Alla ricerca di luoghi di pace e silenzio, un giorno mi sono ritrovata tra le mani un libro1 illustrato con un racconto tra poesia e sogno di un luogo che io non conoscevo. Ma più che lo spazio materiale, mi ha attirato la narrazione quasi onirica del viaggio. E ho deciso di scrivere all’autore per saperne di più. Ne è nata una breve corrispondenza.

Se oggi ti chiedessi: dove posso trovare riposo e rifugio dal rumore di fondo di questi due anni che, all'apparenza, hanno sovvertito il corso della storia di noi umani del Novecento, quale luogo mi suggeriresti? Dove nel tuo viaggiare pensi di aver trovato uno spazio di ristoro per l'anima che non sia un luogo da guida turistica ma neppure meta di gruppi elitari in meditazione?

Più che uno spazio di riposo e rifugio, concetti troppo personali ed effimeri, si potrebbero suggerire dei luoghi in cui il rumore di fondo può essere se non eliminato almeno sbrogliato. Tutti desideriamo un approdo, ma il destino resta un viaggio. Forse, la condizione che ci avvicina a una maggiore leggerezza è farsi luogo. Chi si fa luogo ha il tempo dalla sua e non è più costretto a rincorrerlo, cambiando posto in continuazione. Naturalmente, ognuno realizza questa equazione secondo i propri mezzi. Prendi Tomaso Buzzi, l’architetto di grandi case, uomo coltissimo, signore di mondo. Lui non ha certo lesinato gli sforzi per trasformare il convento settecentesco della Scarzuola sotto Monte Giove, in Umbria, in un raffinato, personalissimo ritiro. Lo ha fatto, prima costruendo la sua edizione dell’Hypnerotomachia Poliphili in veste di giardino, ripercorrendo alcuni dei simboli del gran libro rinascimentale. Ne cito alcuni, en passant, il trivio da cui si diramano tre alternative: gloria dei (verso il convento) gloria mundi (dove fatto qualche passo si gira diabolicamente in tondo) e al centro mater amoris, un sentiero rallegrato da una fontana che conduce alla nave per Citera. Polifilo, l’amante di Polia, cioè di “molte cose”, nel suo viaggio iniziatico, ha scelto la Natura, impersonata da Afrodite, una delle tante epifanie della Grande Madre. Un sentiero di conoscenza e di abbandono, intrapreso per spogliare Anima da inganni e illusioni. Le tre vie corrispondono, alchemicamente, alla nigredo, la fase mondana, l’albedo, la via spirituale, la rubedo la trasmutazione. Nessuna esclude l’altra, mantenendo rigorosamente l’ordine d’elevazione.

Un luogo immaginato. Mi viene in mente Djenée, in Mali: c'è la moschea più grande al mondo, ed è costruita con mattoni di argilla, paglia e olio. Un'opera magnifica per imponenza e rara sacralità. Ogni anno dopo la stagione delle piogge bisogna ricostruirla un po'. Così arrivano quattromila volontari in pellegrinaggio e insieme si occupano della manutenzione. A chi chiede: Chi ve lo fa fare? Rispondo: Gli edifici non si progettano, si sognano.

Questo riferimento a Djenée mi permette di parlare della seconda meraviglia di Buzzi, la sua città ideale, immaginata e iniziata come rovina permanente e ricondotta alla verità dei disegni originali da Marco Solari, erede della Scarzuola e brillante chiosatore di una messe esorbitante di significati. Buzzi per il suo sogno di tufo diceva di essersi spogliato, restando nudo e bambino, giocando con le idee, le forme, gli stili come si fa con la sabbia sul mare. Il paragone con la moschea di argilla è perfetto tale è la fusione di architetture e motivi, plasmati in una visione telescopica: “L’architetto che diventa casa, non la casa della vita, ma la vita che diventa casa” dice Buzzi. E ancora: “La Scarzuola, come altre cose mie, soffre di “troppe idee”, è il mio personale museo delle Idee Rifiutate e perché lo spazio è limitato e io non so rinunciare a nulla di quello che mi passa per la testa”. A passargli per la testa sono soprattutto archetipi, squadernati secondo un ordine e un senso teatrali.

Esistono, però, come in tutti i sogni veritieri delle guide. Nel nostro caso, Atteone ed Ercole. Il cacciatore divorato dai suoi stessi cani che, nella lettura di Giordano Bruno, sacrifica la carne per lo spirito e l’eroe che, attraverso una simile ordalia (la veste avvelenata) ascende al cielo, Primo uomo a sedere a fianco degli dei. Il trionfo che suggerisce Buzzi si compie nel superamento di tutte le prove dell’esistenza, sfidando ogni linguaggio, dicendo il dicibile, trasformando tutti i giorni il caos in cosmo e viceversa.

Ho avuto sempre l'impressione che i luoghi, anche quelli costruiti da mano umana, siano capaci di raccontarsi da soli anche se spopolati e da quello che racconti del tuo viaggio alla Scarzuola, trovo conferma.

Ribadisco: questo è il mio viaggio o meglio, come suggerisce il titolo del mio libro, è “Un viaggio” alla Scarzuola, il mio appunto, dei mille possibili. Come ogni viaggiatore mi limito a dare spunti di lettura, perché oltretutto la selva buzziniana è realmente fitta. A me, per esempio, ha prima stordito e poi sedotto.

Sempre più spesso penso che sarebbe bello ri-educarci alla visita e l'ascolto di luoghi, Paesi, paesi, villaggi borghi, monumenti, prati, monti, colline, mare come fosse un gioco, anziché un'esperienza aneddotica o dotta (date, storia, nomi, reminiscenze da sussidiario e via così). A me piacciono, per esempio, le statue parlanti (ne ho viste anche in una recente installazione a Villa Sciarra a Roma): pensa se passeggiando per un vicolo, lungo una spiaggia, tra i ruderi o in uno spazio da iperuranio super hi-tech, arrivassero voci narranti dal nulla, che più che raccontare i fatti, regalano suggestioni, suggerimenti di sguardi utili ad ogni visitatore per farsi il proprio viaggio. Magari da qualche parte si fa già, ma nel nostro Paese sarebbe un'apoteosi. E pensa quanti bravi attori, registi, lettori, sceneggiatori, filosofi tutti insieme potrebbero uscire dalla disoccupazione. Anche la cultura prima di essere progettata va sognata.

Secondo me, se hai una direzione, trovi un sacco di coincidenze; il racconto cresce per strada e trovi dei compagni di viaggio. Alla Scarzuola, io ne ho avuti due: Giancarlo Consonni, poeta e urbanista, che socchiude, meglio di qualsiasi introduzione, la porta al luogo, con dei versi inediti e Fabrizio Foti, architetto che ha illustrato il mio andare con trenta disegni, eseguiti en plein air [raccolti nel libro, ndr]. È un viaggio simile a una cantata a tre voci.

Quindi Buzzinda, come la chiami tu, è la meta di un viaggio che mi suggerisci per contrastare il rumore di fondo, cogliere il piacere del silenzio che è però pieno di racconti. Accolgo il suggerimento, ma ti chiedo un aiuto ulteriore: come si fa ad ascoltare quello che ha da dire il silenzio? E quanto è utile nel visitare il mondo?

Farei rispondere a Buzzi: “Quando qualcuno mi domanda quando farò funzionare i miei teatri (la Scarzuola ne conta sette) rispondo che l’importante per me è (quasi) più il vaso che il contenuto, mi piace la mia idea di “vaso del silenzio”… per l’architetto quello che conta, dal punto di vista dell’arte, è la chiesa più che Dio che si deve sentire senza vederlo”.

1 Nicola Dal Falco, Un Viaggio alla Scarzuola. La città ideale di Tomaso Buzzi. Con trenta disegni di Fabrizio Foti e una poesia inedita di Giancarlo Consonni, Marietti 1820, Bologna 2021.