Il 30 aprile 1982, alle ore 9:20 la Fiat 131, con a bordo Pio La Torre, guidata da Rosario Di Salvo, suo autista e compagno di partito, stava raggiungendo la sede del Partito Comunista al quale appartenevano entrambi, quando in Piazza Generale Turba, da una moto di grossa cilindrata vennero esplose numerose raffiche di proiettili. Da un’autovettura scesero altri killer a completare il duplice omicidio. Pio La Torre morì all'istante mentre Di Salvo ebbe il tempo di reagire e sparare alcuni colpi di pistola, prima di venire ucciso a sua volta.

Il 3 settembre dello stesso anno seguiva l’omicidio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, inviato a Palermo come prefetto della capitale siciliana.

A breve distanza di tempo dunque, la mafia, alla quale venne ricondotta già nell’immediato la responsabilità dei due omicidi “eccellenti”, eliminava due eminenti personaggi, il primo della politica, il secondo delle istituzioni, secondo logiche non chiaramente ravvisabili, atteso che il generale Della Chiesa era arrivato a Palermo solo da pochi mesi, mentre La Torre era un politico siciliano da anni impegnato nelle lotte contadine, già deputato dell’Assemblea Regionale siciliana, successivamente eletto alla Camera dei Deputati per tre legislature consecutive nel 1972, nel 1976 e nel 1979. Fu nominato componente della Commissione Difesa e nel 1981 gli fu affidata dal segretario Enrico Berlinguer la carica di Segretario Regionale del partito in Sicilia. Svolse la sua maggiore battaglia contro la costruzione della base missilistica NATO a Comiso che, secondo La Torre, rappresentava una minaccia per la pace nel Mar Mediterraneo e per la stessa Sicilia; per questo raccolse un milione di firme per una petizione al Governo italiano.

Il suo nome restò legato all’iniziativa legislativa assunta nel 1980 insieme all’on. Virginio Rognoni della DC, che introdusse nel nostro ordinamento il reato di associazione di tipo mafioso e la confisca dei patrimoni dei soggetti indiziati di appartenere all’associazione suddetta. La legge fu approvata soltanto il 13 settembre del 1982, con improvvisa accelerazione dovuta non solo all’omicidio di uno dei due proponenti, ma soprattutto a seguito dell’omicidio del prefetto di Palermo, generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, avvenuto il 3 settembre di quell’anno. Secondo La Torre: "Noi proponiamo di concentrare l'attenzione sull'illecito arricchimento. Perché la mafia ha come fine, appunto, l'illecito arricchimento. Allora è lì che dobbiamo mettere i riflettori."

L’omicidio di Pio La Torre fece parte della strategia stragista di Cosa Nostra iniziata nel 1971 con l’omicidio del Procuratore di Palermo Pietro Scaglione e proseguita sino al 1993. Si trattò di una sistematica decapitazione della classe dirigente siciliana a livello politico, giudiziario, giornalistico e istituzionale (commissari di polizia, ufficiali dei carabinieri).

A livello politico vanno ricordati l’omicidio di Michele Reina, segretario provinciale della Democrazia Cristiana dal 1976, che venne ucciso la sera del 9 marzo 1979 da killer mafiosi. Fu il primo politico di rilievo ucciso da Cosa Nostra dai lontani tempi di Emanuele Notarbartolo, ex sindaco di Palermo ed ex direttore generale del Banco di Sicilia, nel 1893. Ancora più clamoroso quello di Piersanti Mattarella, presidente della Regione siciliana, ucciso il 6 gennaio del 1980. A livello giudiziario furono ben undici i magistrati uccisi in Sicilia da Cosa Nostra (sui 28 complessivi deceduti).

Un depistaggio venne tentato attraverso messaggi di rivendicazione a firma Brigate Rosse e Prima Linea.

I funerali furono celebrati in piazza Politeama di Palermo alla presenza di centomila persone e post mortem venne concessa dal Capo dello Stato la medaglia d’oro al valore civile con la seguente motivazione:

Esponente politico fortemente impegnato nella lotta alla criminalità organizzata di stampo mafioso, promotore della coraggiosa legge che ha determinato una innovativa strategia di contrasto alla mafia, mentre era a bordo di una vettura guidata da un collaboratore, veniva proditoriamente fatto oggetto di numerosi colpi di arma da fuoco da parte di sicari mafiosi, perdendo tragicamente la vita nel vile agguato. Fulgido esempio di elevatissime virtù civiche e di rigore morale fondato sui più alti valori sociali spinti fino all'estremo sacrificio.

(30 aprile 1982, Palermo)

Che non si fosse trattato di un comune omicidio di mafia venne subito intuito da Giovanni Falcone e Paolo Borsellino che nell’ordinanza di rinvio a giudizio scrissero:

Qui si parla di omicidi politici, di omicidi, cioè, in cui si è realizzata una singolare convergenza di interessi mafiosi ed oscuri interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica; fatti che non possono non presupporre tutto un retroterra di segreti e di inquietanti collegamenti che vanno ben al di là della mera contiguità e che debbono essere individuati e colpiti se si vuole veramente "voltare pagina".

Implicitamente i due magistrati (vittime a loro volta di Cosa Nostra il 23 maggio del 1992 il primo e il 19 luglio il secondo) erano dell’idea che Cosa Nostra aveva curato l’esecuzione dell’omicidio, previa deliberazione della cupola, ma i mandanti occulti erano da ricercarsi negli oscuri interessi attinenti alla gestione della cosa pubblica dietro “un retroterra di segreti e di inquietanti collegamenti”. L’esigenza di “voltare veramente pagina” voleva dire che non si poteva limitare la repressione giudiziaria al personale militare di Cosa Nostra, ma occorreva individuare i mandanti occulti. Intuizione rafforzata dalla circostanza che le armi utilizzate per uccidere erano di un calibro che veniva utilizzato raramente nei delitti di mafia, tanto da fare sospettare l'intervento di un armiere estraneo alle organizzazioni mafiose. Da qui l’evocazione di Gladio, l’organizzazione “Stay-Behind”, creata dalla CIA in funzione anticomunista, sulla quale Falcone, come annotò nei suoi diari pubblicati dopo la morte, avrebbe voluto approfondire l’indagine, anche per l’esplicita richiesta della moglie di La Torre, parte civile nel processo, approfondimento che gli fu impedito dal Procuratore della Repubblica del tempo, con vari pretesti formali.

Non si può non andare al 1949, allorché l’agente della CIA (il nuovo nome dato alla OSS proprio quell’anno) Victor Marchetti ebbe a dire: “La mafia, per il suo carattere anticomunista, è uno degli elementi che la CIA usa per controllare la mafia”. E ancora, come riferito dal quotidiano britannico The Observer del 10 gennaio 1993, dopo la guerra la CIA fu lieta di mantenere rapporti segreti con la mafia siciliana e “in nome della lotta al comunismo in Italia e in Sicilia, gli americani abbandonarono di fatto l’isola al governo della criminalità che tuttora persiste”. Da notare che la sede della CIA a Roma (installata all’interno dell’ambasciata USA in via Ludovisi) era la più ampia tra tutte le sedi europee).

Nel corso degli anni la CIA, sempre in nome della lotta al “pericolo” comunista, ebbe un ruolo non certo secondario nella triste stagione della “strategia della tensione” tra il 1969 (strage di Piazza Fontana) e il 1974 (strage di Piazza della Loggia e sul treno Italicus) e infine sul sequestro e sull’omicidio di Aldo Moro nel 1978, seguito di alcuni mesi alla minaccia del Segretario di Stato Kissinger all’uomo politico italiano: “Lei la pagherà cara”, con riferimento al prossimo avvio del compromesso storico di cui Moro era sostenitore.

Pio La Torre, per il vasto consenso che vantava, prima in Sicilia e poi in Parlamento nazionale e nel Paese, non era certamente in linea con le richieste della CIA, per lo più in tempo di Guerra Fredda. La caduta del muro di Berlino avvenne nel 1989 e da lì a qualche anno seguì il crollo del regime comunista e lo sfaldamento dell’impero sovietico. La Guerra Fredda era finita e si apriva per l’Italia e per l’Europa una nuova stagione politica.