La sensazione di essere costantemente inadeguati, di non valere mai abbastanza, di essere incessantemente disapprovati dall’autorità genitoriale prima e da quella istituzionale poi, è uno dei ganci che il sistema capitalistico, basato sul principio di produzione e competitività, utilizza per mantenere le persone in uno stato di continua insoddisfazione. Questo fa precipitare le persone in una condizione di inappagamento che le conduce verso il bisogno spasmodico di produrre, consumare beni e ahimè distruggere relazioni, con la conseguente illusoria e transitoria percezione di sentirsi “inseriti nel sistema”. Ma è una condizione vana, ci sarà sempre chi produce di più, chi è più bravo e capace di…, chi possiede di più. La frustrazione impera nell’uomo contemporaneo, forse perché ha desacralizzato la relazione primigenia con la natura, con l’Anima del Mondo e con la sua anima? Oppure perché ha interrotto il flusso nel cordone ombelicale che lo lega all’invisibile, popolato dagli spiriti degli elementi, dagli archetipi, dalle eidos? Di quelle forme ideali che fanno “esistere”il mondo stesso: svuotandole di senso, l’uomo è rimasto senza più la sua connessione con la terra, perdendo quel senso di unità che il contatto con Gea gli donava dentro di Sé.

E qui interviene il mito, parola che significa narrazione, logos, la fonte primaria delle informazioni sulla storia dell’uomo, il racconto sacro della condizione umana al di là del tempo, che agisce anche se non ne abbiamo consapevolezza. Quando l’individuo viene sospinto nella sua mente razionale e della sua logica materialistica, non è in grado di accorgersi dei messaggi che i miti portano con sé e tende a sfuggire dal loro profondo significato: le figure mitologiche hanno infatti la funzione di tramandare tale conoscenza.

Questa condizione di continua manchevolezza, di penuria quantitativa e qualitativa conduce l’uomo contemporaneo a sentirsi come Ercole che con le sue dodici fatiche cercava di essere all’altezza di un dio ma non ci riusciva mai: non concludendo mai questa frustrante corsa alla perfezione, sfinito dalla fatica decide quindi di bruciare se stesso. Se si interpreta questa azione in termini metafisici piuttosto che letterali si comprende che la soluzione per uscire fuori da questo circolo vizioso è la dissoluzione dell’Io, quello che Jung indicava come parte del percorso di individuazione, erroneamente inteso come individualità, il cui culmine è scoprire chi veramente siamo. Tale processo porta al disfacimento della mente razionale e delle sue credenze limitanti e dogmatiche: il mito rivela all’uomo la verità e gli regala una grande lezione. Ercole suggerisce di non cercare sempre di soddisfare le esigenze che giungono dall’esterno e dall’autorità ma di accettare se stessi e amarsi, in quanto “sei perfetto così come sei”. Nel preciso momento in cui Ercole decide di darsi fuoco, Zeus lo afferra e lo porta nell’Olimpo, così diventa un dio come gli altri. Solo quando ha bruciato la sua identità diventa divino, scopre il divino in sé nella resa più totale, nell’abbandono, in un atto di fiducia dettata dalla disperazione. Bisogna davvero essere disperati per deporre le armi e abbandonare tutti gli strumenti di ricerca, nell’affidarsi totalmente al divino è la salvezza. Ercole in quell’istante è sciamano, ha destrutturato il suo Io, ha viaggiato tra i mondi dissolvendo e manifestando la realtà illusoria.

L’uomo contemporaneo riflette ancora quello stadio in cui Ercole si affanna nella lotta contro i mostri che non sono altro che parti di se stesso. L’Idra e le altre sfide poste innanzi all’eroe antico e all’antieroe moderno rappresentano l’illusione del raggiungimento di una perfezione divina che non è alla portata della mentalità letterale e logica, ma solo la lettura del mito con una mente poetica, quella sciamanica che trascende la razionalità, apre le porte dell’Olimpo e tutti gli dei accorrono e accolgono l’eroe, considerandolo finalmente come uno di loro.

Cito un passo del libro Il suicidio e l’anima di James Hillman che illustra magistralmente l’opera psichica del mito: “I miti governano le nostre vite. Pilotano da sotto le storie cliniche attraverso la storia animica. L’irrazionalità, l’assurdità e l’orrore di quegli esperimenti della natura che sono le nostre vite sono assunti su di sé dalle immagini e dai motivi mitologici, diventando in tal modo un po’ più comprensibili. Ci sono persone che devono vivere malamente la vita e poi morire malamente. Come altrimenti possiamo spiegarci il crimine, la perversità, il male? L’affascinante intensità di tali vite e di tali morti mostra che sono all’opera cose che trascendono il meramente umano”.

Ercole è un semi-dio, figlio della regina Alcmena, nome che significa forza d’animo, e di Zeus: è venuto alla luce dopo tre giorni, numero che in alchimia simboleggia il processo creativo di un nuovo uomo. Fin da bambino mostra una forza sovrumana, infatti riesce a strozzare i serpenti che la moglie di Zeus, Era, invia per ucciderlo quando è ancora in fasce. Il suo nome è quindi intriso delle qualità umano-divine dei suoi genitori, che sviluppa durante la crescita con gli insegnamenti di vari maestri, impara dal centauro Chirone la medicina, la musica e l’astronomia, diventa esperto nella lotta e nell’uso delle armi che gli saranno utili per superare le dodici fatiche.

Esploriamo brevemente il mito di Ercole: Era odia Ercole perché frutto dei tradimenti del marito e utilizza dei sortilegi per ucciderlo, simbolicamente metterlo alla prova, lo priva della ragione per pochi attimi ed Ercole in preda alla follia uccide moglie e figli. Consapevole del fattaccio, Ercole tenta il suicidio ma inutilmente, così si rivolge a Teseo, suo amico, che gli consiglia di interpellare l’oracolo di Delfi per sapere come redimersi. La risposta lo conduce al re Euristeo che gli impone di superare dodici fatiche, simbolo del viaggio iniziatico dell’Eroe e dell’incontro con le istanze psichiche profonde che devono essere trasmutate per recuperare la consapevolezza di essere figlio di Dio. E che sia proprio Euristeo a indicargli la via non è a caso, infatti, il suo nome significa stabile, fisso come la materia dell’opera alchemica, incorruttibile.

Le dodici fatiche rappresentano le prove, le difficoltà che ogni uomo affronta per liberarsi dalla materia e ritrovare la componente spirituale, ogni creatura mostruosa è una parte di sé che deve essere vista e dissolta con l’amore.

Prima fatica: l’uccisione del Leone di Nemea che simboleggia l’uccisione della personalità, il predominio del cuore nel cammino iniziatico, il coraggio di spalancare il cuore ed affidarsi ad esso. Ercole uccide il leone strangolandolo con il suo braccio, unico mezzo visto che la pelliccia dell’animale era impenetrabile da armi di metallo, ma questa pelliccia diventerà il mantello che lo renderà invincibile per le altre sfide.

Seconda fatica: la distruzione dell’Idra di Lerna, serpente a nove teste di cui la centrale era immortale, simbolo del dominio sul desiderio che dirige la volontà.

Terza fatica: consiste nel catturare la cerva di Cerinea, simbolo dell’intuizione che dirige l’intelletto, non viceversa.

Quarta fatica: catturare il cinghiale di Erimanto, simbolo dell’emotività controllata ed il raggiungimento dell’equilibrio interiore.

Quinta fatica: ripulire in un giorno le stalle di Augia, simbolo dell’acqua purificatrice, della comprensione del profondo valore del servizio.

Sesta fatica: disperdere gli uccelli del lago Stinfalo, simbolo del controllo della mente inferiore distruttiva.

Settima fatica: catturare il toro di Creta, simbolo dell’energia sessuale creativa che conduce all’illuminazione se indirizzata nell’aspirazione al divino.

Ottava fatica: rubare le cavalle di Diomede, simbolo del controllo della mente e la spinta spirituale ad aiutare gli altri, operando la giustizia.

Nona fatica: impossessarsi della cintura di Ippolita, regina delle Amazzoni, simbolo dell’insuccesso temporaneo, l’iniziato deve continuare la sua opera nonostante il pericolo di sbagliare, ogni nuovo inizio è soggetto ad errori ma è necessario perseverare.

Decima fatica: rubare i buoi di Gerione, simbolo dell’uomo divenuto salvatore del mondo dopo aver trasceso la parte animale di se stesso.

Undicesima fatica: rubare i pomi d'oro del giardino delle Esperidi senza sapere dove andare, simbolo della conoscenza e subordinazione del corpo fisico, del desiderio e della ragione.

Dodicesima fatica: portare vivo Cerbero, il cane a tre teste guardiano degli Inferi, a Micene, simbolo della sua completa iniziazione, ora è un semidio, uomo e Figlio di Dio capace di fare il viaggio ctonio tra i mondi.

O Ercole, il più bel essere cosmico
Le tue fatiche ci reclamano, ora così liberatorie
La tua luce guida canta nella notte
Dalle stelle così luminose, noi siamo la tua forza!