Il più grande ostacolo all'esistenza di una vera democrazia in Tunisia è sempre stata la presenza dei Fratelli Musulmani, l’Islam politico.

Con il loro agire, fin dalla fine degli anni ‘70 hanno provocato l’indurimento del regime di Bourguiba, la chiusura, il rifiuto della democrazia e della liberazione delle libertà. Perché ogni volta, con i loro tentativi di colpo di stato militari, usando la violenza, il terrorismo, buttando l’acido sul viso delle ragazze, con le molotov, bruciando sedi di partito, facendo saltare in aria alberghi, uccidendo innocenti, persino bruciando persone vive, chiudevano ogni possibilità di dialogo e di apertura democratica.

Perciò, il ritorno della religione nella sfera politica, l'Islam politico, non può essere sostenuto da un concetto astratto di democrazia, come alcuni ambienti, anche di sinistra, e come i circoli islamisti, vogliono promuovere. L’Islam politico è’ invece l’appoggio all'applicazione della shari'a e all'istituzione di uno stato islamico, sinonimo di radicalismo religioso, antitesi della democrazia.

L’errore principale è non capire un fenomeno che non è democratico a causa delle proprie radici autoritarie. Pur sostenendo di aver adottato una lettura islamica moderata, partiti come Ennahda (Movimento del Rinascimento), creato illegalmente in Tunisia nel 1981 sulle spoglie dei Fratelli Musulmani sotto un primo nome di “Movimento di tendenza islámica”, mostrano una impressionante continuità di linea politica e di dirigenti, e non ha mai cessato di mantenere legami con i rami jihadisti.

Perciò è un vero e proprio ossimoro, una contraddizione in termini, considerare l’Islam politico nel quadro della democrazia.

In questi 10 anni, quello stesso gruppo terrorista degli anni ‘70 è diventato più pericoloso che mai, vorace, ben organizzato, è riuscito a controllare la Tunisia grazie all’appoggio finanziario e logistico straniero, dal Qatar e dalla Turchia, in primo luogo, e con il sostegno politico occidentale.

Per rimanere al potere, gli islamisti non fanno affidamento solo sulla religione, ma usano anche minacce, violenze fisiche, attentati terroristi, terrorismo economico, e lo spauracchio delle sanzioni economiche. Contando sul lobbismo “democratico” internazionale, sono infatti pronti a profanare la sovranità del Paese per cercare aiuto all’estero chiedendo di riappropriarsi del parlamento, fonte del loro potere. Infatti, poche settimane fa, hanno persino chiesto la sospensione degli aiuti americani alla Tunisia nel quadro della lotta contro il Covid-19, dato che, secondo loro, lo scorso 25 luglio il Paese sarebbe stato scosso dal "colpo di stato" del Presidente della Repubblica Kaies Saied. Hanno invocato la democrazia, che loro osteggiano, incuranti di sacrificare la vita dei cittadini tunisini, pronti a distruggere ciò che resta della Tunisia e ad affamare i tunisini devastati dalla crisi sanitaria, sull'altare degli interessi dei loro partiti.

Per mantenere il loro potere, perseguitano con ogni mezzo chi si oppone alla loro politica mafiosa. Hanno persino costituito una milizia virtuale di influencer mercenari del web, una realtà che non può più essere negata, spazzini che si nutrono della distruzione di tutti coloro che osano opporsi a loro e alla loro ideologia distruttiva e retrograda. Sono numerosissimi i casi di linciaggio sulle reti sociali, da Facebook alle radio e televisioni che corrompono per continuare a instillare le loro bugie e il loro veleno.

In cima a questo, per offrire legittimità religiosa alla posizione politica dei partiti islamici, l'Unione Internazionale degli Ulema musulmani, che sostiene il movimento talebano, e casa madre degli islamisti tunisini, ha emesso una fatwa il 26 luglio, descrivendo le decisioni di Saied come un "imperdonabile atto criminale" che "mina le istituzioni", invitando a sostenere il governo tunisino destituito.

Moltissimi si domandano perché i senatori americani e i deputati di certi Paesi europei, di solito molto attenti al rispetto dei diritti e delle libertà laiche e contro la violenza nei loro Paesi, mostrano una ingiustificabile solidarietà con gli islamisti, chiedendo, nel nome di una astratta democrazia, il ritorno al potere proprio di quegli islamisti che combattono la democrazia, gli stessi che hanno messo in ginocchio il nostro Paese.

Eppure, la chiusura del Parlamento e il rovesciamento del loro governo erano attesi dalla grandissima maggioranza del Paese da anni. Da più parti si levavano voci contro il loro modo di operare nell’impunità totale, infiltrati nell’amministrazione, nel sistema giudiziario e nel mondo degli affari, spesso con attività lucrative illegali. Non era più possibile assistere alla presa in ostaggio di un intero Paese da parte di una banda corrotta che viola quotidianamente le leggi. Dal 2011 si sono succedute ondate repressive pericolosissime, mentre la crisi economica, sanitaria e sociale non ha fatto altro che aggravarsi, provocando l’impoverimento non solo delle classe popolari, ma anche di quelle medie, la violazione dei diritti umani e sociali e ambientali, ondate di sfratti, corruzione, terrorismo, violenze di tutti i tipi, soprattutto contro le donne, contro i giornalisti, contro le stesse forze dell’ordine.

Questo è il male profondo che spinge all’emigrazione migliaia di tunisini, specie giovani e giovanissimi, che preferiscono rischiare la traversata del Mediterraneo sui barchini che continuare in un’agonia di senza lavoro né futuro.

Loro, gli arricchiti dell’Islam politico affaristico, non hanno visto che la crisi, causata proprio da loro, era talmente generalizzata che le manifestazioni del 25 luglio contro il regime islamista, ne sono state la logica conseguenza.

Oggi stiamo decidendo tra vivere o morire. Perciò, se i tunisini dichiarano di essere contenti delle decisioni del presidente della repubblica, che così sia. Ma il presidente non potrà fare nulla senza consultare e lavorare mano nella mano con le organizzazioni e i movimenti sociali del Paese.

Lui aveva chiesto un mese per ripulire il Paese, di mesi ne sono ormai passati più di due. L’attesa di una svolta decisa da parte sua è diventata molto pressante, e la mancanza di decisioni è diventata soffocante. Non si vedono decisioni a favore della lotta contro la povertà e la distribuzione ineguale delle ricchezze, né per raddrizzare l'economia. Le persone, le famiglie, le aziende che hanno subito violazioni, violenze, omicidi, truffe, furti e soprusi punibili dalla legge denunciano che non si sta rendendo loro giustizia, lasciando ancora impuniti i mercenari e le mafie degli islamisti e dei loro alleati. È sotto gli occhi di tutti che, fino ad oggi, malgrado le inchieste sugli omicidi, incluso quello dei leader progressisti Lotfi Nagth, ucciso per linciaggio, Chokri Belaid e Mohamed Brahmi, uccisi a colpi di pistola, sui soldati che sono stati decapitati negli agguati terroristici in montagna, sulle ragazze adescate nella prostituzione cosiddetta Halel, sull'arruolamento dei giovani mandati a combattere nella jihad in Afganistan, Libia, Siria e ora tornati a casa, future bombe a orologeria, niente riguardo alle cellule dormienti jihadiste, niente riguardo alla cellula armata segreta degli islamisti, nessun ordine di chiusura, fino ad oggi, della sezione tunisina dell'Unione Internazionale degli Ulema Musulmani (IUMS),che, lontano dalle luci della ribalta, non ha smesso di organizzare cicli di formazione per i predicatori della shari'a. Nonostante la sua classificazione nel 2017 come organizzazione terroristica da parte di Egitto, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, e nonostante le numerose petizioni e manifestazioni, in Tunisia, denunciando il pericolo che rappresenta nel reclutamento dei giovani e la loro dogmatizzazione, e che ne chiedevano la chiusura, ha continuato a reclutare giovani e disoccupati. Nessun procedimento contro i suoi fondatori, membri e docenti, un vero e proprio pericolo per il popolo tunisino e la sovranità della Tunisia. Anzi, grazie ai finanziamenti stranieri sta per aprire sezioni a Sfax, Kairouan e Gafsa.

Niente, nessun fascicolo è stato aperto né inviato ai tribunali affinché giustizia sia fatta.

Il 25 luglio il Presidente Kaies ha preso in mano tutti i poteri in una volta sola: il legislativo, l'esecutivo e il giudiziario. Vorrà dire qualcosa se la grande maggioranza della popolazione considera che è meglio così, piuttosto che essere governati dagli islamisti, dal loro potere che si esprime nel nepotismo, nella corruzione, nel banditismo, godendo dell’impunità.

Adesso, finalmente, ha nominato il primo ministro, anzi, la prima ministra, dato che, per la prima volta, una donna è a capo del governo, una sorpresa per moltissimi, tanto più perché la nomina viene da un “conservatore”. Najla Bouden è conosciuta per essere rigorosa e con un curriculum impressionante. Il suo successo dipenderà soprattutto dal mettere in campo una squadra di lavoro che dovrà essere per forza di cose ottima, competente e unita, da un programma che risponda alle aspettative e alle emergenze del Paese, con scadenze da rispettare, dalla sua capacità di essere stratega, dalla sua abilità, forza e perseveranza nel risolvere le questioni urgentissime, e dall’ampia apertura e diplomazia nel trattare con i sindacati e con le organizzazioni sociali.

Le organizzazioni della società civile e i movimenti sociali, che nel passato si sono dimostrati forti e ben organizzati, saranno in grado di vigilare su questa novità e appoggiare i cambiamenti per i quali è stata nominata e sui quali si deve impegnare?

Tutti sono convinti che non c’è tempo da perdere, e che il minimo passo falso potrà mettere in pericolo le lotte e i successi realizzati in questi 10 anni. Un rischio che, è denunciato da più parti, riguarda persino le conquiste ottenute con l'indipendenza nel 1956, se la Tunisia dovesse cadere sotto il controllo di Paesi che, come la Turchia e il Qatar, stanno dietro, nemmeno tanto nascostamente, all’Islam politico.

Non ci può essere democrazia senza i diritti e le libertà, specialmente delle donne, e non ci può essere giustizia sociale senza uguaglianza, dignità, reale parità di opportunità ed equa distribuzione della ricchezza.

Saprà la signora Najla Bouden rispondere alla sfida della decisiva svolta storica che sta vivendo la Tunisia?