Fare tanto è meglio che fare meno, o almeno così sembra, a noi comuni mortali, ai nostri datori di lavoro -lavoratori autonomi o dipendenti che siamo- ma soprattutto agli osannati esperti di produttività, spuntati come funghi dopo la pioggia.
Non posso non riportare quanto trovi divertente, per non dire esilarante, vedere dei ragazzi autoincensarsi come esperti dell’argomento: sono nati stamattina, non hanno finora prodotto altro che qualcosa di fisiologico eppure ritengono di poter insegnare il da farsi a chi ha fondato e gestito aziende per decenni, comunque un periodo maggiore dell’intera vita -non solo quella lavorativa!- dei nostri davvero nuovi super-esperti.
Sgombrato il campo da questi aspetti anagrafici, non mancano altri esperti, questa volta dai capelli bianchi, che peraltro e per onestà si deve far notare come sostengano principi non identici ma nemmeno opposti a quelli dei giovanissimi di cui si è scritto.
Premesso che in passato ho personalmente assistito a chi apostrofava gli astanti, spiegando loro che con la crisi in atto è possibile rilevare aziende di alto valore pagando un prezzo molto basso per poi, con i consigli-indicazioni (a pagamento! e a che cifre...) del nostro, sarebbe stato un gioco da ragazzi rilanciarle, diventando sfacciatamente ricchi, e a cui mi sono permesso di chiedere pubblicamente perchè, vista l’incredibile convenienza (della cosa) e la competenza (dell’uomo), non lo facesse direttamente! Ovviamente non ho ricevuto alcuna risposta ma solo il mormorio del pubblico, che qualcosa vorrà pur dire.
Tornando al tema che ci siamo dati, specifico come qui il nostro interesse sia limitato alla produttività personale, evitiamo perciò del tutto quanto riguarda l’uso di tecnologie di ogni tipo -quindi non solo meccaniche o informatiche- in sostituzione dell’attività umana.
A seguire, non possiamo non ribadire come lo scopo degli studi sulla produttività è chiaro, se a parità di “sforzi” potessimo scegliere, chi non vorrebbe ottenere il massimo disponibile? È proprio questo, infatti, il tema, addirittura scontato: il rapporto tra l’investito e il raccolto! Ricorda molto il concetto di rendimento, generalmente utilizzato per definire con un solo numero, senza alcun dubbio non interpretabile, il rapporto tra il risultato e quanto è stato speso per ottenerlo. Il motivo non è di difficile comprensione, perché a parità, ad esempio, di tempo e/o di materiale utilizzato, un conto è realizzare un certo numero di prodotti, altro farne la metà o il doppio, ovviamente con tutte le possibili gradazioni intermedie.
Ecco perciò scatenarsi le folte schiere di esperti che ci spiegano -di nuovo a pagamento (e ancora ad alto prezzo!)- come moltiplicare non pani e pesci ma i nostri obiettivi, anche se sarebbe preferibile raggiungere concreti risultati… quindi limitare i “bersagli” ma aumentare i “centri”!
L’ampiezza di questi ultimi termini non può però non allarmarci, perché è diverso realizzare prodotti “fisici” oppure “intellettuali”, aspetto troppe volte ignorato dagli specifici docenti. Queste caratteristiche sono profondamente diverse, serve spiegarlo? Forse la produttività -il cui termine viene da sempre utilizzato al singolare, come fosse una sola e non potesse che essere così- non è più unica o non è di un solo tipo.
Probabilmente non averlo considerato -perché non compreso- squalifica, senza possibilità di appello, i diretti interessati! Se ci fossero dubbi, consideriamo, anche superficialmente, le diverse modalità operative attuate da chi svolge lavori che potremmo definire “fattivi” e/o “compilativi”, ad esempio nel primo caso partecipare alla realizzazione di qualche prodotto e nel secondo operare in modo intellettuale ma codificato, come la registrazione o l’elaborazione di dati, quali sono le fatture o comunque aspetti numerici di ogni tipo, e da coloro che invece lavorano su temi “progettuali”, più o meno creativi!
Nel primo caso, l’applicazione di procedure migliori può effettivamente far sì che l’operatore a fine giornata abbia realizzato un più alto numero di lavorazioni oppure trattato un maggior numero di dati, quindi aumentato la propria produttività! Nell’altro, però, chi potrebbe essere certo che si possa applicare lo stesso criterio per misurare il frutto di attività per definizione non misurabili con i soliti criteri-metri? Sarebbe come sostenere che un pittore per far bene dovrebbe “fare” una certa quantità di opera nell’unità di tempo.
Ad esempio, lo consideriamo produttivo se dipinge almeno dieci centimetri quadrati ogni ora: un quadro avente le dimensioni di centimetri 40 x 40, dovrebbe perciò essere dipinto in cm 40 x 40 = cmq 1600 / cmq/ora 100 = ore 16 pari a 2 giornate lavorative di 8 ore ciascuna! Penso siamo tutti d’accordo nel ritenere la cosa semplicemente folle.
Eppure il lavoro di molti -anche di noi- non è troppo diverso. Tutti i cosiddetti “creativi” (artisti ma non solo) e anche tutti i “progettisti” (coloro che immaginano quello che non c’è e lo rendono realizzabile) da che parte stanno? Contabili o artisti? Possiamo misurarne l’operato in qualche modo? E se sì, quale unità di misura possiamo utilizzare? Forse il tempo, anche se questi passano le giornate a pensare, senza produrre alcunché? O è meglio utilizzare il risultato, quello di vendita o di altro tipo?
Analizzando il primo dei due casi sopra citati, da cui partiamo solo perché più semplice, siamo sicuri che l’aumento della produttività –e quindi dei risultati ottenuti– non abbia una contropartita? Non mi risulta che gli acclamati guru del tema abbiano affrontato questo aspetto, come se produrre il doppio nello stesso tempo abbia solo risolto la noia dei tempi morti.
Sarà pur vero che qualcuno non sa come trascorrere le giornate al lavoro ma chi dovesse subire questa variazione di procedura, specie se in modo pesante, non rischia di fare la fine dell’operaio impersonato da Charlie Chaplin in Tempi moderni? Ma anche senza arrivare a tanto, il produrre di più a parità di tempo non fa che ridurre la qualità e aumentare la possibilità di errori. Tutto, infatti, sarà soggetto ad una maggiore fretta, quindi meno cura e controllo. L’incubo del risultato numerico da ottenere non può non avere ripercussioni! Strano nessuno ne parli, no? Però senza dubbio questa banale osservazione assesta al mito della produttività un brutto colpo, non basso, del tutto regolare ma capace di tramortire lo sfidante.
Per chi fa un lavoro o ha comunque un’attività meno codificata le cose stanno ancora peggio. Chi si può permettere di sollecitare un artista o comunque un creativo? Ma lo stesso riguarda un tecnico-progettista chiamato a produrre soluzioni a problemi, se non del tutto nuovi, quanto meno richiedenti soluzioni “non-lineari”.
Tentiamo una dimostrazione per assurdo, come ci era stato spiegato al liceo, per cui ci diciamo cose che non possono che essere false, facendo diventare vero il contrario, aprendo perciò la strada all’affermazione opposta, che diventa così vera ed inoppugnabile: peggio sollecitare l’artista-creativo-progettista quando ha una “crisi” (e quindi “non produce”) oppure durante il “flusso creativo” (che “genera” ma con pause ed accelerazioni non misurabili)? Del tutto scontato come ciò, in entrambi i casi, non sia altro che uno stupido e intollerabile errore.
Tentando un parallelo tra l’operato di “analitici” e “sintetici”, chi può dirsi certo che un controllo serrato dell’applicazione di metodi precisi e inderogabili sia capace di dare risultati più positivi che lasciare l’operatore libero di seguire i propri ritmi, quindi rallentando ed accelerando?
Facile a questo punto accusare gli esperti di tempi e metodi, viceversa difficile per loro giustificarsi, convinti come sono che tutto sia quantificabile. Almeno di fronte allo sfacelo generalizzato un bagno di umiltà sarebbe opportuno, anche e soprattutto a coloro che vengono liquidati con cifre elevatissime, persone strapagate non per quello che fanno ma perchè se ne vadano (a far danni altrove, magari dai concorrenti?)
Che indicazioni dobbiamo o possiamo trarre da questi ragionamenti? Il concetto di produttività ne esce ridimensionato, non c’è dubbio. Possiamo incrementare i risultati, ma non solo, con questi metodi, che vorrebbero essere “oggettivi” ma non considerano che siamo noi “umani” a non esserlo. Abbiamo bisogno di ben altro!
Indicazioni in ordine sparso non possono che porre al primo posto la motivazione. Non è retorica, se si lavora solo per il compenso -senza nulla togliere all’importanza della cosa- non c’è metodo che possa funzionare! Non si può che effettuare il minimo sindacale, per correttezza e per evitare contestazioni. Trascorrendo però l’intera vita all’insegna dell’autorepressione, altro che produttività personale.
I manager odierni, che -con le dovute eccezioni- pensano solo al risultato economico, non sono in grado di coinvolgere i collaboratori in qualche progetto di valore. Solo in questo caso tutti gli operatori, da chi assume ruoli apicali a chi ha compiti diametralmente opposti, comunque importanti, ritenendosi parte di un agire comune potrebbero essere davvero produttivi.
Altro fatto da tenere nella dovuta considerazione è la grandissima quantità di distrazioni in agguato durante l’intera giornata, notte compresa. Se, come troppo spesso accade, siamo convinti che la cosa più importante sia rispondere in tempo reale a chiamate telefoniche, messaggi e notifiche di ogni tipo, dei cui contenuti non intendo disquisire, non vi è alcuna possibilità di far bene, altro che produttività!
Far meglio è tutt’altro che complesso, basta capire che il mondo va avanti anche senza di noi e pure se rispondiamo non nell’immediatezza. A seguire, dandoci delle priorità sensate, il telefono e i social non possono essere al primo posto, e riportare in alto quello che facciamo, lavorativamente o di altro tipo, non può che darci risultati migliori. Anche la comunicazione potrebbe ben risentirne, riducendo la quantità di messaggi per aumentare la qualità della comunicazione.
Se è ammissibile un angolo per la nostalgia, ricordo -a chi ha avuto la fortuna di provarlo personalmente- e racconto -agli altri- come la corrispondenza ai tempi degli “amici di penna”, rigorosamente tramite la posta ordinaria, eccezionalmente quella aerea, era straordinariamente ricca, finalizzata a rispondere con precisione a quanto ricevuto, aggiungendo elementi di rilievo! Il concetto di “analfabetismo funzionale” è stato scoperto (o inventato?) successivamente.
In chiusura, non tanto dell’articolo quanto del ragionamento, non ci resta che abbandonare gli schemi sulle priorità, le to-do-list, i pomodori e il latte dei vari sistemi per ritornare, pure se il mondo ha aumentato di molto il proprio grado di complessità, e forse pure di complicatezza, sui fondamentali. La saggezza di un tempo, forse più chiara in altre culture che, almeno per quanto giunto fino a noi, sembrano aver conservato una maggiore purezza, ci suggerisce di fare -e perseguire- nello stesso fare proprio quello che si sta facendo. La cosa è tanto ovvia da risultare disarmante ma chi di noi si comporta così?
Non si tratta del multitasking -semmai del suo contrario- ma, anche senza enunciarlo, chi fa una cosa alla volta -semplicemente e banalmente- fa quello che sta facendo, concentrato e motivato, volto al risultato, conscio del proprio ruolo e via dicendo. In altri termini, l’esatto contrario di quanto molti di noi stanno facendo quotidianamente: li vedo solo io, tanto per far qualche esempio, i motociclisti fermi al lato della strada per rispondere al telefono, e non si tratta certo di un caso di vita o di morte, i passanti con lo sguardo sullo smartphone, ma anche chi guida automobili e mezzi pesanti nonché amici, parenti e perfino amanti, evidentemente più attratti da stupidi messaggini e post inneggianti al vuoto che da chi gli sta vicino?
Se perfino chi lavora ha la testa sui social network dove credete si possa andare? Pensate possa bastare l’interpello di costosissimi maestri della produttività per tornare indietro? Difficile, molto difficile, forse impossibile. Se però con la necessaria modestia non ritenessimo di dover risolvere i problemi dell’intera umanità, e magari fossimo pure convinti di non esserne in grado, sarebbe un successo riuscire a migliorare noi stessi, in particolare in termini di qualità e -di nuovo!- di quantità, il che è davvero possibile, dato che dipende solo ed esclusivamente da noi stessi.
Per mettere in pratica quanto abbiamo già scritto e letto basta poco, si potrebbe cominciare con lo stabilire cosa fare, poco importa se a livello mentale, scrivendolo su carta o usando una delle specifiche applicazioni informatiche. A seguire il buon senso suggerisce di restare concentrati su quello che stiamo facendo, quindi niente telefono, social e simili ma ottime pause rigeneranti!