o importanti palazzi istituzionali, se si vuole, possono attirare lo sguardo e l’interesse di chiunque.

Dopo un po’ di mesi di questo approccio al traffico di Roma, il mio occhio si era posato su tanti scorci o curiosità che ogni giorno “mi scorrevano” affianco.

Tra le tante cose che avevano attirato la mia curiosità ce n’era una che non riuscii a collocare subito nel panorama archeologico di Roma. Questa era una strana stele simile alle tante egiziane che impreziosiscono molte piazze di Roma, ma questa egiziana non era. Fatta di pietra scura basaltica, era alta oltre 20 metri. Quindi non era proprio un oggettino difficile da vedere. Era posta a margine di Piazza di Porta Capena, affianco al grande palazzo della FAO. Incuriosito, siccome allora ancora non erano disponibili Google o Wikipedia, interrogai alcuni amici su quella particolare presenza tra le rovine dell’antica Roma.

Scoprii così con sorpresa e meraviglia che quella era chiamata la stele di Axum e proveniva dall’omonima città del nord dell’Etiopia. Arrivò a Roma nel 1937 come bottino di guerra dopo averla trovata abbandonata nel luogo d’origine. Fu necessaria una colossale impresa di smontaggio, restauro, trasporto e rimontaggio. Da allora si trovava nella sede dove ogni persona imbottigliata in quell’incrocio la poteva ammirare in tutta la sua altezza. Io ne rimasi così colpito da quelle prime informazioni e dal fatto che quella stele appariva così unica e staccata da quel panorama archeologico incentrato sull’antica Roma che ne volli sapere di più.

Scoprii allora che quella stele era al centro di una diatriba politico diplomatica che vedeva confrontarsi chi era per la restituzione e chi no. Raccolsi anche altre informazioni tanto da saperne di più anche dei più informati dei miei amici. Addirittura un paio di volte riuscii a trovare parcheggio nelle vicinanze tanto da darmi così la possibilità di una visita a distanza ravvicinata a quella scura pietra scolpita secoli e secoli fa. Non riuscii dal trattenermi a sfiorarla.

Negli anni successivi la mia carriera evolse e per certi aspetti cambiai lavoro e vita quindi cambiarono anche i percorsi routinari fatti con la mia auto. Cambiò così anche il panorama che scorreva lungo le fiancate della mia auto e con esso scomparve quella curiosa presenza del centro di Roma.

Onestamente, preso da mille incombenze e pensieri, in poco tempo la stele di Axum uscì completamente dai miei pensieri, ma a quanto pare curiosamente non dalla mia vita.

Era l’anno 2016 e, senza minimamente pensare a cosa anni prima aveva attirato la mia curiosità a Roma, per strane coincidenze mi ritrovai ad organizzare con la mia compagna un tour nel Tigray. La regione più settentrionale dell’Etiopia. Prevedemmo di visitare Adis Abeba, Macallè, le chiese della Libela, il deserto della Dancalia e poi Axum, Gondar e il lago di Tara per poi rientrare alla capitale. Quella vacanza, forse non proprio organizzata al meglio, ci portò ad affrontare situazioni di una regione che non era organizzata per accogliere turisti che non facessero parte dei costosi tour organizzati. Alla fine tutto andò bene, ma già dopo pochi giorni, forse a causa anche della scarsezza d’ossigeno alle altitudini degli altopiani del nord dell’Etiopia, la stanchezza fu opprimente.

Fatte le prime tappe non ci nascondemmo il pensiero ricorrente di chiudere anticipatamente la nostra vacanza questo almeno fino a quando non arrivammo ad Axum.

A questo punto va precisata una cosa. Axum è una città posta ad oltre 2.100 metri. Questo, se non ci sei abituato, ti obbliga a vivere con poco ossigeno con tutte le più o meno gravi conseguenze e curiosità che probabilmente saranno oggetto di un mio prossimo articolo.

Axum fino a quel momento era solo una tappa del nostro tour che tra l’altro avevamo previsto il più breve possibile in quella zona per limitare la nostra esposizione alla diminuzione della pressione parziale d’ossigeno dell’aria. Arrivati lì quel nome mi risvegliò ricordi e informazioni raccolte oltre un decennio prima e da quel momento la domanda fu una sola.

Che fine aveva fatto la stele di Axum di Roma? Chi aveva vinto tra i contendenti politico diplomatici? Trovata una connessione internet in una regione dove non era certo facile poter avere, nel 2016 non mi fu difficile aggiornare le mie informazioni sulla stele.

La prima cosa che seppi è che dal 2008 era tornata a casa. Da allora non era più circondata da auto e persone che neanche la guardavano mentre ascoltavano musica a tutto volume. Ora si trovava nel parco archeologico di Axum là dove alcuni ora la chiamano la stele di Roma.

La mattina dopo, anche se con il fiatone, riuscii ad essergli accanto. La guardai dall’alto in basso e poi dal basso fino alla cima. Riconobbi la finta porta scolpita e tutte le altre figure che molti anni prima avevo visto dal finestrino della mia auto quando ero imbottigliato all’incrocio di Piazza di Porta Capena.

Curiosamente venni colto da una forte emozione che definirei tenera, ma anche di tranquillità. La tranquillità di non vedere più quella stele oppressa dal traffico. Un’esperienza che avevo provato anche io cambiando vita.

Ancora una volta non riuscii dal trattenermi a sfiorarla.