Milano è Milano. Cioè? Beh, Milano è tante cose, tantissime. Difficile descriverla in un solo modo. Quando ci vado (regolarmente, perché è una città che amo molto, dove ho vari amici), mi stupisco ogni volta di quanto sia “tanta” e varia, questa città che è la vera (unica) metropoli che ci ritroviamo in Italia. “Tanta”, nel senso che ha tante anime – molto diverse tra loro. Se penso al centro “vivo” di Milano, quello dove si svolge la vita quotidiana, non penso al Duomo o a Brera. Penso ai tanti quartieri che la animano, come tante micro-città dentro una città più grande, che la rendono così variegata.

Che Milano sia una città composita dove culture e lingue si mescolano, me lo conferma il mio amico Pap, nato in Senegal e arrivato per caso a Milano nel 1985 – città d’elezione da cui non se ne è più andato. “A Milano mi sento a casa”, mi confida Pap, “Sono legato in particolare a Corso Buenos Aires con il suo traffico, il brulicare del suo popolo cosmopolita. Quando vado a Parigi, Londra, New York e anche a Dakar dove sono nato, non vedo l’ora di ritornare a Milano.” Questa sua nostalgia è il motivo per cui ogni tanto lo prendo bonariamente in giro definendolo un “milanese doc”. Ma il vero milanese, gli chiedo, esiste (ancora), di questi tempi? “Il vero milanese è una specie in via di estinzione”, osserva Pap. “Milano è abitata da emigrati italiani, europei e da circa 90 etnie provenienti da tutto il mondo. Per me il vero milanese è quello che ama questa città e contribuisce alla sua crescita culturale, sociale ed economica.” Un milanese nell’anima verrebbe quasi da dire.

Milano crogiolo di culture si esprime in una varietà di lingue: “Salire sul tram, sulla metropolitana, sedersi al bar e sentire parlare lingue di tutto il mondo, a volte mescolate con l’italiano, questa è Milano” – racconta Pap – “e questi non sono turisti ma residenti, a volte accompagnati dai figli piccoli. È un piacere.” Un piacere che talvolta viene oscurato da una progettualità non ancora sufficiente a valorizzare la nuova generazione di italiani. Come mi fa notare Pap, infatti, rimangono alcune problematiche per i figli degli immigrati arrivati negli anni ’70 e ’80, formati nelle scuole e laureati nelle università locali, che alla fine faticano ad essere assunti nelle aziende, università o amministrazione pubblica, per via della cittadinanza che ancora manca – sebbene siano nati o cresciuti in Italia – o di nomi che suonano poco italiani. Persone, mi spiega Pap, che alla fine fanno prima ad emigrare in Svizzera, Inghilterra, Francia, Canada.

Milano che dà, Milano che toglie: un equilibrio ancora precario, penso io. Milano, questa città multistrato, piena di fascino e sfaccettature. “Quasi una donna da corteggiare” – sorride Pap. Non per niente, diceva di Milano lo scrittore Carlo Castellaneta: “Ci sono città di evidente bellezza che si danno a tutti, e altre segrete che amano essere scoperte. Milano appartiene a questa specie, al punto che riesce difficile stabilire le ragioni del suo fascino […]. Io credo che esso consista anzitutto nella sua ‘classe’, né più né meno come avviene per certe donne che ci colpiscono per il loro portamento, anche se belle non sono, e neppure truccate.”

Milano, una città che va avanti, secondo Pap, “proprio perché è cosmopolita. Forse perché ci vivono, lavorano, si scontrano e confrontano quotidianamente persone di diverse origini e culture.” Un confronto quotidiano, con il diverso, che fa girare la città, la porta a trovare nuove soluzioni, modi originali di far convivere le diversità, le varietà, le ricchezze che ognuno porta con sé. Milano come macro-mondo che accoglie micromondi di vari settori: “Milano è la città della grande editoria, della cultura, dei grandi atenei, della finanza, della moda, dei grandi ospedali, di una società civile attiva”, mi ricorda Pap. “La città meneghina è il cuore pulsante dell’Italia.”

Dei tanti microcosmi milanesi, Pap mi confessa di amare e frequentare soprattutto le periferie. Mi spiega che è lì che spesso si arriva a fare contro-cultura, dando vita a realtà culturali alternative e interessanti, come il CIQ (Centro Internazionale di Quartiere), gestito da un team multietnico a Corvetto, nella periferia sud-ovest della città. Anche le biblioteche di quartiere sono luoghi di rifugio per Pap (che, tra le varie cose, fa lo scrittore): ce ne sono varie decentrate nei quartieri, a spargere cultura un po’ ovunque.

E l’aperitivino famoso della “Milano da bere” anni ’80? Pap non lo disdegna, e mi suggerisce un locale ne pressi di Porta Venezia, L’Antica Rosticceria Milanese: “fanno degli aperitivi originali”, racconta, “e il bar tender è un amico senegalese come me”. Per il panettone invece, specialità meneghina per eccellenza, Pap suggerisce un posto in Piazza Risorgimento, la Pasticceria Sissi, “anche se la proprietaria, Sissi, è una milanese doc: mi spiace deluderti!”, scherza con me.

Milano, ogni volta che la visito, la scopro di nuovo. Come se si lasciasse svelare, sollevando un velo per volta, piano, con gradualità. Milano, alla fine, più che comprendere, la si può raccontare, a lungo, a fondo, senza giudizio, nelle mille anime e storie che la traversano quotidianamente. Milano, universo variopinto ricco di fermento e complessità, alla fine, non la si può che amare così com’è, perché, sorride Pap prima di salutarmi, con accento milanese perfetto, “Milan l’è semper Milan.”

Lampadine viola ai vetri del Caffè Luna
unica luce a far vedere le cose
insieme all’alba afosa di luglio

Linda – è il suo nome italiano,
la sua identità milanese –
mi porta un succo d’arancia
e si siede a un tavolino
non le serve stare al bancone
ci sono solo io
che leggo la Gazzetta dello Sport

si scatta delle foto con il suo iPhone bianco
tutte primissimi piani
forse poi le mette su Facebook
oppure lo fa per misurarsi il sorriso
la curva dell’incarnato avorio
lei ancora ventenne
arrivata bambina dalla Manciuria
per una parte da diva
qui, in un bar all’angolo tra Lambrate e Città Studi

(Poesia di Luca Vaglio, tratta da Milano dalle finestre dei bar, Marco Saya Edizioni 2013)