Settanta Settimane sono fissate, per il tuo popolo e la tua città…

(Daniele 9,24)

Il Libro del profeta Daniele, al capitolo nove e dodici, indica una cronologia qualitativa del tempo secondo una struttura particolare articolata in “settanta settimane”. Entro questo periodo secondo il profeta si compiranno alcuni fatti precisi e decisivi per l’umanità e i credenti:

  • “un consacrato sarà oppresso senza sua colpa” (facile l’identificazione nel Cristo);
  • “il popolo di un principe che verrà distruggerà la città e il santuario”, cioè il principe Tito, figlio di Vespasiano, e la distruzione del Tempio di Gerusalemme;
  • “guerre e desolazioni decretate fino all’ultimo”;
  • la cessazione del sacrificio quotidiano e l’erezione dell’abominio della desolazione (Dn. 9,27 e 12, 11-13).

Fatti che non è difficile interpretare cristianamente secondo le stesse profezie di Cristo contenute nei Vangeli di Matteo, Marco e Luca dove Cristo stesso rinvia al profeta Daniele (Mt. 24,15) e parla identicamente “dell’abominio della desolazione” e di un simile “tempo ultimo del male”, cioè dell’interruzione della Messa e dell’elevazione al suo posto di un idolo fino al trionfo finale di Dio sul male (nella storia). Non a caso Daniele parla proprio di un “elevazione” dell’abominio, termine che fa pensare alla collocazione in alto di un idolo, affinché tutti i fedeli lo possano adorare.

Il termine greco nel testo evangelico originario appare preciso e concreto: bdelugma tes eremoseos (Mt.24,15; Mc. 13,14) cioè un “orrore idolico”, dato da un idolo, che comporta “spogliazione”, cioè devastazione, privazione, dentro la religione e il vero culto. Si apprezza in modo chiaro pensando ecclesialmente al rapporto simultaneo fra “elevazione” idolica e “privazione” in riferimento all’Eucarestia eliminata all’esaltazione di un nuovo segno-oggetto sostitutivo. La coerenza di tale interpretazione cristiana di Daniele, suggerita dagli stessi Vangeli, trova forza nel Cattolicesimo antico che era uso considerare la storia della Chiesa quale continuazione della storia di Israele. I Cristiani quale “nuovo Israele”. Non solo: se il popolo cristiano deve, nella storia, rivivere la vita di Cristo, allora anche socialmente, storicamente, si rivivrà “l’ora della crocefissione” della Chiesa e della fede e a cui seguirà però un inaspettato e trionfale “tempo cristiano di risurrezione e restaurazione” a cui si allude anche nel Nuovo Testamento (Luc., 18,8; 21,31).

Luca appare l’evangelista più chiaro in queste visioni apocalittiche sugli “ultimi tempi” in quanto ne conferma la loro inclusione nella dimensione storica e il loro aprire ad una fase nuova ed aurea paragonando il periodo tragico, breve, “ai giorni di Noè” e “ai giorni di Sodoma” condannata, oltre che definire questa grande prova purificatoria quali “giorni in cui Cristo farà apocalisse di sé” (Luc. 17,30), cioè si manifesterà nella storia in modo straordinario.

Tempo sempre da Luca identificato con il biblico “giorno dell’ira di Dio” o “gran giorno del Signore” (Luc. 21,34-36) che viene richiamato più volte anche da San Paolo nelle sue lettere con il termine parusia, o epiphania (1Tess. 3,12.13, 5.2; 1Tm.6,14; 2Tess.2,2 ss) dove l’apostolo delle genti dimostra di conoscere il capitolo 19 dell’Apocalisse di Giovanni (Gesù quale “Re dei re e Signore dei signori”) e il tema vangelico-apocalittico del ritorno di Cristo “come un ladro” (Mt.24,43; Ap. 3,3; 16,15), cioè in modo veloce e inaspettato.

Ogni profezia presenta un aspetto storico più immediato e uno escatologico più ampio e differito, emblematico, come la profezia di Cristo sulla distruzione del Tempio che poi si allarga alle profezie degli “ultimi tempi”. Il Vangelo di Luca connette proprio il “tempo della distruzione del Tempio”, cioè il “tempo del Cristianesimo” nel quale è Cristo stesso il Tempio, al “tempo delle nazioni” che calpestano Gerusalemme fino al trionfo finale di Dio contro le “nazioni”, cioè contro le potenze mondane ostili al Vangelo (Luc.21,24).

La concordanza tra la profezia di Daniele e l’Apocalisse è perfetta perché anche nel Libro della Rivelazione di Giovanni si parla di un terribile tempo, che dura 42 mesi, dove la “bestia” anticristica perseguiterà i giusti ed eleverà un suo idolo costringendo tutti ad adorarlo a pena di morte (Ap.13,5-7). I 3 anni e mezzo apocalittici corrispondono ai 1290-1335 giorni di cui parla Daniele al capitolo dodici, cioè un tempo, più tempi e la metà di un tempo, ripresi anche da Giovanni (Ap.12,14). Identica anche la connotazione di tale periodo in quanto Daniele parla di “distruzione del popolo santo” che deve compiersi e Giovanni mostra la bestia anticristica che “fa guerra ai santi e li vince”.

Ma il tempo delle settanta settimane si conclude con un trionfo divino che viene descritto con l’immagine del “sigillo” posto sul male e sul peccato e parlando dell’instaurazione di una “giustizia eterna”. Simile immagine ritorna nell’Apocalisse nell’episodio dell’Angelo clavigero che, una volta sconfitto l’anticristo da Cristo stesso e condannata Babilonia, opera chiudendo e sigillando nell’abisso satana stesso e lo tiene prigioniero per quei “mille anni” in cui trionferà il Regno di Dio (Ap. 20, 1-6). Questo “Regno” va considerato ancora un tempo storico, l’ultimo e il più felice, come una sorta di nuova “età dell’oro” dove il bene prevarrà sul male. Lo dimostra il capitolo 21° dell’Apocalisse che tratta il tema di Gog e Magog e della battaglia finale di Armaghedon solo alla cui conclusione inizia il “Giudizio Universale” cioè la fine della storia e del tempo e l’inizio della palin-ghenesis, cioè di una nuova creazione senza più male in assoluto e quale riassorbimento definitivo nell’eternità di Dio di tutto il cosmo e di tutta l’umanità, ben visualizzato dall’immagine della “Gerusalemme celeste” (Ap.21 e 22).

Riconsiderando quindi i capitoli 9 e 12 di Daniele abbiamo questo ampio tempo delle “Settanta Settimane” in cui ad una fase tragica dove il popolo di Dio viene distrutto e il sacrificio proibito (cristianamente: la Santa Messa) seguirà un tempo felice (a coronamento della conclusione delle Settanta Settimane) dove il male sarà “sigillato”, cioè imprigionato come satana nella visione dell’Apocalisse. Anche durante la grande persecuzione (thlipsis significa questo: Mc.13,19; Ap.7,14) Dio però non abbandonerà il suo “resto”: Daniele parla di un’assistenza speciale dell’arcangelo Michele (Dn,12.1) in “quel tempo d’angoscia” e Giovanni dell’aiuto dei “due Testimoni” (Ap.11,.1-7) che medioevalmente si identificavano con Enoch ed Elia, gli unici due profeti-patriarchi biblici mai morti ma rapiti in Cielo anima e corpo per gli ultimi tempi (che non sono ancora la fine della storia). Compreso questo inquadramento generale sulla fase finale della storia, (finale in quanto apre ad un “tempo storico nuovo”) possiamo provare due tentativi, esemplificativi, di computazione temporale delle “settanta settimane”, perfettamente consapevoli che i “segni dei tempi” non sono previsioni da oroscopo ma inviti alla conversione spirituale e che solo Dio conosce precisamente i tempi di questi rivolgimenti mondiali come ci ricorda il Vangelo stesso (Mc.13,32).

Occupazione che appassionava anche il grande Newton il quale, più pessimisticamente, computò nel 2060 la fine del mondo! L’antico Israele scandiva il proprio tempo su un calendario lunare e secondo il ritmo settenario dato dall’alternarsi dei piccoli Giubilei (ogni sette anni) e dai grandi Giubilei (ogni 49 anni), per cui non è una sorpresa che il profeta Daniele riprenda il numero sette nelle sue profetiche “settanta settimane” come pure non è un caso che l’esilio in Babilonia sia considerato durare settant’anni. Il problema è che il tempo profetico può apparire simultaneamente molteplice, cioè articolarsi e manifestarsi in “tempi” plurali e non in un “tempo monistico” ed orizzontale, come il Salmo 89 (v.4) e la seconda Lettera di Pietro (3,8.9) ricordano affermando che mille anni sulla terra corrispondono ad un solo giorno nei Cieli.

Tale corrispondenza però consola e nel complicare un po’ chiarifica in quanto allora esiste un “coordinamento divino-umano” fra il tempo aionico del Cielo e quello cronologico della storia umana. Le profezie si qualificano proprio per aprire dei sottili squarci in questa misteriosa coevità fra Eterno e Tempo.

La stessa profezia delle “settimane” accenna a tempi precisi e più brevi al suo interno quando parla di un capo malvagio che “stringerà una solida alleanza con molti per lo spazio di una settimana e per metà settimana farà cessare il sacrificio e l’offerta…” (Dn.9,27). Questo passo infatti sembra alludere ad un decorso di pochi anni, sette e poi, o inclusi, tre e mezzo, come poi ripreso nel capitolo dodici e nell’Apocalisse come abbiamo accennato sopra.

Non sempre quindi il numero “sette” possiede la stessa valenza temporale. Ma il Tempo delle 70 Settimane è certamente molto più ampio in quanto si conclude con la vittoria divina sul male che viene “sigillato”, cioè delimitato, contenuto per forza divina, fatto non ancora avvenuto, ovviamente. Il concetto di “settimana” quindi non può leggersi quale insieme di sette giorni né di sette anni, altrimenti saremmo già nel periodo felice che tutta la letteratura profetica biblico-cristiana prevede e indica. Indico, tra le molte, due possibilità ermeneutiche:

  • che ciascun giorno di cui si compone la “settimana profetica” sia considerato quale insieme giubilare di 7 anni, per cui arriviamo alla cifra complessiva di 3.430 anni (70x49) e a partire dal tempo storico del profeta Daniele, indicato dagli studiosi all’incirca nel 620 a.C.;
  • che la settimana sia da considerarsi equivalente ad un tempo biblico di 400 anni, come i quattro secoli della permanenza di Israele in Egitto, e considerando questo tempo quale tempo complessivo della storia. Si avrebbe in questo caso la cifra di 28.000 anni quale “età totale del mondo” e quale espressione dilata di un mese lunare.

La luna è spesso considerata nei Salmi e nell’Antico Testamento quale segno del passare del tempo. A questo punto appare interessante e ineludibile, a livello di suggestione, chiedersi: a che punto siamo oggi? Inaspettatamente ci viene incontro un aiuto ermeneutico da individuarsi in un antico inno ecclesiale e natalizio detto Inno della Kalenda il cui scopo era coordinare i tempi biblici, quale “tempo della salvezza”, con il tempo storico della nascita di Gesù. Ebbene questo inno fa preciso riferimento alla profezia di Daniele di cui stiamo parlando affermando che il tempo della nascita del Salvatore corrisponde alla 65° Settimana di Daniele. Questo concorderebbe con il profeta Daniele stesso al suo capitolo nove quando parla di un “consacrato innocente” (Il Cristo) ucciso dopo la 62° settimana! L’unica differenza, di soli 33 anni secondo la tradizione, è fra la nascita di Gesù dell’Inno e la morte di Cristo della profezia biblica. Poca cosa se considerata nella distesa dei millenni. Anche perché sebbene i contemporanei diano più importanza al Natale che alla Pasqua, tradizionalmente e teologicamente è la resurrezione di Cristo che dovrebbe essere considerata quale nuovo Inizio del tempo storico cristiano.

Solo nel 2033 quindi saremmo più precisamente nel terzo millennio cristiano, cioè nel “terzo giorno” visto dal Cielo (pur lasciando qui da parte il tema del computo dell’anno del Natale di Cristo). Per la prima ipotesi ermeneutica quindi, se sottraiamo dai 3430 anni ottenuti (70x49) i 620 anni prima di Cristo del tempo di Daniele, insieme ai duemila che si separano dalla nascita di Cristo avremmo un residuo di circa 810 anni che si separano ancora dall’inizio del felice “Regno dei mille anni di Cristo” che concluderà la storia umana.

Se invece consideriamo il secondo approccio indicato, che vede le settanta settimane quale tempo complessivo della storia (che è anche “tempo della salvezza” per Dio e per i credenti) e la settimana quale insieme di 400 anni, allora siamo vicinissimi a questo nuovo tempo cristico e aureo perché la 65° settimana del Natale di Cristo corrisponderebbe ai 26.000 anni dall’uscita dall’Eden (inizio della storia umana) e quindi il tempo attuale sarebbe vicino ai 28.000 anni conclusivi del “tempo della prova”, cioè della storia come la conosciamo e quindi sarebbe imminente (magari allo scoccare del 2033, o pochissimo dopo) il “Regno dei mille anni”, in qualunque modo lo intendessimo. L’antico Inno della Kalenda sembra far preferire la seconda ipotesi interpretativa alla prima che riconduce il tempo profetico di Daniele ad un tempo che continua un tempo storico già avanzato. Se invece considerassimo questo tempo profetico quale tempo solo cristiano allora occorrerebbe moltiplicare 70 per 70 ed avere così 4900 anni quale epoca cristiana complessiva. Non saremmo allora neppure a metà del percorso e andremmo oltre anche la fine del tempo profetico visto da Nostradamus che corrisponde al 3797. A ben vedere il tempo settuplice di Daniele distingue già il ritorno a Gerusalemme da Babilonia (7 settimane) e lascia “aperta” l’ultima settimana dopo le 7 + 62 indicate: la 70° settimana corrisponde al Regno dei Mille anni? E va considerato anche che le i fatti profetizzati dentro il tempo visto da Daniele sembrano proprio iniziare con la morte di Gesù e la distruzione del Tempio e, quindi, sembrano riguardare solo “l’epoca cristiana”.

Che poi questo “Regno” sia ancora storico e non un’allegoria del Giudizio Universale (dimensione che corrisponde alla “resurrezione dei corpi”) ci basti l’Apocalisse che distingue chiaramente in differenti capitoli e narrazioni tale decorso. Al capitolo 19-20, 1-6 abbiamo satana incatenato e solo dopo i mille anni rilasciato per pochissimo e infine sconfitto definitivamente e regalato negli Inferi dal capitolo 20,7 alla fine del Libro. Ce lo può confermare la stessa logica e il buon senso: se l’anticristo venisse sconfitto solo con la fine della storia e del tempo allora vorrebbe dire che nella storia il male è stato più forte del bene e questo contrasta con il dogma della bontà del Dio cristiano!