C'era una volta Fascisti su Marte, delirante punto di incontro fra distopia, satira e humor demenziale partorito dal genio di Corrado Guzzanti: si trattava della cronaca, in forma di cinegiornale, della spedizione sul pianeta rosso dei legionari spaziali Barbagli, Freghieri, Pini, Fecchia e Santodio, avventura che assumeva l'epos di un improbabile scontro di civiltà allorquando i nostri credevano di imbattersi in una feroce popolazione indigena marziana, di fatto un mucchio di massi tondeggianti privi di qualsivoglia coscienza o volontà che però i fieri colonizzatori presentavano come "i Mimimmi".

Devo confessare che, complice forse il caldo anomalo anche ad alta quota di questi ultimi tempi, nonché lo stress di molti chilometri percorsi dopo un annetto di forzata sedentarietà aggravato da una forma fisica sempre più discutibile, nel momento in cui lo scorso luglio da Bressanone ho raggiunto il passo di Resia, non per godermi l'incanto immutato della torre nel lago ma per salire fino a quota 2000 percorrendo per un'ora e mezzo un ripido sentiero nel bosco, la prima impressione che ho avuto quando ho finalmente trovato quel che stavo cercando è stata quella di essermi imbattuto in centinaia di Mimimmi in tenuta da battaglia: stavolta non erano affatto vittime inermi di squadristi stellari, ma erano giunti loro sulla Terra e con le peggiori intenzioni.

In realtà, nello scenario bucolico di un ampio prato punteggiato di mucche e cavalli, mi si era posto davanti senza alcun apparente motivo, lungo una linea immaginaria, uno schieramento di cippi di calcestruzzo incappellati con punte di acciaio: una sorta di edizione novecentesca dell'esercito di terracotta di Xian. Non era però né un sacrario, né un'installazione, né un capriccio, ma la barriera dei denti di drago dello sbarramento di Plamort, malamente italianizzato come "Pian dei morti" anche se lì nessuno mai ci ha lasciato le penne. L'espressione "dente di drago" richiama scenari ben noti come la linea Sigfrido, imbastita dai tedeschi a ridosso del confine francese in risposta alla "Maginot", per cui la loro funzione è inequivocabile: difesa anticarro. Il problema semmai è immaginare una manovra di carri armati in un pianoro alpino a duemila metri di quota: si rende allora necessario un excursus sulla dottrina militare dell'epoca.

Sulla base di quanto elaborato durante la Prima guerra mondiale, i "tank" venivano intesi come postazioni mobili di artiglieria finalizzate ad appoggiare la fanteria: la priorità, quindi, era avere veicoli veloci abbastanza da stare al passo dei fanti e sufficientemente compatti per manovrare anche in montagna. Sulla base di tali premesse si spiega allora la genesi di mezzi spesso oggetto di sarcasmo come gli italiani CV 33 noti come carri leggeri da tre tonnellate (L3) o più brutalmente "scatole di sardine". Lo Stato Maggiore italiano, nella seconda metà degli anni Trenta, durante la costruzione del "Vallo Alpino del Littorio" (che sulla falsariga della linea Sigfrido prese in nomignolo di linea Non-mi-fido) apprestò il cosiddetto sbarramento di Resia, un sistema difensivo che coinvolgeva tanto il passo vero e proprio quanto l'area di Plamort: il pianoro infatti era raggiungibile dal versante austriaco grazie a una carrareccia e ad eventuali assaltatori avrebbe garantito un punto di osservazione panoramico su tutta l'alta Val Venosta: i comandi italiani allora pensarono di fortificare questo varco disponendo postazioni artiglieria in casamatta ai suoi lati e, soprattutto, impedendone l'attraversamento grazie allo scavo di un fossato anticarro, che però nei tratti in cui il terreno era più soffice veniva sostituito con un triplo filare di pali di larice rinforzati con una punta d'acciaio e rivestiti in calcestruzzo.

Ecco quindi spiegato lo strano caso dei denti di drago di Plamort, disposti in bella vista per ringhiare al nemico ma di fatto ignorati dalla storia: la costruzione dello sbarramento infatti risale al '38 ma proprio in quell'anno il consolidamento dell'alleanza fra Italia e Germania ne vanificava la funzionalità: nel '43 poi l'invasione tedesca trovò il "Pian dei Morti" completamente sguarnito. Riattivata nel dopoguerra in ambito NATO per rispondere a un eventuale attacco del Patto di Varsavia attraverso la neutrale Austria, quest'opera difensiva fu definitivamente dismessa nel 1994.

Quasi trent'anni dopo però lo sbarramento di Plamort è ancora lì in tutta la sua appariscente inutilità e, rimasto orfano di frontiere e nemici, ha assunto il fascino di un'installazione al limite della Land Art: se nel 2003 una versione preliminare di Fascisti su Marte ha ottenuto un notevole successo al Festival di Venezia, oggi l'Armata dei Mimimmi può serenamente ambire a un posto d'onore alla Biennale.