Diario di bordo. Giorno 23.

Se esiste una legge, che sia di ritorno al tempo, e che sia ai sensi umani.

Alla voce “altro” si legge: diverso, differente, nuovo, aggiunto, restante, precedente, seguente, rafforzativo, ottativo, partitivo. Tutto chiaro.

Ho combattuto a lungo la tentazione di usare la parola “diversi” per il titolo. La tentazione era forte, confusa, mi attirava, mi paralizzava, insieme. Ho chiamato ad appello tutti i sogni, compresi quelli violenti, ed anche i sogni di cattivo gusto, compresi gli insostenibili.

Ecco una rapida rassegna di significati balzati dinanzi a me, in pura visione, in elenco di cui mi pregio far osservare.

Non volevamo dire “udibile”

Sembra chiaro, all’inizio delle cose, che per diversi si intenda altri. Ma è pur vero, che la varietà è talmente estesa ed estendibile, che per creare un elenco ragionato, cioè sintetico, occorre appellarsi, almeno, ad un saggio di Umberto Eco: Il ‘Che sauroctono’ e gli Apolli del Malvedere, del 1972. Fu scritto per Bompiani.

“La diversità può affermarsi in vari modi”. Ogni scelta rigorosa obbligherebbe a escludere includere altre cose che saremmo portati a denominare “uguale”. Arriva sempre il momento in cui l’altro va cercato altrove. In ogni caso la negazione trova sempre le sue vie, e alla abilità in cui lo status quo assorbe dialetticamente l’astuzia con cui chi non ci sta pronuncia il suo appello al dissenso.

“Molti uomini poco numeri”

In tempi di caricatura democratica, la diversità diventa necessaria, per cui, nelle cosiddette stratificazioni di costume, diversità diventa dimostrazione – quella che altrimenti viene nominata/classificata come “fondamentale bontà del sistema” – e così il diverso scivola nell’area prodotto, perché utile allo scopo.

Tributo urbinate o petit enfant con telefono mobile (a scelta): “Ehi bella gente! C’è il macello!” Coro: “Sì, ma c’è la grande adunata con la “A” maiuscola!”.

Non verranno costruiti punti fermi. Vivremo l’ideale semplicemente nel suo spazio tempo. E assomiglierà proprio ad Urbino.

“Scusateci se siamo ossessionati dal restare disuguali”

Una boccata d’aria? Vi manca il respiro? C’era una volta, le migliori storie iniziano così, un’avanguardia trasversale che, nel mese della dea Maya decise di consacrare alla Luna di maggio le note al Mito per restituire ad esso la sua contemporaneità.

Versi e poetici contrasti a colloquio con le opere d’arte illuminate dalle note d’esistenza e resistenza per non fermarsi – mai – alle apparenze, luci, muri e verde lo scenario naturale della città sospesa per eccellenza, regno incontrastato dei linguaggi sperimentali e visionari di ogni epoca della bellezza, proprio quella che salverà, ma non il mondo, l’uomo da se stesso. Il rovesciamento perfetto svela e rivela, sussurra il nascondiglio della chiave che illumina strade dalle curve già raddrizzate a volte perse dalla svista.

“‘Alethéia” al chiar di Luna piena, nobile nobiltà immaginata, che se poco poco ricorda qualcosa, è l’argomento indiscusso di cui si sussurrerà tra i vicoli sali-scendi della città murata.

E, se ad udire tutto si riuscisse, magari anche dei fantasmi dei savi mormoranti tra le note della musica delle foglie degli alberi, si possa udire Achille, ma anche Zola ripetere come Eco: “Eroi accorriate se Poesia voglia, s'il-vous-plaît, voire la verité et la dire.” E, se si auspicasse di quadri parlanti, che si narri di gesta che non si annebbino, privi di nostalgie dei nuovi e vecchi signori di Urbino, siano di musica armonica, e se fosse sperimentale e d’avanguardia, non sarà certamente di sottofondo. (Messaggio molto poco subliminale).

Canzone consigliata: Fabrizio De Andrè, Fiume Sand Creek.