Il 21 marzo scorso, nella Sala stampa della Santa Sede, è stata presentata la Costituzione apostolica “Praedicate Evangelium” sulla riforma della Curia Romana, che Papa Francesco aveva firmato il 19 marzo scorso e che è entrata in vigore il 5 giugno, solennità di Pentecoste. La Costituzione, al di là di un Preambolo e di dodici Principi e criteri introduttivi per il servizio della Curia Romana, è formata da ben 250 articoli (ed il testo è in fase di elaborazione dal 2013). Alla conferenza stampa di presentazione delle linee guida della suddetta riforma sono intervenuti: il Cardinale Marcello Semeraro – attuale Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi (e in precedenza segretario del Consiglio di Cardinali istituito per aiutare il Sommo Pontefice nel governo della Chiesa universale e per studiare un progetto di revisione della Curia); il Vescovo Marco Mellino – attuale segretario dello stesso Consiglio di Cardinali, e il gesuita padre Gianfranco Ghirlanda – celebre canonista e già Rettore della Pontificia Università Gregoriana.

Il Cardinale Semeraro ha spiegato, durante il suo intervento, che la “missionarietà” è il principio ispiratore ecclesiologico posto alla base della attuale Costituzione, la quale si inserisce nel solco delle due grandi precedenti riforme: quella del 1967 voluta da San Paolo VI (con la Costituzione “Regimini Ecclesiae Universae”) e quella del 1998 indicata da San Giovanni Paolo II (con la Costituzione “Pastor Bonus”), e che completa la sempre maggior aderenza al Concilio Vaticano II. E proprio questa centralità della “missione” per una “Chiesa in uscita” è rintracciabile nella creazione del “Dicastero per l’evangelizzazione” (artt. 53-68), che significativamente è il primo in elenco e che sarà presieduto dallo stesso Papa (con l’unificazione della Congregazione di Propaganda Fide e del più recente Pontificio Consiglio per la Promozione della nuova evangelizzazione), con un Pro-Prefetto che agirà in suo nome.

Altro punto importante sarà quello della “sinodalità”, a cominciare dai rapporti all’interno degli stessi uffici e tra i vari dicasteri, “aiutata da un sistema di comunicazione che consenta di sapere cosa fanno gli altri per evitare duplicati di attività e programmi”. Strettamente collegata alla sinodalità è anche la “corresponsabilità nella communio” che, spiega il Vescovo Mellino, favorisce “il senso della collegialità e della responsabilità pastorale, oltre che assecondare i principi di razionalità, efficacia ed efficienza” e semplificazione. Fondamentale è inoltre capire che “la riforma è una dimensione costitutiva della Chiesa” in quanto fondata da Cristo come “perenne ri-formatore della sua sposa”. Altro principio cardine è quello della “sussidiarietà” e della decentralizzazione, essendo la Curia Romana strumento al servizio del Papa, ma anche strumento di servizio per le Chiese particolari. In questo modo la Curia favorisce e promuove anche lo scambio di esperienze tra le diverse Diocesi e realtà ecclesiali.

Tra le novità più significative si segnalano le seguenti: prima di tutto la scelta di abbandonare il termine “congregazione” in favore di quello più laico di “dicastero”, lasciando intendere che possono svolgere l’ufficio di presidenza tutti i battezzati: chierici, religiosi e fedeli laici. Sul punto poi – con la sua consueta chiarezza e perizia – il canonista gesuita Ghirlanda ha precisato che “chi è preposto ad un dicastero o altro organismo della Curia non ha autorità per il grado gerarchico di cui è investito, ma per la potestà che riceve dal Romano Pontefice ed esercita a suo nome”, e che resta la stessa se “ricevuta da un vescovo, da un presbitero, da un consacrato o una consacrata oppure da un laico o una laica”. Questo a conferma che “la potestà di governo nella Chiesa non viene dal sacramento dell’Ordine, ma dalla missione canonica” (venendo a cadere così la specificazione contenuta nel n. 7 della “Pastor bonus”, dove si leggeva che “gli affari, i quali richiedono l’esercizio della potestà di governo, devono essere riservati a coloro che sono insigniti dell’ordine sacro”), tenendo conto che “l’uguaglianza fondamentale tra tutti i battezzati, anche se nella differenziazione e complementarietà, fonda la sinodalità”. Inoltre, “le nomine sono tutte per cinque anni” (art. 17), per cui se la persona risulta non adatta per l’incarico ricevuto, non viene rinnovata in esso; e, in ogni caso, scaduto l’incarico “gli officiali chierici o membri di Istituti di Vita consacrata o Società di vita apostolica ritornino alla propria diocesi o al proprio istituto o società, onde evitare un carrierismo automatico”.

Va poi evidenziato che, dopo il primo Dicastero per l’Evangelizzazione, seguono quello per la Dottrina della Fede e quello del Servizio per la Carità, neo-organismo che sostituisce l’Elemosineria Apostolica, che formano tutti insieme una “triade” essenziale per il carattere missionario della Curia. Quanto alla Pontificia Commissione per la Tutela dei Minori ora viene istituita presso il Dicastero per la Dottrina della Fede, facendo parte così della Curia Romana, pur conservando una certa autonomia. Vanno poi segnalati gli organismi economici, che sono: il Consiglio per l’Economia; la Segreteria per l’Economia; l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica; l’Ufficio del Revisore Generale; la Commissione di Materie riservate; il Comitato per gli Investimenti, tutti con il compito primario di far sì che “i beni temporali della Chiesa siano amministrati secondo i fini per cui la Chiesa li possiede”.

In conclusione, possiamo ricordare che “è corretto affermare che la Chiesa non è una democrazia soltanto a condizione di voler sostenere che essa è molto più di una democrazia” (così Marco Vergottini). Premesso che una maggior sensibilizzazione ecclesiale alle modalità partecipative delle democrazie occidentali non è cosa in sé negativa (d’altra parte la Chiesa pur non essendo “del mondo” deve vivere “nel mondo”, in dialogo con gli uomini contemporanei alla sua azione salvifica), va profondamente capita la sua particolarissima natura – umano-divina – per cogliere l’essenza sacramentale, missionaria, spirituale della sua realtà comunionale. “Il carisma, storicamente considerato, non è un principio democratico, ma pneumatico, espressione di un’autorità proveniente dall’alto, di cui non si può disporre” (così J. Ratzinger, “Democratizzazione della Chiesa?” In J. Ratzinger e H. Maier, “Democrazia nella chiesa – possibilità, limiti, pericoli”, Roma 1971).

Inoltre, la profonda comunione dei battezzati nella Chiesa rende capaci tutti i fedeli di assolvere ai propri doveri partecipativi per il bene di tutti i suoi membri, e per una efficace azione missionaria nel mondo (del resto “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito”, Giovanni 3,8). Detto in altri termini, se l’autorità nella Chiesa – concepita sempre come servizio – è di derivazione divina, altrettanto il diritto-dovere dei fedeli di partecipare e dare testimonianza è radicato nel battesimo di Cristo.

Due gli opposti rischi da evitare: il clericalismo dei fedeli laici; e la chiusura della gerarchia affinché diventi apparente ed evanescente la partecipazione dei fedeli. Ancora una volta va precisato che il “clericalismo” rischia gravemente di confondere il “mezzo” con il “fine”, trasformando l’autorità in “logica mondana” di potere, anziché in “carità verticale” di servizio e condivisione (orizzontale) agli altri. Spesso, nelle nostre comunità, siamo lontani da quella saggia raccomandazione di non fare nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma anzi di considerare gli altri superiori a noi stessi (Lettera ai Filippesi 2,3), gareggiando nello stimarci a vicenda (Lettera ai Romani 12,10). Ecco perché anche le forme giuridiche possono – ed anzi debbono – piegarsi a queste superiori esigenze, in modo che meglio traspaia la preziosità battesimale di tutti i fedeli, consentendo loro la piena partecipazione sinodale e la corresponsabilità alla missione della Chiesa. E la Riforma attuale va provvidenzialmente in questa giusta direzione; sperando che anche gli uffici delle Curie diocesane si aprano sempre più a fedeli laici professionalmente preparati e competenti.

Ben aveva capito Sant’Agostino quando affermava: “Se mi atterrisce l’essere per voi, mi consola l’essere con voi. Perché per voi sono vescovo, con voi sono cristiano. Quello è nome di ufficio, questo di grazia; quello è nome di pericolo, questo di salvezza”. Di certo, come richiamato da Papa Francesco il 10 novembre 2015 a Firenze (al V Convegno della Chiesa italiana):

La riforma della Chiesa non si esaurisce nell’ennesimo piano per cambiare le strutture. Significa invece innestarsi e radicarsi in Cristo lasciandosi condurre dallo Spirito. Allora tutto sarà possibile con genio e creatività.