Essi onorano a gara il tempio di Dio con assiduo e sincero ossequio
immolando in esso con devozione perenne non carni ovine secondo
l’antico rito ma vittime pacifiche: l’affetto fraterno, l’ubbidienza fedele
e la povertà volontaria.

(Bernardo di Chiaravalle, Elogio della nuova cavalleria)

La maggior parte delle pubblicazioni degli ultimi decenni che hanno sostenuto il revival templare o si sono interessate con gusto morboso e neogotico al tema del processo che ha estinto tale ordine o si sono dilungati ad alambiccare sul tema altrettanto folkloristico di fantomatici “tesori” o “segreti” templari, come sulla scia della saga di Indiana Jones e il Tempio maledetto.

Abbiamo poi una caterva di pubblicazioni di basso profilo che alludono a chissà quali rivelazioni, ingannando il lettore, e poi si limitano a rimasticare i principali dati storici conosciuti ma senza produrre alcun sforzo ermeneutico specifico o complessivo che sia.

Splende di luce propria invece la bella pubblicazione di Franco Cardini e Simonetta Cerrini Storia dei Templari in otto oggetti, una delle rare opere dove si approfondisce tanto la spiritualità del Tempio quanto la sua realtà quotidiana e pratica. Una pubblicazione che sa ricostruire con chiarezza, completezza e precisione il contesto monastico di base proprio dei “Poveri commilitoni di Cristo e del Tempio di Salomone”.

Un mondo monastico assai simile a quello benedettino e con aspetti ecclesiali comuni, almeno agli inizi, con le regole agostiniane dei canonici del Santo Sepolcro. Un mondo monastico fatto di silenzio, obbedienza, semplicità. La regola e gli statuti templari di parlano di una via eroica, ancora più impegnativa di quella monastica ordinaria, perché ai voti di povertà, castità e obbedienza si aggiungeva l’impegno al combattimento cavalleresco contro gli infedeli al fine di difendere da attacchi i pellegrini cristiani, le vie di comunicazione e tutti i principali luoghi santi, tra cui Nazaret, Betlemme, Gerusalemme, il Carmelo.

Una situazione militare e politica assai precaria, con una ristrettissima minoranza cristiana chiamata a governare terre vaste e quasi totalmente islamiche, rendeva tale impegno militare difensivo assai oneroso in termini umani e organizzativi. Ma ogni identità sociale e storica non può essere compresa in profondità senza individuare quale sia il nucleo semantico centrale. Per i Templari era certamente il Tempio, la loro sede. Se vogliamo quindi tentare di avvicinarci ai carismi specifici della loro spiritualità cattolica occorre meditare su quei pochi resti storici eloquenti che sono sopravvissuti alla perdita della Terra Santa e alla loro violenta ed ingiusta estinzione. E questi resti visivi eloquenti possiamo individuarli sono nell’iconografia templare, specie nei sigilli templari e nel loro vessillo.

Cardini giustamente sottolinea come l’architettura templare non presenti connotati autonomi e di specifico rilievo. Non ogni croce patente è certo segno di presenza templare e la forma ottagonale era assai diffusa nel medioevo e quindi non esprime un esclusivo segno templare. I sigilli, invece, e il vessillo, mostrano specifiche iconiche e simboliche assai rare e di non facile comprensione. L’unico sigillo templare semplice è dato da quello che indica il Templum Domini o Templum Xristi, cioè la cupola del “Duomo della Roccia”, poi “Moschea di Omar o Moschea Alqsa”. Tale edificio religioso assumeva un valore spirituale speciale in quanto si riteneva che la roccia che contiene fosse quella del “Monte Moria” dove Abramo fu chiamato a sacrificare Isacco. Probabilmente questo luogo corrisponde anche alla prima costruzione di “Santa Maria del Tempio”, il primo luogo di culto cristiano a Gerusalemme, ancor prima della costruzione costantiniana della Basilica del Santo Sepolcro e dell’Anastasis. Lo stesso Cardini purtroppo non approfondisce a sufficienza l’importanza, a mio parere decisiva, di tale originaria chiesa mariana e gerosolimitana, sebbene ricordi la grande devozione alla Vergine Maria che connotava la religiosità cattolica dei Templari.

Il sigillo mostra chiaramente l’architettura quadrangolare con sopra la cupola rotonda tipica di tale luogo sacro e unico. Il cuore simbolico dell’Ordine contemplava un altro centro, a poca distanza dal primo, dato dal “Templum Salomonis”, cioè dalla reggia del Re cristiano del Regno crociato di Gerusalemme, a sua volta insistente sul luogo originario del Palazzo di Salomone, area di cui i Templari furono autorizzati ad occupare le scuderie, i piani inferiori. Secondo sigillo “semplice” lo troviamo in quello che reca l’Agnus Dei, con la zampa destra piegata a sostenere una croce il cui braccio verticale appare acuminato e strombato, similmente ad una spada.

Tutti gli altri presentano dettagli criptici, ancora non risolti. Iniziamo dal più celebre sigillo: quello che due cavalieri che cavalcano un solo cavallo. È stato interpretato spiritualmente quale icona della cristomimesi, con un cavaliere che allude al Cristo e un altro al modello del cavaliere templare.

Altri leggono l’icona quale sintesi visiva delle due anime dell’Ordine, quella monastica e quella guerresca, oppure, similmente all’unione della via contemplativa con la via “attiva”. Certo è che l’immagine resta non risolta.

Altro sigillo affascinante ed enigmatico è quello che mostra un cristico Pellicano che nutre i suoi tre cuccioli ferendosi il petto. Chiara, conosciuta e diffusissima allegoria del Cristo salvatore e redentore che nutre con il sacrificio del suo sangue sulla croce. Lo stesso Tommaso d’Aquino nel suo inno eucaristico “Adoro te devote” richiama il Cristo chiamandolo “Pie Pellicane”. Ma sono i dettagli ad interessare: i tre cuccioli escono da una coppa (il Graal cristico?) e la coppa appare sorretta da un fusto e da tre foglie, come fosse un albero. Tale somiglianza sembra assumere un senso edenico in quanto dallo stesso braccio che regge la coppa si eleva minaccioso un demonico serpente che tenta di abbeverarsi, non invitato, al medesimo cristico sangue che zampilla. Da questi dettagli deriva una scena complessa, microcosmica, enigmatica ma di altissima densità spirituale. I cuccioli sono poi tre ad indicare e le tre “colonne” della Chiesa secondo San Paolo (Pietro, Giacomo e Giovanni) oppure alludono ai tre doni teologali: fede, speranza e carità?

E che dire del sigillo dove compare un’aquila ma sovrastante una roccia e con due stelle accanto? E che dire del super-enigmatico sigillo che mostra un Abraxas con sette stelle e la dicitura “Secretum Templi”? L’Abraxas può leggersi quale allegoria gnostico-teofanica, e la sua dicitura IAO quale criptazione del Nome di Dio o acrostico di Iesus Alpha Omega, ma le sette stelle? Il Cristo dell’Apocalisse con il candelabro stellare e settuplice? L’enigma è dato dalla stessa indicazione del “Secretum”: quando mai un segreto viene annunciato in un sigillo? L’indicazione che un’immagine riassume un segreto non è già una sua rivelazione? Quale è il senso di tutto ciò e come la sigillografia templare si può connettere con la loro spiritualità cattolica quale emerge oggettivamente dalle Regole e dagli Statuti, unici dati oggettivi esistenti?

Ecco il visibile mistero templare, ecco dove abita l’unico ma vasto e complesso mistero dei cavalieri del Tempio. Simile mistero aleggia sul vessillo templare, il cosiddetto “Beaussant”. Un vessillo semplice, perché il mistero è sempre semplice, dato da un rettangolo con la metà superiore nera e la metà inferiore bianca. La luce che viene dalle tenebre? E se fosse solo un vessillo che risponde a scopi pratici, militari e riassume quindi i due colori basi dell’esercito templare: il bianco dei cavalieri e il nero dei sergenti? I Templari muovevano le loro forze militari come gli scacchi? Utilizzando come segnali tattici questi due colori? Ma il “mistero” di fondo, possiamo dire “genetico”, dell’Ordine del Tempio è dato dalla semantica cristiana del Tempio. Perché un ordine cavalleresco di “crociati permanenti” dovrebbe essere dedicato al Tempio e non al Santo Sepolcro, che San Bernardo considera il “luogo più santo” nel De Laude Nove Militiae? Non ci insegna San Paolo che ogni battezzato è “tempio di Cristo” nel suo corpo? Cristo non insegna alla Samaritana al pozzo di Giacobbe che ormai non conta più né Gerusalemme e né ogni altro luogo perché Dio deve essere adorato “in spirito e verità”? Con la sua resurrezione il Cristo non è ora con il suo Corpo glorioso il nuovo e definitivo ed eterno Tempio, cioè il massimo e supremo luogo teandrico?

Il tema essenziale è quindi questo, e su di esso dovrebbe concentrarsi ogni ricerca: perché riprendere cristianamente l’idea e il segno del Tempio di Salomone? Perché celebrare ancora Gerusalemme quale sede del Tempio di Dio? Cardini accenna ad alcuni dettagli preziosi che rimandano la spiritualità del Tempio alla radice israelitica e gerosolomitana del cristianesimo: il valore dato al numero tredici, numero sacro per Israele, e il rito del vinum charitatis, dove si usava olio e vino per lavare l’altare e i cavalieri accostavano la bocca ai bordi dell’altare. Questi due dettagli, insieme alla tradizione della conservazione templare di una reliquia della tavola dell’Ultima Cena, sembrano alludere alla custodia di una ritualità e spiritualità cristiana radicale e mistica e che richiama i romanzi, coevi, della Tavola Rotonda e del Graal, specie nella versione sapienziale del Giuseppe d’Arimatea di Robert de Boron.

Certamente il carisma del Tempio appare associato all’immagine della Roccia e ad una profonda “teologia del sangue di Cristo”. Il mondo templare dimostra come le tradizioni spirituali non possono ridursi al loro precipitato storico, iconico e linguistico in quanto il loro cuore risiede sempre in un reale orale, narrante, pratico, vivente, che solo da cuore a cuore si tramanda. La ricerca è ancora agli inizi…