Nel cuore di una città che ha vissuto, nel 2009, la violenza del terremoto, a pochi passi dalla vitale Fontana Luminosa e la via principale, si trova Palazzo Ardinghelli, sede del Maxxi L'Aquila.

L’elegante edificio, progettato tra il 1732 ed il 1743 dall’architetto romano Francesco Fontana, è stato, dopo il danneggiamento causato dal sisma, oggetto di un accurato intervento di consolidamento e restauro conservativo.

Il Maxxi ha inaugurato i rinnovati spazi con la prima mostra Punto di equilibrio. Pensiero spazio luce da Toyo Ito a Ettore Spaletti, a cura di Bartolomeo Pietromarchi e Margherita Guccione. Otto le opere commissionate per l'occasione, che dialogando con il contento architettonico e paesaggistico circostante, riflettono sul significato di “equilibrio”.

Partendo dall’ingresso ci si imbatte nell'installazione realizzata da Nunzio, Sospeso, in cui le assi di legno combusto sono posizionate in un gioco di pieni e di vuoti, che sembra voler invitare il visitatore ad entrare. Oltrepassato il cortile interno che ospita l'installazione audio Fischio 3/2018 di Liliana Moro ci si immette sullo scalone monumentale di derivazione borrominiana affrescato dal veneziano Vincenzo Damini nel 1749, dove si viene abbagliati dalla grande installazione, a neon rosso, di Maurizio Nannucci The missing Poeme is the Poem. In quest'opera di Poesia Concreta Nannucci tramite il medium espressivo del neon compone un ossimoro che riflette sulla presenza/assenza della poesia nella dialettica tra spazio e linguaggio.

Nella prima sala del primo piano spicca tra le opere dei grandi nomi dell'arte contemporanea come Pistoletto, Cattelan e Boetti, facenti parte della collezione del Maxxi, la prima delle opere commissionate, l'installazione La città sale di Elisabetta Benassi. Ispirata all'opera omonima di Boccioni, l’opera riflette sulla precarietà delle città e sull'instabilità della conduzione umana. Il sale, con le sue stratificazioni sedimentate nel tempo, restituisce la forma ad una città che, dopo il terremoto, si è affidata alla memoria per potersi preservare e rioffrire al presente.

Proseguendo ci si imbatte nell'opera/macchina di Alberto Garutti Accedere al presente, un ingranaggio che attrae lo sguardo sul lento procedere dei colori sulla tela, come la narrazione di una storia fatta di luoghi e spazi ideali.

Dopo la grande sala con gli arazzi in seta ricamata, tra cui North Pole Map, del grande artista sudafricano William Kentridge, si accede tramite un piccolo corridoio che affaccia sul cortile interno e sulla quale troviamo opere come Il viaggiatore astrale di Maria Lai, alla sala con l'installazione scultorea luminosa Bent and Fused di Monica Bonvicini che con materiali freddi come i tubi a LED, cavi elettrici, filo e acciaio disegna nuove forme e trasforma la percezione del piccolo spazio della sala. I singoli tubi sono legati da un sottile filo che vuole simbolicamente marcare il contrasto, dato dalla luce accecante e disturbante dei LED, tra strutture di potere e condizione femminile.

Proseguendo si incontra una sezione dedicata alla fotografia in cui emergono tra le opere di maestri come Guidi, Basilico e Barbieri, le opere di Stefano Cerio. Col progetto Aquila, Cerio continua la sua ricerca sul rapporto tra realtà e finzione ma anche sulla rappresentazione dell'assenza, utilizzando il paesaggio appenninico abruzzese come scenario surreale in cui collocare un oggetto ludico come dei gonfiabili.

Paolo Pellegrin, invece, da un lato riempie come un puzzle la parete con 140 scatti in bianco e nero dal titolo L'Aquila, in cui la frammentarietà delle visioni realizzate nel centro cittadino, tende a confondersi tra luci e ombre di uno scatto e l'altro; dall'altra parte, quasi a volerle fare comunicare, una serie di ampie vedute notturne fatte di montagne e borghi rarefatti.

Il percorso continua con una parte dedicata alle architetture tra cui Relaxation e Grin Grin park di Ito in cui sperimenta nuove relazioni tra involucro e struttura cercando di fondere l'organico con la ricerca tecnologica e sculture come quella di Daniela De Lorenzo Come se, in cui l'artista traduce il legame del proprio corpo con lo spazio in una nuova forma, stratificata, simile a una crescita geologica che corrisponde "all'io sono qui" e che rimanda alla cartografia delle curve di livello.

La mostra non poteva che terminare con la Colonna nel vuoto di Spalletti, che poi dà il là a tutta l'esposizione, con le sue premesse di pensiero, spazio e luce. Posta al centro dello spazio in concomitanza della cupola sovrastante, la colonna di luce si slancia quasi a voler tender all'infinito, ma in fondo sospesa in un tempo indefinito che resta il ricordo.

Il Maxxi L’Aquila nasce come uno spazio pubblico in grado di attrarre la curiosità dei cittadini ma anche come polo di ricerca artistica che si interroga sulla contemporaneità attirando l'interesse dei soggetti operanti nel sistema artistico e dando voce alle eccellenze della creatività nazionale e internazionale.