Quando da ragazzo partivo per un viaggio lo facevo sia per voglia d’avventura, che per curiosità di vedere il mondo. Mi sembrava assurdo vivere su di un pianeta di cui conoscevo solo la mia città e i suoi dintorni. Ma una forte motivazione era anche quella di prendermi una pausa da quello che stavo facendo; non una sorta di ferie, ma un certo distacco psichico per valutare con maggiore imparzialità quanto stavo facendo e, soprattutto, come lo stavo facendo.

Oggi non molto è cambiato, ancora viaggio per curiosità e un po' per spirito d’avventura. Ma soprattutto ho ancora bisogno di prendere le distanze dalle mie attività.

In questi ultimi cinque anni, oltre al mio lavoro professionale che già mi occupava alquanto le giornate, mi sono dedicato in attività che ritengo “sociali”. Impegno che già profondevo da diversi anni come parte di una fondazione tedesca che gestisce un asilo e una scuola elementare in India, a Varanasi. Ma volevo cercare di essere utile anche al mio Paese, pensavo di poter dare un contributo per cambiare una società che mi è sempre andata stretta e con la quale ho sempre avuto un rapporto alquanto conflittuale. Convinto che il cambiamento sociale passa inevitabilmente dalle scuole, ho cominciato a chiedere ai cosiddetti “esperti” di spiegarmi il loro punto di vista sulla scuola italiana; li ho intervistati (ci dovrebbero essere ancora alcuni video sul web) ed ho riassunto questa mia esperienza in un libro intitolato semplicemente “Un libro di scuola”, edito da Bibliotheka Edizioni.

Contemporaneamente ho trasgredito una mia convinzione che condividevo con Tiziano Terzani e cioè una certa idiosincrasia verso il mondo associazionistico. Sono così entrato a fare parte di svariate organizzazioni e gruppi di studio, in alcuni dei quali sono stato responsabile dei dipartimenti legati alla scuola e all’istruzione. Poi c’è stato l’avvento della pandemia che ha reso tutto molto più urgente; bisognava far fronte al modo assurdo con cui i media e il nostro governo stavano bombardando le deboli menti dei nostri concittadini inoculando loro non solo pseudo vaccini non testati, ma soprattutto mezze verità ammantate di rigore scientifico. E allora giù con riunioni fiume virtuali, con la redazione di documenti da far avere ai vari mezzi d’informazione e ai nostri politici, con organizzare manifestazioni e tavoli di lavoro congiunti e chi più ne ha più ne metta. Giornate, settimane, mesi, anni interi passati davanti ad un monitor a scrivere, parlare, discutere, organizzare, lavorare…e intanto la mia vita se ne stava andando assieme al rapporto con mia moglie. So di diversi compagni d’avventura che in questi anni hanno avuto problemi con la propria famiglia, arrivando a separazioni e divorzi. Il tutto per la causa, per il bene sociale, anteposto a quello personale e familiare.

Poi, uno spiraglio: le regole sull’espatrio si sono addolcite e la “mia” scuola indiana aveva bisogno che tornassi sul campo per occuparmi dei 130 bambini che la frequentano. Inoltre, si è profilata la possibilità di collaborare con una ONLUS italiana che gestisce una scuola in Kerala. E allora, via, basta con tutto questo, basta anche con il lavoro – ho cessato l’attività professionale – ed eccomi ancora una volta con mia moglie on the road in India. Ancora una volta ho bisogno di una pausa di riflessione, devo osservare da lontano quanto fatto in questi ultimi anni e, soprattutto, come l’ho fatto.

E allora vedo con maggiore chiarezza da dove sono partito, qual era il mio scopo originario, quali le convinzioni che avevo all’inizio e se le ho mantenute ben salde o si sono, invece, “frollate”. E, più importante di tutto ciò, quali risultati ho ottenuto. Ma, calma: facciamo un bel respiro profondo, una bella “OM”, buttiamo fuori tutta la negatività, tre saltelli, una giravolta, innalziamo i nostri cuori al signore e vediamo di capirci qualcosa.

Da questo particolare punto d’osservazione alcune cose perdono assolutamente di senso. Certe di ordine pratico, altre meno. Per esempio, della guerra in Ucraina non ne parla nessuno. La gente ne sa qualcosa, ma molto poco. I giornali relegano la notizia nelle ultime pagine, la TV non la vedo in Italia figuriamoci qui. Il Covid? Mah, non saprei cosa dire, qui non se ne parla mai, si può andare e venire dove si vuole, nessuno ti chiede la mascherina, né tantomeno se sei vaccinato o no.

Allora tutto quello per cui ci siamo battuti e ci stiamo battendo in Italia, prima per una corretta informazione sul Covid, poi per dare una imparziale visione sulla guerra in Ucraina, che senso ha? Sono davvero notizie essenziali per la vita della comunità mondiale? Se sì, perché qui nessuno ne parla, perché le persone non sono bombardate dai media su questi argomenti, perché non ci sono bollettini quotidiani sul numero di morti di Covid e sul numero di missili sparati dalla Russia?

Forse in India non è tramite il martellamento incessante della notizia di turno che si plasmano le deboli menti. Forse è lasciandole allo scuro di quanto succede. Probabilmente i cosiddetti “poteri forti” hanno escogitato metodologie di assoggettamento della popolazione diverse a seconda dell’ambito in cui devono operare. Il popolo occidentale è più rivolto al futuro, ha bisogno di sapere, di conoscere, legge, s’informa e allora diamogli cattiva informazione, un’informazione che ci faccia comodo. L’orientale s’interessa di più di quello che lo coinvolge nell’immediato, vive più l’oggi, è meno preoccupato del futuro, legge poco, s’informa poco e allora lasciamolo cuocere nel suo brodo e non diciamogli nulla, se non il minimo indispensabile. Può essere.

Ma può anche dipendere da come si vedono e si osservano le cose, soprattutto, attraverso quale lenti le osserviamo. Lo stesso evento assume significati diversi sia a seconda di chi lo osserva, sia da come lo si osserva.

Per esempio, qui in India, le notizie non è che non ci siano, solo il mondo viene visto da un’angolazione diversa. Mi viene in mente quando sono andato in Australia e, aprendo un atlante geografico, sono rimasto colpito dal vedere che al centro del mondo c’era l’Australia, non l’Europa come siamo abituati a vedere sui nostri atlanti. Similmente, qui le notizie più importanti sono relative ai rapporti turbolenti tra India a Cina, ai continui scambi di colpi d’artiglieria ai confini tra i due Paesi. Oppure alle cooperazioni commerciali tra Paesi asiatici e tra India ed Emirati Arabi. C’è poco di Stati Uniti e quasi nulla d’Europa. Qui si parla ancora molto di terrorismo e di estremismo religioso, un argomento che da noi trova spazio solo quando si verifica un attentato. Si osanna la crescita del 7% annuo e tutti, ma proprio tutti, sono convinti che l’India e l’Oriente diverranno il centro del mondo, che la visione ameri-centrica sia obsoleta e giunta ormai ad un punto di decomposizione avanzata. L’occidente, da qui, non è che sembri morto, puzza proprio di putrefazione.

Immagino che lo stesso lo potrei dire se visitassi il Centro o Sud America; anche lì, probabilmente il mondo si osserva da un altro punto di vista. Ma allora qual è quello giusto, quello vero? Nessuno di tutti questi e tutti insieme. Noi europei riteniamo di saperne più di tutti gli altri, di conoscere la realtà delle cose e quello che sottintendono. Ma probabilmente è sempre la stessa presunzione che ci portiamo dietro dall’epoca del colonialismo: noi siamo la cultura, gli altri popoli sono i selvaggi. Noi siamo i depositari della visione olistica. E questo mi riporta alle convinzioni che avevo prima di tuffarmi a capofitto nell’avventura del mondo associazionistico italiano.

Chi mi conosce bene e chi mi segue da qualche tempo sa benissimo che ho sempre sostenuto che non si può cambiare la società se prima non cambiamo noi. Questo è sempre stato il mio slogan, in cui ho sempre creduto e continuo a credere. Solo che anch’io, come l’Occidente, iniziavo ad avere un odore strano. Un po' come la canzone del Signor G “L’odore”. Dopo aver passato gli anni della mia gioventù a cercare di capirmi, ad osservarmi e a provare ad accettarmi, ultimamente mi sono dedicato a quello che era fuori di me, pensando che in questo modo avrei potuto aiutare la mia gente e i più piccoli. Da qui, al contrario, mi risulta chiaro che quello che stavo facendo era raschiare la superficie, senza nemmeno riuscire a scalfirla più di tanto. Ora mi è assolutamente chiaro che quello che sostenevo a parole devo metterlo in pratica. Per cambiare la società devo prima cambiare me stesso.

Direi che il primo passo fondamentale l’ho fatto: togliermi dal mondo vorticoso e infruttuoso dell’associazionismo. Non è che non sia servito a niente: mi ha fatto conoscere persone stupende e meno stupende, ho potuto relazionarmi con grandi personaggi della pedagogia e sperimentare il mondo televisivo/giornalistico. Ma come dicevo in precedenza, non sono sicuro che lo sforzo profuso abbia dato risultati tangibili. Ecco, è proprio questo che mi ha allontanato da tutto ciò, il fatto che si parla, si parla, ma di risultati concreti pochissimi. Mi ricorda uno spot degli anni ’60 che recitava: “Ho fatto, ho fatto, ma non ho visto niente!”. Probabilmente è stata colpa mia, forse non ho capito come muovermi in quel mondo o forse non ho inteso i veri fini che ci si poneva. Ma io non sto condannando quell’ambiente in toto, dico solo che personalmente sento che il mio autobus per un vero cambiamento non fa le loro stesse fermate. Al tempo stesso, questa che immagino ad alcuni sembri una rinuncia, il sottoscritto la vive come un percorso molto impegnativo, soprattutto ora che non ho più scuse. Sono solo, non devo rendere conto a nessuno se non a me stesso e a mia moglie; quindi, il tempo di tergiversare è finito.

Da oggi si fa sul serio.