Abbiamo corso come criceti nella gabbietta per ritornare di nuovo allo stesso punto. E come se il mondo si fosse spinto talmente oltre da arrivare poi ripiegarsi su se stesso … non si tratta più solo di economia circolare ma sembra quasi che il consumismo si sia talmente esposto da voler ritornare indietro e scoprire l’essenziale.

Abbiamo distrutto tutto, sterminato specie viventi, utilizzato fino alla fine ogni forma di materia prima, abbiamo usato sfruttato e sperimentato ogni risorsa e oggi il sentimento comune mi sembra che volga sempre più verso il recupero di ciò che abbiamo perduto.

Il riuso e riciclo delle materie prime è di evidente priorità e costituisce tra l’altro un elemento determinante per l’immagine delle grandi aziende di ogni settore che sia la moda che sia l'edilizia che sia l'agroalimentare …si tende a tornare un po' alle origini cercando di imparare dai propri errori, di sfruttare la tecnologia per ritornare comunque ad uno stato iniziale in cui si utilizzava la materia prima con buon senso senza sprecarla cercando di rendere lungo il ciclo di vita del manufatto e di realizzarlo completamente riciclabile.

Le nuove generazioni quasi tornano a vivere con quella fantastica idea del consumo che avevano i nostri nonni: un oggetto nasceva e si modificava più volte prima di terminare la sua vita, non si buttava nulla, ogni cosa tornava a nuova vita riducendo lo spreco ai minimi.

Il riciclo nel design e nella moda, dopo un lungo periodo di assenza, mi sembra che si stia riaffacciando con nuove metodologie che sono ovviamente digitali e altamente tecnologiche. Insomma, il riuso diventa virtuoso e si adatta all’epoca digitale: un esempio sono le app di compravendita, prima fra tutte il fenomeno Vinted.

Vendere l’usato non è una novità. Dapprima gli unici oggetti che si rivendevano erano oggetti d’arte o artigianato e antiquariato…questi ogni volta che venivano rivenduti in botteghe e mercati ad hoc assumevano nuovo valore.

I mercatini dell’usato sono una idea tutta anglosassone: negli anni ’70 un turista a Londra non poteva esimersi dal percorso tra mercati del vintage e tornare a casa con oggetti di indubbia provenienza.

Ricordo anche nella Milano dei primi anni ’90 un forte interesse per alcuni negozi dell’usato e per il noto mercato sui Navigli. Giubbotti in pelle, jeans e borse… l’usato cosiddetto ‘rianimato’ assume quasi maggior valore, ha un upgrade perché viene rivitalizzato, sistemato e presentato come nuovo e invitante. Si tratta dunque più di un upcycling che non di riciclo.

Arrivano gli anni 2000 il fenomeno dell’usato tende decisamente a morire, anzi vi è una corsa pazza al consumismo e la globalizzazione ha permesso a tutti di acquistare tutto, di riempire armadi e scarpiere di ogni cosa più o meno costosa più o meno made in China. Piuttosto che riparare si butta e si ricompra perché il mercato offre una vastissima quantità di tutto a prezzi accessibili, mentre l’oggetto griffato o brandizzato sale alle stelle.

E in questi 20 anni abbiamo macinato chilometri, distrutto foreste e corsi d’acqua e consumato le energie del nostro Pianeta.

Oggi, anche direi a seguito della pandemia, la vendita che una volta si basava sulla relazione avviene quasi totalmente online.

In questo contesto si afferma e rivoluziona, a mio avviso, il concetto di vendita di seconda mano, la famosa app Vinted… una grande rivoluzione che io ho trovato molto affascinante non solo per il successo che sta avendo in Europa, ma per il fenomeno sociologico che questo secondo me comporta.

Sarò ingenua, forse il cambiamento era già avvenuto e io vivevo ancora di relazioni, ma oggi le app di compravendita possono mettere in contatto in un click venditore e acquirente e gestire tutto il percorso in un attimo con garanzie e senza problemi.

Non voglio elogiare Vinted, che tra l’altro non ha bisogno del mio sostegno, ma voglio ragionare sul profondo mutamento che porterà. Perché prima di tutto si inserisce e prende piede proprio in questo contesto storico. La pandemia ha già distrutto piccoli negozi e messo in crisi il fenomeno dei grandi centri commerciali…con la folla accalcata per l’acquisto. Ha già definito nuovi scenari e nuovi canali di acquisto veloci e totalmente privi di socialità.

Vinted si fonda sulla percezione che gli oggetti in fondo hanno un soggettivo valore. Ciò che a noi piace o ci serve ha un valore, ciò che non ci serve o non usiamo vale pochissimo. È solo un ingombro, meglio darlo via. A differenza delle piattaforme tipiche di compravendite di usato che in qualche modo finivano con il mettere in relazione compratore e venditore e impegnavano quindi le parti interessate, le nuove app sono di facile utilizzo, rispondono alle nostre esigenze di immediatezza e libertà, si interfacciano con facilità e in pochi passi rendono veloce e proficuo l’affare.

Cari coscritti, boomer, voglio proprio spiegarvi come funziona.

Il fenomeno Vinted

Prima di tutto ve la presento, si chiama Vinted, si tratta di una applicazione da scaricare sul telefono. Ad oggi in Italia ha avuto 870 mila download e è la app più scaricata degli ultimi mesi. Oggi è conosciuta in 12 Paesi e punta all’Usa.

Non è inglese, bensì l’app nasce in Lituania nel 2008 da Milda Mitkute e Justas Janauskas. È semplice da usare e permette di scambiare o vendere e acquistare capi di abbigliamento e accessori usati.

Chi segue l’app: soprattutto donne e millennials.

Dove ha avuto maggior successo: in Francia dove ha generato 30,6 milioni di visite, seguono Italia, Germania e Spagna.

Cos’è e come funziona

Ecco quali sono i passaggi da seguire per iscriversi a Vinted:
- da AppStore o Playstore scaricare l’app gratuitamente;
- iscriversi usando la mail…io consiglio di dedicare una mail solo alle conversazioni Vinted, cioè di creare una gmail solo per Vinted;
- concluso il login si possono iniziare a cercare i capi desiderati applicando i filtri su taglia, colore, condizione…;
- oppure vendere mettendo più foto dell’articolo, una descrizione e il prezzo.

È tutto molto intuitivo.

Quando si riesce a vendere cosa succede?

L’app ha ideato un metodo perfetto per completare l’acquisto: l’acquirente clicca “acquista” e paga. Viene emessa una etichetta prepagata Ups che verrà posta sul pacco, a pagare il corriere è sempre chi acquista ma pensate che un pacco costa solo 3-4 auro di spedizione. Il pacco andrà portato in un deposito Ups vicino a casa.

Nel frattempo, i soldi dell’acquirente sono come “freezzati” e passeranno al venditore solo quando il capo arriva a destinazione e verrà dichiarato “che tutto è andato per il verso giusto”. È più facile provare che spiegarlo, “ça va sans dire”.

Dove è il guadagno di Vinted, visto che non sono incluse quote associative né costi di intermediazione? Proprio nello stallo di tutti questi piccoli tesoretti che restano in banca a Vinted finché il contratto di vendita non si conclude e finché il venditore non sceglie di trasferirli sul proprio conto.

Volete un esempio? Ognuno di noi vende almeno per 20 euro. Consideriamo 34 milioni attivi sull’app. Uguale 680 milioni di soldini depositati seppur di passaggio… Altro che mission sostenibile, io lo definisco affare epocale, “ça va sans dire”.

Altre app di resale

Negli ultimi anni, anche grazie alla complicità dei social network, si sono diffuse una serie di piattaforme online nelle quali gli utenti hanno la possibilità di mettere in vendita gli abiti soprattutto capi griffati, che non si utilizzano più, promuovendo un concetto di moda molto più sostenibile.

Ne sono esempi importanti app come Depop e Clothest o Vestiaire Collective il cui comune intento è promuovere un’idea di moda sostenibile. Depop nasce nel 2011, ed è diffusa soprattutto negli Stati Uniti. Nasce come una piattaforma a totale sostegno dell’ambiente, la sua mission è migliorare il futuro unendo creatività e circolarità. Depop ha un pubblico molto giovane e scommette sui marchi indipendenti che, stando alle statistiche, attirano circa il 90% degli utenti con un’età compresa tra i 16 e i 24 anni.

Clothest è una piattaforma di e-commerce nata in Italia nel 2015 per la rivendita di abiti di seconda mano di lusso. La mission dell’azienda è ridurre l’impatto ambientale ma anche permettere a tutti di indossare un abito griffato.

Vestiaire Collective nasce in Francia nel 2009, e anche app permette di vendere e comprare abiti firmati, tutti garantiti.

Cosa non va in tutto questo?

Tutte queste applicazioni stanno avendo un grande seguito tra i millennial e la generazione Z, che rappresentano il 33% dei clienti del mercato dell’usato, ma secondo me anche noi boomer ne siamo totalmente rapiti!

Ma attenzione però a pensare che tutto questo possa portare ad un minor impatto sull’ambiente...Le app mettono infatti in comunicazione venditori e acquirenti da ogni parte del mondo, e in pochi click si acquistano e vendono vestiti e oggetti in tutto il mondo.

Le emissioni di anidride carbonica causate dalle spedizioni se già erano impennate a causa delle normali vendite online – cit, Amazon! - adesso arriveranno alle stelle. Se da una parte appoggiamo la circolarità non dovremmo anche pensare a trovare una soluzione sostenibile per la mobilità?

Una sola è la via di uscita per ovviare alla miriade di corrieri che sfrecciano tutti i giorni sulle nostre strade per accontentare tutti, anche coloro che pensano acquistando un capo usato di far bene all’ambiente …che il trasporto urbano avvenga solo con mezzi elettrici. Un primo passo e poi pensiamo al trasporto sostenibile su strada dei mezzi pesanti, delle grandi navi cargo e degli aerei.