Non puoi fare niente, dunque non cercare niente. Tutto ciò che dici non è ciò che occorre, dunque non dire niente. Ciò che dici e ciò che sai è ciò che sei, ma devi conoscere Dio attraverso Lui e non attraverso te; è lui che apre la strada che conduce a Lui, non la saggezza umana.

(Farid al-Din Attar)

Nella Persia governata dai Turchi Selgiuchidi nasce uno dei più grandi poeti narrativi della letteratura persiana medievale, il mistico sufi Farid al-Din Attar di Nishapur (1145-1221) e maestro del più noto Jalal al-Din Rumi, mistico persiano del 13° sec. che ha fondato la confraternita islamica dei Dervisci rotanti, mistici in tunica bianca che piroettano vorticosamente su se stessi in stato di trance per raggiungere l’estasi. Il cerchio prodotto dal loro girare in tondo veniva considerato nell’antichità come simbolo sacro di unità e perfezione con il divino. Il movimento circolare è perfetto e immutabile, rappresenta ciò che non ha inizio né fine. Scrive Attar: «Cos‘è mai la ruota se non un pellegrino che ha smarrito la via?».

Il Sufismo è un metodo di perfezionamento interiore, pone come centrale la ragione del cuore a scapito della supremazia della mente logica, è il cammino delle anime assetate di Dio. Suf significa lana, e proprio con questa fibra erano intessuti gli abiti dei primi mistici musulmani, che aspiravano a realizzare in vita la presenza di Dio attraverso l’ascesi e la meditazione. La caratteristica principale della poesia sufi è l’esaltazione della devozione verso l’amato, così anche per Attar l’amore terreno viene inteso come metafora dell’amore divino, il primo è imperfetto ma riflette spiritualmente quest’ultimo poiché l’amato diventa l’Essere supremo. Per attingere alla Conoscenza del divino gli adepti si dedicano all’arte in tutte le sue espressioni: poesia, musica, danza, letteratura.

E’ il cuore che sente Dio, non la ragione.

(Blaise Pascal, matematico, fisico, teologo e filosofo – 1623/1662)

In effetti il misticismo (da mistica, mystikos- misterioso) è l'atteggiamento spirituale o la dottrina religiosa-filosofica che conduce alla conoscenza perfetta tramite l'intima unione col divino. La mistica rappresenta la massima esperienza dell’umanità, è la contemplazione del sacro divino e l’acquisizione della conoscenza scevra dal pensiero logico, operata nel silenzio interiore, nell’ascolto del mistero che caratterizza l’esistenza in cui siamo immersi.

Attar in arabo-persiano significa speziale, preparatore di rimedi con erbe mediche, il termine ‘profumiere’ equivaleva alla professione medica. E Attar era figlio di un ricco speziale e ricevette un eccellente educazione mentre lavorava nella bottega paterna. La leggenda vuole che un Derviscio lo rimproverò per l’opulenza delle merci esposte esortandolo alla vita meditativa, esortazione che Attar accolse abbracciando la ricerca mistica e la letteratura.

Uno dei capolavori più alti della letteratura persiana è il suo poema di circa 4500 versi ‘Il verbo degli uccelli’, in persiano ‘Mantik al-tayr’, una favola esoterica in cui il tema centrale è il metaforico viaggio che l’anima intraprende staccandosi dal mondo materiale alla ricerca della conoscenza del Mysterium tremendus-fascinans, il mistero del divino. Il poema è carico di simbologie anche esoteriche, un vero viaggio nel cuore mistico dell’anima umana e, se letto con animo puro e ricettivo, produce un rinnovamento spirituale, una conversione. La logica del cuore è l’unica che può permettere agli uomini di sondare i misteri del divino. Per trovare l’Essere senza pari visibile e invisibile è necessaria la chenosi, ovvero il processo di svuotamento e alleggerimento interiore, è fare spazio al divino che abita il silenzio.

Dice Attar: «Quando segretamente Lo cerchi, Egli si palesa, quando Lo cerchi apertamente Egli si cela. O tu che nulla hai voluto perdere, non cercare. La via sino a Lui si snoda da Lui, non dalla tua ragione. Egli è oltre scienza/oltre evidenza. Di Lui non appare altro segno che il non segno. Alla ragione è preclusa l’Unione, la scienza non è partecipe del Suo segreto, Egli supera la nostra anima e per quanto si riesca a dire, Egli è sempre oltre. Poiché Egli è inaccessibile a intelletto, remota possibilità poterLo descrivere compiutamente». Il punto cruciale della soteriologia di Attar è la destrutturazione del pensiero razionale, condizione necessaria per i viandanti che desiderano accedere all’unità con Dio.

«Ma quando mai potrai conquistare la beatitudine interiore coltivando la vile scienza dei Greci? Solo rinnegandola, ti sarà possibile conoscere la scienza divina. La fiaccola della fede deve incenerire la scienza dei Greci. O uomo, scegli la scienza di Medina e spargi sulla Grecia la polvere dell’oblio!»

Il poema narra la storia del viaggio di tutti gli uccelli del mondo, guidati dall’upupa, alla ricerca della loro regina Simurgh (nome femminile) e della sua reggia situata oltre la montagna di Qaf, ai confini del mondo. Secondo la mitologia persiana la Simurgh era un uccello che viveva su un albero ed aveva il compito di far cadere a terra i semi dell’albero da cui erano generate le sementi di tutte le piante selvatiche. Le sue penne avevano proprietà magiche e taumaturgiche. Simurgh è lo specchio degli eletti che giungono alla sua corte.

Dietro la figura dell’upupa si cela il maestro Sufi che guida i discepoli attraverso 7 valli, metafora del cammino spirituale che l’uomo deve compiere, passando attraverso differenti stadi per avvicinarsi a Dio, nella profondità del proprio Sé. Inizialmente gli uccelli muovono obiezioni a upupa che, puntualmente e pazientemente, risponde fugando ogni loro dubbio. Gli arabi chiamano l’upupa uccello dottore per la sua rabdomanzia e la considerano al pari di un amuleto, essendo un messaggero dell’invisibile è anche simbolo di acutezza intellettuale. Il suo ciuffo è segno di regalità spirituale come lo stesso Attar scrive «Dei segreti di Salomone tu fosti signora e per questo cingesti un’aurea corona di gloria». Una leggenda persiana spiega l’origine del ciuffo: upupa era una donna sposata, un giorno mentre si pettinava allo specchio entrò improvvisamente il suocero e la donna spaventata si trasformò in uccello e volò via col pettine in testa. Infatti in persiano fu chiamata ‘shanèser’ - pettine in testa.

Il ruolo di questo simbolico uccello è legato al concetto di guida, di maestro spirituale capace di mediare tra Dio e l’uomo nel cammino che conduce alla verità celata.

L’upupa viene anche associata all’araba fenice, uccello mitologico simbolo della ciclicità vita-morte-rinascita. La Fenice, dal greco phòinix – purpureo, è rappresentata come un uccello infuocato nelle tradizioni antiche, viene chiamata araba perché il primo a citarla fu Erodoto (V a.C.) che ne indicò la provenienza dall’antico Egitto dove era chiamata Bennu.

Nella letteratura arabo-persiana il linguaggio degli uccelli è la lingua esoterica per eccellenza, ciò rende il poema un’opera sapienziale. Nelle filosofie di vari antichi autori persiani da Avicenna a Sohravardi, l’Oriente è ‘interiore’, simbolo di luce e conoscenza in opposizione all’Occidente che richiama all’esilio, all’oblio e all’allontanamento dalla conoscenza ridotta a tenebrosa materia.

«Vennero un giorno a parlamento tutti gli uccelli della terra, i noti e gli ignoti. “Non esiste luogo al mondo”, dissero, “che non abbia un re: perché mai sul nostro paese non regna un sovrano? Se ci uniamo in fraterno sodalizio, potremo partire alla ricerca di re, essendo chiaro che l’ordine e l’armonia non regnano tra sudditi privi di un sovrano.” Fu allora che l’Upupa, eccitata e trepidante, balzò al centro dell’inquieta assemblea. Sul petto portava la veste di chi conosce la via, sul capo la corona della verità. Lungo la via aveva affinato la mente, era venuta a conoscenza del bene e del male. “Amici uccelli”, cominciò “in verità io sono il corriere della divina maestà, il messaggero dell’Invisibile…»

Il poema inizia così, gli uccelli devono attraversare sette valli prima di raggiungere la Simurgh:

La Valle della Ricerca

«Sappi che dovrai superare imprese sovrumane, dovendo il tuo cuore conoscere gli stati più alti della perfezione. Dovrai abbandonare i tuoi averi e giocarti ogni possesso. Quando poi sarai rimasto a mani nude, dovrai liberare il tuo cuore dal pensiero di tutto ciò che esiste». Il viandante mette in discussione le sue credenze, i dogmi.

La Valle dell'Amore

«Naufraga nel fuoco colui che in essa s’addentra. Se non si è di fuoco, vivere risulta difficile… Vero amante è colui che è simile al fuoco, col volto ardente, infiammato e ribelle». Bisogna seguire il cuore, non la mente.

La Valle della Conoscenza

«Senza inizio né fine. Nessuno laggiù può sfuggire al pericolo di smarrirsi nell'intrico delle sue strade. Ma d'altronde nessuna delle vie che a Lui conducono è simile a un'altra. Il viaggiatore ‘corpo’ e il viaggiatore ‘anima’ in questa valle si separano. Poiché ci sono maniere profondamente diverse di viaggiare attraverso questo spazio, nessun uccello potrà percorrere la strada di un altro: in questa valle il processo della conoscenza si biforca, e c'è chi trova il mihrab (direzione) e chi gli idoli. Lungo questa via prodigiosa dovrai conquistare la perfezione, se davvero aspiri a immergerti in quel mare senza fondo. Il regno riposa stabilmente sui pilastri della conoscenza: sforzati dunque di conquistarla, perché colui che s'inebria del vino della conoscenza diverrà signore di tutte le creature». Tutte le conoscenze dell’uomo sono inutili.

La Valle del Distacco

«Qui, sappilo, né il vecchio né il nuovo hanno valore, qui non esiste la parola ‘voglio’ e allora non pensare di poter volere qualcosa». La realtà fatta di desideri terreni svanisce.

La Valle dell'Unità

«Approdando in questo sconfinato deserto, i viandanti… vedranno un’unica realtà… Poiché unità significa ‘uno nell’uno’ in eterno, contemplerai quell’uno nell’uno che realizza l’eterna unità». Qui Tutto è Uno.

La Valle dello Stupore

«Quando il viandante giungerà ormai smarrito in questi luoghi desolati, dovrà perdere se stesso lungo la via dello stupore, ignaro della propria esistenza e di quella di ogni altro». La contemplazione del divino genera stupore.

La Valle della Morte

«Infine voi entrerete nella valle della privazione e dell'annientamento, che non è possibile descrivere con parole umane. Questo è il luogo del mutismo e della sordità, dell'oblio e dell'estremo deliquio, in cui infinite ombre sono eternamente annullate in un unico sole». L’Io si dissolve e si è nel senza-tempo. Attar descrive così gli stadi individuali della coscienza umana, utilizzando l’analogia del viaggio per descrivere i passaggi dell’anima in cerca di perfezione.

Così dei 100.000 uccelli partiti ne arriveranno al Monte Qaf solo 30 a simboleggiare come gli egoismi e le illusioni umane siano rovinose. La montagna segna il confine, invalicabile ai mortali, tra i mondi: terreno, materiale, spirituale e celeste.

Proprio come il Monte Sinai fu per Mosè luogo privilegiato della manifestazione divina, così il Monte Qaf è luogo di rivelazione del Soprannaturale. D’altronde nella letteratura mistico-religiosa di ogni paese la montagna simboleggia l’ascesa dell’anima verso Dio e nella vetta si realizza il miracolo della Cosa Una, dell’Unità.

Gli uccelli che arrivano alla meta sono sfiniti, senza piume né ali, ma ciò che vedono è uno specchio in cui scorgono la loro stessa immagine riflessa.

«O meraviglia…quando mai nel mondo si era assistito a un simile prodigio?»

Gli uccelli, sgomenti e confusi, interrogarono quell’augusta presenza, implorando la spiegazione di questo assoluto mistero per cui il ‘noi’ e il ‘tu’ apparivano uniti.

La risposta fu: «Chiunque guardi in esso vede l’immagine di se stesso, del corpo e dell’anima. Per quanto siate mutati, vedrete voi stessi, e in verità voi avete visto esattamente voi stessi».

L'opera è quindi un'allegoria nella quale la ricerca del Simurgh rappresenta la ricerca di Dio, l'upupa simboleggia un maestro Sufi che guida i discepoli attraverso le 7 valli, ovvero le mistiche dimore spirituali, verso la scoperta di Dio nel proprio Sé profondo. Ognuno degli altri uccelli incarna un vizio umano che ostacola il raggiungimento dell'illuminazione spirituale e le valli simboleggiano le tappe che un Sufi deve attraversare per attingere alla vera natura di Dio.

Gli uccelli sopravvissuti al viaggio scopriranno che Simurgh sono loro stessi e scoprono la totale identità dell’anima col divino. Tutto ciò che esiste è Dio.

La natura, la verità e la bellezza contengono l’antinomia, desidero citare una riflessione su questo tema del Dr. Antonio Bica, medico chirurgo ed esperto di cultura e civiltà del medio Oriente, membro onorario della Fondazione Americana di Studi Aramaico-Siriaci e della Società Accademica Internazionale di Studi sulla Palestina:

«A proposito della antinomia della natura, anche la verità e la bellezza lo sono; esse contengono bello e non bello, buono e non buono. Il sublime, in tutte le sue manifestazioni, genera antinomia e ne è a sua volta generato. È il prisma attraverso il quale decifriamo la vita, che ci aiuta a trarre ordine naturale dal caos. La stessa letteratura è antinomica. Dinanzi alla sacralità della bellezza, come per esempio un testo letterario, siamo sempre noi che possiamo trarne o meno luce durevole»