Per ricostruire questa storia non possiamo solo far riferimento a fonti e monumenti, necessitiamo di suggestioni poiché parliamo della vita di una donna che fu pedina di giochi di potere e la cui esistenza coincise suo malgrado, con quella del primo imperatore romano.

Ne fu la figlia ed il suo nome, Giulia maggiore, riecheggia nelle acque dell’isola che l’accolse, quando ne divenne prigioniera. Suo padre la esiliò e ne distrusse la memoria quando applicò la Lex Iulia de adulteriis coercendis. Suo peccato quello di essere adultera e non averlo nascosto. Ottaviano Augusto la costrinse su una nave che approdò su una piccola isola sperduta nel mar Tirreno: Ventotene. Al tempo in cui si dipana questa vicenda, l’isola veniva chiamata Pandataria ovvero dispensatrice di ogni dono e fu sede dei momenti d’ozio dell’imperatore. A punta Eolo vi fece costruire una villa in cui vi trascorreva momenti di pace, lontano da Roma. Quella stessa villa divenne successivamente la prigione dorata di sua figlia Giulia, rea di aver condotto una vita tra incanti amorosi e suggestioni poetiche.

Siamo nel 39 a.C. l’imperatore, pronipote del Divo Cesare, era al tempo sposato con Scribonia che in quell’anno diede alla luce la piccola Giulia. Lo stesso giorno in cui nacque, Ottaviano divorziò dalla moglie. L’amore e le strategie politiche mossero le sue azioni. Un incontro cambiò il corso degli eventi. Un colpo di fulmine. Grazie alle fonti, soprattutto Svetonio e Dione Cassio, conosciamo la storia di questa attrazione incontrollabile. Ottaviano Augusto vede per la prima volta Livia Drusilla, appartenente ad una famiglia che strenuamente si era opposta alla fazione politica di Cesare, e se innamora all’istante. Lei aveva appena fatto ritorno a Roma con il marito Claudio Nerone e con il figlio. Tornò poiché lo stesso imperatore aveva concesso una amnistia alle famiglie nemiche così da appianare contrasti politici. Senza mediazioni Augusto costringe al divorzio la coppia, nonostante Livia sia incinta del suo primo marito e divorzia lui stesso. Giulia ha circa un anno quando, nel 38 a. C., il primo imperatore romano sposa la donna che gli resterà a fianco fino alla morte. La piccola verrà allontanata dalla madre e vivrà con la matrigna Livia. Donna descritta come perfetta matrona romana, dotata di una bellezza senza artifici e dai costumi irreprensibili. Rifiutava banchetti troppo ricchi, acconciature sgargianti, gioielli e feste. Fu rispettosa delle regole della tradizione e della famiglia. Era dotata di una moralità ferrea e non visse all’ombra del suo uomo, ne amministrò addirittura le finanze. L’amore ed il rispetto che Augusto provò per lei, sono leggibili nel testamento dell’imperatore. Contravvenendo ad ogni regola, la nomina Augusta investendola del titolo di imperatrice.

Di fatto diviene la prima imperatrice di Roma: Augusta Domina. Ma vi era un’altra donna amata da Augusto, la piccola Giulia, dotata anch’essa di bellezza, cultura e grazia. Di indole opposta alla perfetta matrona romana. Fu giovane entusiasta, amante delle lettere e dell’arte. Fu libera, fino a quando il destino glielo concesse. Le fonti ce ne parlano di riflesso alla vita del padre e dei suoi tre mariti, ma sono comunque ricche di particolari che ne tracciano lo scorrere. Però Giulia fu vittima della sua famiglia, poiché su di lei pesarono i giochi politici del padre. Fu la pedina perfetta di un potere che non ascoltò le sue ragioni. Fu data in moglie a tre uomini che non scelse, così era, ma non se ne crucciò, poiché decise di condurre una vita sopra le regole.

Il suo primo matrimonio fu con Marcello, suo cugino e prediletto di Augusto. Al tempo e forse questa regola vale tutt’ora, una donna sposata godeva di una immunità maggiore. Ovvero era protetta dal matrimonio e quindi secondo le regole dell’antica Roma, poteva liberamente partecipare alla vita pubblica, se appartenente a rango elevato. Libertà cui Giulia non rinunciò mai. E dopo la misteriosa morte del primo marito - ne parlano Tacito e Dione Cassio, come in un processo indiziario, gettando il sospetto sulla stessa Livia che da sempre tramava a favore dei suoi figli per la successione al trono - proprio come una pedina su una scacchiera, fu data in sposa ad Agrippa, fine condottiero e braccio destro di Augusto. Giulia gli diede cinque figli. Due furono adottati dall’imperatore per assicurarsi la successione al trono. Ed è con il suo secondo matrimonio, complice lo stesso Agrippa che onestamente sapeva di avere al fianco una donna giovane e dai costumi licenziosi, che la sua vita contornata di passioni, fu vissuta a piene mani, e la giovane divenne incurante delle regole d’appartenenza del suo rango. Licenziosità che non nascose neanche quando, alla morte di Agrippa fu data in sposa a Tiberio, figlio di Livia e futuro imperatore. La matrona romana, aveva ottenuto la sua vittoria a discapito della vita del figlio, costretto a divorziare dalla donna amata e di Giulia che con Tiberio non desiderava alcuna vicinanza. Necessità fa virtù, sembra pensare Giulia ed aveva ragione, poiché lo stesso Tiberio costretto dalla ragion di stato a stravolgere la sua vita, si rifugerà a Rodi e non perdonerà mai la madre Livia per avergli stravolto la vita, tant’è che non ne onorerà la morte.

Ora, con l’esilio volontario del terzo marito nell’isola greca, Giulia sarà effettivamente libera. Ed avverte quella totale libertà come inno alla vita. Macrobio, così come Svetonio e Plinio ce la descrivono come spiritosa, appassionata del gioco d’azzardo, dalla battuta pronta; amante degli abiti arditi, curata nell’aspetto, sofisticata, colta e dai costumi sessuali decisamente liberi. Agisce alla luce del sole e civetta con i suoi amanti, veri o presunti. Di due ne sentiamo ricorrere i nomi: Sempronio Gracco e Iullo Antonio. Dell’ultimo ne abbiamo certezza. Si conoscevano dall’adolescenza, e si ritrovarono nei vari circoli di letterati e poeti che Giulia frequentava. Si amarono e furono amanti. Ed il loro amore esplose proprio quando Giulia era moglie di Tiberio. Ed è da questo momento che la sua vita viene condannata.

Tiberio è il figlio dell’irreprensibile Livia, per questo Giulia non sarà perdonata…

Ci troviamo di fronte a due donne dall’indole opposta che paiono scontrarsi e contendersi un solo uomo, da quando il destino le fece incontrare: Ottaviano Augusto. Una è certa del suo amore, l’altra, Giulia, cercherà sempre di conquistarlo. Lei è una figlia imperfetta agli occhi del padre e lo sarà con maggior forza se paragonata alla sua matrigna. Non sappiamo se le due donne arrivarono mai allo scontro diretto, vi è una sorta di timore reverenziale nei confronti di Livia che non vi fu nei confronti di Giulia. Tant’è che Macrobio ci riporta una frase attribuita alla stessa Giulia Numquam enim nisi navi plena tollo vectorem, ovvero: non prendo passeggeri se non quando la nave ha fatto il pieno. Pare che tale frase veniva detta proprio da lei, quando qualcuno si stupiva della somiglianza dei suoi figli con Agrippa…

Ma la suggestione che avvicina alla figlia del primo imperatore romano, ed alla sua vicenda, va ben al di là delle sue presunte battute o dei pettegolezzi sugli amanti - conosciamo per certo solo il suo amore per Iullo Antonio che le costò tra l’altro l’esilio, quando Livia seppe dei loro incontri amorosi al Foro. E costò la vita a Iullo Antonio accusato, oltre ad essere amante di Giulia, anche di aver ordito un complotto ai danni dell’imperatore. Condannato a morte, si suicidò nel 2 a.C. Probabilmente tale dramma si consumò quando già Giulia era costretta a Punta Eolo, nella villa che prese il suo nome.

In pochi quindi conoscono l’animo di questa donna, poiché dannati gossip ne offuscarono l’immagine. Dobbiamo quindi, attuando uno sforzo, intentare l’impresa. Immaginarla nella sua veridicità. Ma tale avventura necessita di suggestioni. E la suggestione è come uno stordimento, una visione sfocata cui dare fiducia solo perché è il cuore a guidarla. Ed allora possiamo immaginare Giulia e non solo dalla certezza che ce ne danno le fonti, in Oriente. Alcuni episodi della sua vita riecheggiano e ne dipingono il carattere. Nicola di Damasco ci informa, quando Giulia seguì il consorte Agrippa in missione, di una escursione notturna che la giovane fece in solitaria. Si recò a Troia, di nascosto e con pochi domestici al seguito. Non si fece annunciare e rischiò di essere travolta dallo Scamandro in piena. Ed ora l’immagine si ferma. Osserviamo Giulia, il cielo stellato e la sua mano che forse stringe l’Iliade. Immaginiamone i piedi bagnati, lo sguardo rivolto alla meta e la bocca che forse si muove pronunciando i versi del poema. Non ha paura, continua a procedere, nonostante il pericolo. Il suo è un itinerario segreto. È libera, lontana dai diktat del suo rango. Esplora con il cuore che le batte, ogni angolo della leggendaria città. Un’impresa che ci svela il suo carattere romantico ed appassionato. Non scordiamo che in molti colsero questo aspetto. Nei viaggi nelle regioni del Levante mediterraneo, fu assimilata alle divinità. Artemide, Afrodite Hera, uso comune per le sovrane ellenistiche, ma qualcosa in più era a lei dedicato. Nelle numerose dediche epigrafiche è lei la Nea Aphrodite, l’Hera Sebaste

Il suo fascino era quindi indiscusso così come la sua cultura e la sua indole appassionata. Difetti imperdonabili per l’irreprensibile Livia che non gli perdona il tradimento a danno di suo figlio Tiberio.

Quel periodo di grande splendore e libertà stava quindi per finire. E sempre inseguendo suggestioni, possiamo avvertire il travaglio interiore di Giulia. Immaginarla nell’ansia, scoprire che Livia l’ha forse fatta seguire. Al Foro tutti sanno, tutti hanno visto? O c’è qualcuno che è stato inviato a spiare i due amanti?

Giulia chiede pietà, supplica il padre di farla restare nell’amata Roma. Non crede in quello che ascolta, le sembra una punizione ingiusta. Si appella all’amore paterno, chiede aiuto ai suoi amici e a quelli del padre. Nessuno riesce a convincerlo! Viene messa su una imbarcazione. Ancora spera, spera in una lezione, una breve punizione… ed invece la nave si allontana sempre più dalla riva, verso il mare aperto. Pandataria l’aspetta. L’isola è selvaggia ed una parte della sua natura pura ed incontaminata l’ha conservata tutt’oggi. Per gli attenti visitatori che la vivono, dal mare o salendo sul promontorio di Punta Eolo, si vedono i resti di Villa Giulia e forse lasciandoci andare ancora una volta alla suggestione, potremmo ascoltare i pensieri di Giulia, giungerci addosso grazie al vento. Curiosamente Ventotene fu definita l’isola delle donne. Non fu solo lei ad essere confinata lì, altre furono intrappolate su quella roccia in mezzo al mare.

Ma queste sono altre narrazioni, ed ora si onora solo la memoria di Giulia. La villa prese il suo nome ed il ricordo dell’unica figlia di Ottaviano Augusto si perse in favore di Livia, venerata ed irreprensibile matrona romana. Ma lo spirito di Giulia è presente nell’animo di molte donne. Non mi piace definirle ribelli, termine abusato e pericoloso se fuori contesto… ma appassionate, vive, forse ingenue e mai strateghe ma limpide nell’intento di gioire della vita e restare incantate da poesia e bellezza.