Alice, inseguendo un coniglio, precipita nel Paese delle Meraviglie, popolato da singolari personaggi che sfidano continuamente il senso comune. Niente è scontato nel Paese delle Meraviglie: ogni incontro è un enigma da risolvere. Talvolta Alice vorrebbe gettare la spugna:

“Forse non c’è una morale” si arrischiò a dire Alice. “Piano, piano, piccina!” replicò la Duchessa. “C’è sempre una morale, basta saperla trovare”. [...]. “Che mania ha di trovare la morale in tutte le cose!” pensò Alice fra sé.

Alice è alle prese con la complessità del mondo. Scoprendovi che è abitato dal Distruttore di Senso, un personaggio che si presenta con i più improbabili travestimenti. Alice ha una sola possibilità per non soccombere: seguire il consiglio della Duchessa, costruire un senso per ogni stravagante esperienza. Talvolta le riesce bene. Talvolta è costretta a sospendere la ricerca perché s’infila in un vicolo cieco. Talvolta deve chiudere gli occhi per non essere sopraffatta dai paradossi. Talvolta è aiutata dal caso, talvolta dalla ragione, talvolta deve indietreggiare confusa, talvolta deve deformare il ricordo per adattarlo all’evidenza. Una cosa è certa: è costretta ad andare sempre avanti, perché non può interrompere il viaggio nel Paese delle Meraviglie.

Nessuno può sfuggire all’esperienza della complessità, perché la complessità è dietro l’angolo, nascosta nelle pieghe della quotidianità, nel tran-tran della vita. Il primo impulso è fuggire, o chiudere gli occhi, o fingere che tutto vada bene. Eppure, bisogna resistere alla tentazione di eludere la sfida della complessità. Tutti, persone e organizzazioni, dovremmo coltivare con più cura l’arte di entrare nel mondo della complessità. Perché nella complessità non vi è solo l’orrore del caos ma anche l’energia creativa per costruire nuove e più convincenti azioni. Certo, sarà necessario cambiare metodo, approccio, punti di vista.

Una rappresentazione visiva dell’esperienza della complessità? Eccola: il quadro di Norman Rockwell Il Connoisseur, dove si vede un attempato signore che osserva un quadro di Pollock.

L’osservatore è di spalle, corazzato nel suo gessato grigio. Saldo nelle sue certezze. Cappello, guanti e ombrello a completare l’armatura borghese. Sicuro di sé. Forse è interessato sinceramente a capire. Ma, è ovvio, senza rischiare troppo. Preoccupato da quell’esplosione di colori. Rassicurato dalla sua estraneità. “Per mia fortuna – penserà il Connoisseur – io non vivo in quell’universo caotico. Io sono fuori dal quadro. Vivo da quest’altra parte, nel mio mondo ordinato”.

Il quadro di Rockwell è una perfetta metafora di una cultura paralizzata di fronte alla sfida della complessità. Meglio tenersi lontano. Rintanati nelle retrovie, difesi dalla trincea dei luoghi comuni, rassicurati dalle gerarchie, dalle abitudini sociali, dalle procedure.

Il Connoisseur si sbaglia su un punto. Non sta fuori dal quadro di Pollock. La complessità è sempre in agguato. La nostra interazione col mondo si comporta come la pallina di un flipper, che ad ogni urto prende una traiettoria inattesa. Ogni telefonata, ogni sms, ogni contatto web, ogni relazione può generare l’imprevisto. Col risultato di mandare a monte le previsioni, di mettere fuori gioco l’esperienza, di rendere inutili le catene dei ragionamenti, di generare il caos.

Per fortuna, il nostro sistema cognitivo si è evoluto per tenere sotto controllo differenze e deviazioni. Quando utilizziamo la categoria ‘mela’ per classificare la Golden Delicious e la Granny Smith stiamo sottraendo varietà al mondo. Anche le organizzazioni utilizzano sistemi di monitoraggio e di controllo per imbrigliare la complessità ed evitare sorprese. Ordine, coerenza, prevedibilità: sono parole d’ordine che nessuno osa mettere in discussione. Pena lo sgretolarsi delle fondamenta stesse dell’azione individuale e collettiva.

Tuttavia, la costruzione dell’ordine ha un prezzo. L’osservatore del mondo ordinato è miope. Per mantenere l’ordine deve incasellare i dati dell’esperienza nelle categorie e nelle procedure già note. Diventa insensibile alle novità. Anzi, vere novità per un osservatore siffatto non esistono.

Il problema è che non possiamo permetterci di essere miopi. Il mondo ha cambiato marcia. Non possiamo permetterci di liquidare con sbrigativa sicurezza le piccole deviazioni dalle aspettative, il segnale debole, il frammento di esperienza che non quadra col resto. Perché, se trascuriamo quell’indizio, non sapremo che stanno cambiando le regole del gioco, l’ordine delle cose e l’efficacia delle nostre azioni.

Insomma, già viviamo nel mondo di Alice.