La mente è il mentitore, la mente è l’uccisore, uccidi la mente, uccidi l’uccisore.

(Sivananda Saraswati)

Uno dei concetti più abusati nell’ermeneutica della dilagante dottrina new age, foriera di distorte interpretazioni di concetti fondamentali della scienza dello spirito, è il Karma. È mia abitudine ricercare il senso profondo delle cose, come un viandante nel sentiero della conoscenza munito della sua preziosa lanterna, così ho esplorato il concetto del Karma cercando di dissolvere la nebbia che lo circonda. Innanzitutto è necessario dire che il karma non è collegato alla legge di causa ed effetto e alla retribuzione dei peccati come inteso comunemente nella cultura occidentale.

Il comune senso di giustizia ritiene infatti che il bene sia ricompensato con la felicità e il male con la sofferenza ma spesso possiamo constatare che molte persone virtuose sono perseguitate da disgrazie e immani difficoltà mentre persone malvage vivono impavide e beate le loro vite.

Come può accadere ciò? Dove risiede la giustizia? Una risposta ci giunge dal buddhismo che identifica questa legge impersonale che regna su tutti gli esseri senzienti nella legge del ‘kamma’ o ‘karma’.

Tale legge afferma che ogni azione genera un frutto che può essere buono, cattivo o neutro, istantaneo o dilazionato nel tempo, nella sequenza illimitata di esistenze. L’etica di questa legge sta nel fatto che l’azione non scompare nel nulla ma avrà un’equa retribuzione secondo la legge divina: il bene con la felicità, il male con la sofferenza. Nella dottrina induista il karma è chiamato ‘co-azione a ripetere’, quindi costrizione, azione di una forza sovraumana.

Scrive lo studioso theravāda Ñanatiloka:

Karma (sanscrito), pāli: kamma: 'azione', correttamente inteso denota le volizioni profittevoli o dannose (kusala- e akusala-cetanā) e i loro fattori mentali concomitanti, che causano la rinascita e modellano il destino degli esseri. Queste volizioni karmiche (kamma cetanā) si manifestano come azioni profittevoli o dannose tramite il corpo (kāya-kamma), la parola (vacī-kamma) e la mente (mano-kamma). E così il termine buddhista 'karma' in nessun senso significa il risultato delle azioni e certamente non indica il destino di un uomo, o magari persino quello di intere nazioni (il cosiddetto karma all'ingrosso o di massa), fraintendimenti che, per via di influenze teosofiche, si sono diffusi ampiamente in occidente.

Il fraintendimento sulla legge di causa ed effetto è stato introdotto dalla Società Teosofica co-fondata da Madame Blavatsky nel 1875 che, per spiegare le dottrine orientali agli occidentali ne ha distorto il significato, adattandole ai concetti del peccato originale e della legge inesorabile di causa-effetto secondo la quale ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria (3° principio della dinamica).

Per risalire al vero significato del karma è necessario indirizzare lo sguardo alla sapienza vedica che utilizzava il termine neutro e radicale karman per indicare il complesso delle attività umane e poiché la società vedica era fondata su principi sacri, sul lecito e non lecito, chi agiva seguendo le leggi sacre applicava la sua azione in modo corretto, conforme alla legge divina, chi deviava dalla suddetta legge agiva un karma negativo. Il karma è quindi violare la regola celeste, l’equilibrio tra il cielo e la terra.

In quest’ultimo caso interveniva un sacerdote vedico che, con degli appositi riti riparatori, riequilibrava il karma squilibrato che aveva alterato la legge divina. Non aveva nessuna importanza se l’individuo infrangeva le leggi istituzionali, se lo faceva veniva punito in base a queste, ma l’atto karmico squilibrato era considerato sacrilego perché violava l’equilibrio ed era necessario riparare.

Tutto ciò che non è questo è un’arbitraria interpretazione di questo principio di equilibrio. Nelle dottrine induiste il concetto del karma è strettamente connesso al mokṣa, inteso dal punto di vista soteriologico come liberazione e salvezza dal saṃsāra, l’eterno ciclo di vita, morte e rinascita.

Karman deriva dal sanscrito kr che significa azione, fare qualcosa, agire, creare qualcosa agendo. Ma l’azione non è solo riferibile agli esseri umani, è l’azione anche da parte del cosmo, inteso come unità anch’essa pensante, l’uomo pensa perché è ‘figlio’ del cosmo che pensa. Questo concetto è spesso ignorato quando si parla di karma ma è di fondamentale importanza per comprenderne il significato.

Dal concetto dell’unità cosmica deriva la verità fondamentale racchiusa nella vasta raccolta di testi sacri: «Tutto è Uno. Dunque tutto ciò che fai lo fai a te stesso. Tutto ciò che proietti all’esterno – di bene o di male – prima o poi ti torna addosso».

Vi è un principio di armonia che regola tutto il cosmo, è la forza di omeostasi dell’universo che tende all’armonia, se qualcosa è disarmonico la forza della legge divina lo riporta a posto con le buone o con le cattive. Il karma individuale non esiste, esiste invece una posizione squilibrata dell’individuo rispetto alla regola celeste che lo pone a essere reindirizzato e ripreso verso una direzione non squilibrante.

Il Karma è la Maat egiziana, il principio di ordine macrocosmico secondo il quale ogni cosa per esistere deve contenere le qualità di Giustizia (azione giusta) e Verità (ciò che è vero senza menzogna).

La legge di causa ed effetto sorge quando la mente separativa dualistica opera la distinzione tra oggetto e soggetto e la loro relazione come momenti separati. In assenza di tale mente e del pensiero giudicante non esiste il karma, quindi no mind no karma. Nel samadhi o vuoto mentale la mente dualistica non esiste, non c’è separazione tra me e il divino, cancellando l’Io non c’è karma. Se il soggetto si indentifica con tale mente separativa entrano in azione delle forze caotiche che lo conducono a creare disequilibrio. Tali forze sono i tre veleni del buddhismo: ignoranza, attaccamento e avversione.

Sono le passioni della mente che spingono ad agire creando i presupposti per l’insorgere del dolore che affligge e imprigiona l’uomo nel saṃsāra. I tre veleni sono raffigurati al centro della ruota dell'esistenza ‘bhavacakra’ da tre animali: il maiale è l'ignoranza, il serpente è l'avversione, il gallo è l’attaccamento.

La mente dualistica le attrae come un magnete, quindi se ci identifichiamo con l’Io come esistenza distinta e separata, in antagonismo con la dimensione sacra, queste forze ci costringono a creare caos e squilibri di cui subiremo i nefasti effetti. Ovviamente, sulla base dei tre veleni, se aderiamo alla visione separativa veniamo proiettati in modo squilibrato nell’azione e genereremo delle cause che sussistono solo in relazione alla mente separativa dualistica, all’ignoranza.

Gli atti che compiamo, sia materiali che psichici (parole, pensieri, intenzioni, desideri) lasciano una traccia che non va mai perduta, producono un effetto non solo meccanicamente evidente ma anche energetico non immediatamente percepibile. E poiché la psiche si confronta con quella dell’Universo ne è modificata dagli atti stessi che sono impressi nella psiche, così se la psiche individuale non rispecchia perfettamente l’Unità intesa come Verità dell’Essere, va necessariamente corretta per riportarla all’Essere originario di cui essa stessa è una delle manifestazioni ed espressioni.

In questo senso il karma si intreccia con il concetto del destino. Gli occidentali si dividono in due gruppi rispetto al destino: chi lo intende come frutto delle proprie azioni e chi lo percepisce come una sovrastante forza oscura. I primi pensano che ognuno è artefice del proprio destino, intendono il successo come il risultato della costruzione di occasioni sfruttate al meglio, con determinazione e resilienza rispetto alle difficoltà. I secondi hanno un atteggiamento superstizioso e fatalista, credono che una forza oscura diriga le loro vite in base a misteriosi disegni. Il karma si posiziona in mezzo ai due gruppi: siamo, è vero, autori delle circostanze che incontriamo lungo il cammino della vita ma ne siamo spesso inconsapevoli, non ricordiamo i semi che hanno originato tali eventi e così li attribuiamo ad una entità estranea.

Nella tradizione greca, da cui deriva tutta la dottrina misterica occidentale, la vita umana è divisa tra due fattori: il destino e il fato, il destino può essere modificato dalle scelte, dai riti, mentre il fato no. Il fato sovrasta gli stessi dei dell’Olimpo, è una legge inesorabile. Alcuni filosofi greci come Pitagora, Platone, collegano il concetto di karma con la metempsicosi, l’idea della reincarnazione è funzionale per spiegare il fatto che il frutto delle azioni in questa dimensione continui in un’altra, e perché gli uomini nascano con diversificate possibilità.

Nella cultura giudaico-cristiana il concetto di karma viene espresso nella Bibbia, basti pensare alla famosa frase del Cristo: «Cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte le altre cose vi saranno date in aggiunta» (Matteo, 6, 33). In queste parole è inserito il concetto di Dharma ovvero del codice di rettitudine strettamente connesso al karma. Il Cristo assicura che chi segue il codice di rettitudine avrà un karma positivo, sereno.

Omraam Mikhaël Aïvanhov descrive così il karma:

Nell’istante in cui agite, mettete inevitabilmente in moto certe forze le quali produrranno inevitabilmente certi risultati. È questa idea di rapporto tra causa ed effetto che è anzitutto contenuta nella parola “karma”. Solo più tardi questa parola ha assunto il significato di pagamento per una trasgressione commessa. Si può quindi dire che il “karma” (nel secondo significato del termine) si manifesta tutte le volte che un’azione non è totalmente ispirata dalla saggezza e dall’amore divino – il che accade il più delle volte. Ma l’essere umano fa dei tentativi, ed è bene che si eserciti. Quei tentativi sono maldestri, imperfetti, ma non è grave: egli si deve correggere, deve riparare i suoi errori, e sicuramente per far questo fatica, soffre. Direte: «Ma allora, visto che quando si agisce si commettono necessariamente degli errori e si dovrà soffrire per ripararli, non sarebbe meglio non fare nulla?» No, si deve agire. Ovviamente soffrirete, però imparerete, evolverete… e un giorno non soffrirete più. Quando avrete imparato ad agire correttamente, quando tutte le vostre azioni e le vostre parole saranno ispirate dalla bontà, dalla purezza e saranno disinteressate, non produrranno più “karma”, ma attireranno conseguenze benefiche. E questo viene chiamato “dharma”».

Se la legge del karma venisse compresa dalla maggior parte delle persone si ridurrebbero drasticamente le azioni negative, squilibrate. Se si capisse che agire con onestà e verità senza danneggiare gli altri è l’unica via che conduce alla felicità il mondo sarebbe un luogo di gioia. Purtroppo molte persone non sono consapevoli del legame tra le loro azioni e gli eventi perché non conoscono la legge del karma, non sanno che si muove in modo più ampio nell’Universo e quindi più lento rispetto agli uomini. Non essendo immediato il legame viene ignorato. Ad esempio, colui che diffama qualcuno non vede il legame tra questo e l’insorgere di una malattia che distrugge le sue cellule epatiche. Bisogna comprendere che il karma è un sistema di insegnamento, non di vendetta, se comprendiamo profondamente la lezione si estingue.

Dirigiamo il pensiero verso la bellezza dello spirito, cerchiamo di essere grati ogni istante, di amare perché quando amiamo siamo nell’Unità. Concludo citando il salmo 91: «Dicendo: ‘Mio rifugio è il Signore’, hai costituito l’Eccelso a tua difesa, non ti accadrà male alcuno, né giungerà flagello alla tua tenda, ché per te Egli ha dato ordine ai suoi Angeli di custodirti ad ogni tuo passo… affinché il tuo piede non urti nei sassi. Camminerai sull’aspide e sulla vipera, calpesterai il leoncello e il drago… Ti innalzerò perché onori il mio nome… sarò presso di te nella tribolazione».