L’autunno è appena iniziato: vedo dal finestrino del treno Francoforte-Leipzig dei paesaggi colorati dove gli alberi sono i protagonisti: ognuno sfoggia il suo miglior fogliame, dal rosso opaco al giallo limone e tutto si fa dipinto. Era da tempo che non scrivevo e mi sento arrugginita, ma l’idea di scrivere in un viaggio in treno mi affascina da sempre. E allora comincio, allungo le mani sulla tastiera del computer, mi muovo da un lato all’altro con il ballo irregolare del treno in movimento. Tutto il mio corpo è sottomesso a sostenere questa mia volontà. La mente comincia a riempirsi di pensieri mentre guardo passare, come un ventaglio aperto, i colori di questi alberi che mi ricordano quelli del cielo al tramonto il giorno in cui ho letto, per la prima volta, Los habitados di Piedad Bonnett, scrittrice e critica colombiana, autrice di vari libri di poesia, di romanzi e opere di teatro.
Los habitados è un libro di una bellezza cruda, non convenzionale, con un linguaggio così oscuro da essere abbagliante. Nella prima parte del libro, le poesie nascono dal guardare, dallo sguardo verso una realtà che si trova fuori e dentro al tempo stesso:
Yo me miro mirar.
(Doble)
Mi guardo guardare.
(Doppio)
Todo es adentro aquí, en este gran vientre.
(La madre es la gran noche)
È tutto dentro qui, in questo grande grembo.
(La madre è la grande notte)
Si inizia a percepire un universo quasi onirico, pieno di metafore, di corpi, di buchi dove si cade e luci che si spengono, il tutto per parlare di un dolore che è anche il dolore di tutte le persone, di chi almeno una volta ha provato questo sentimento nel profondo, fino a farsi sconvolgere e sommergere, a los habitados per chi la vita è chirriante disonancia (Los habitados). Le poesie si avvolgono in un’oscurità continua, oscuridad de pozo (Ramera), il nero inonda le pareti delle poesie, la paura e l’inquietudine accompagnano la notte mentre Piedad sviscera il suo dolore, di persona, di madre attraverso il linguaggio. Dico madre perché questo libro, Premio de Poesía Generación del 27, nasce da un evento tragico nella storia di Piedad, il suicidio del figlio Daniel all’età di 28 anni. Un evento terribile che fa da sfondo a questo libro che Piedad scrive non come forma di sfogo e nemmeno con l’obiettivo di sanarsi, ma lo scrive per capire, per farsi domande, anche quelle di cui sa già che non c’è una risposta e per recuperare quello che è andato perso e che solo la memoria - e di conseguenza, il dolore - possono mantenere vivo:
Pido al dolor que persevere.
Que no se rinda al tiempo, que se
incruste como una larva eterna en mi
costadopara que de su mano cada día
con tus ojos intactos resucites,
con tu luz y tu pena resucites
dentro de mí.Chiedo al dolore che perseveri.
Che non si arrenda al tempo,
che si conficchi come una larva eterna
nel mio fiancoaffinché dalla sua mano
tu possa resuscitare ogni giorno,
con i tuoi occhi intatti
con la tua luce e il tuo dolore tu possa resuscitare
dentro di me.
Provare dolore è sentire la presenza interna di qualcuno o qualcosa che si trova in un tempo fuori dal tempo. Quanta forza e coraggio racchiusi in questi versi che fanno parte della poesia Pido al dolor que persevere che chiude il libro e la seconda parte, Noticias de casa, con una sorta di leggera malinconia e con la certezza che la scrittura e quindi la parola siano accompagnamento necessario per (soprav)vivere.
Noticias de casa nasce come insieme di poesie della memoria, di pezzi di memoria. Piedad ripercorre i momenti della relazione con suo figlio, ricordando i luoghi dove vivere e piangere para que no te mueras doblemente (Pido al dolor que persevere).
Una cocina puede ser el mundo,
un desierto, un lugar para llorar.(Cocina)
Una cucina può essere il mondo
un deserto, un luogo per piangere.(Cucina)
L’Último instante dell’esistenza di suo figlio.
En qué pupila
quedaste tú grabado para siempreaún vivo
pero volando triste hacia la muerte,en el último instante, el cielo a tus espaldas.
In quale pupilla
sei rimasto impresso per sempreancora vivo
ma volando triste verso la morte,
nell’ultimo istante, il cielo alle tue spalle.
Le ferite e l’anniversario:
Llega la fecha y rasga, con discreta violencia,
a venda.(La fecha)
Arriva la data e strappa, con discreta violenza,
la benda.(La data)
Fino al:
Ahora que ya no
ahora que nada.(Ahora que ya no)
Ora che non ci sei più
ora che niente.(Ora che non ci sei più)
Piedad, in un’intervista con lo scrittore spagnolo Fernando Aramburu nel giornale El Cultural, afferma che scrivere è trasformare le angustie in parole e questo mestiere le serve per scongiurare le sue fragilità e le sue paure. Il processo di scrittura di Piedad ricerca una forza espressiva, un’onestà, un’empatia nel comprendere ciò che ci rende umani.
E quando leggo e rileggo questo libro penso alla mia cara amica V. che me lo regalò proprio quando ne avevo più bisogno e a tutto il dolore che ho provato, a questo flusso di onde desolate che mi inonda quando provo dolore, e che solo grazie alla scrittura, la lettura (e le amicizie) sono riuscita a far accompagnare e, poco a poco, curare. Mi sento parte anche io di questo gruppo di habitados in continua ricerca di una vita da abitare.
(Traduzione dei versi di Piedad Bonnett di Laura Boscardin)