Per voce creativa è un ciclo di interviste riservate alle donne del panorama artistico italiano contemporaneo. Per questa occasione Giovanna Lacedra incontra Alice Padovani (Modena, 1979).

Dopo anni di attività come attrice e regista nel teatro Contemporaneo, e dopo una laurea in filosofia, Alice Padovani, artista raffinatissima ed ecclettica di origine modenese, passa alle arti visive, perseguendo una laurea magistrale e cominciando a sperimentare. Il suo percorso artistico nasce certamente all’insegna della versatilità. Una versatilità che le consente di non concentrarsi su un solo linguaggio, bensì di andarne a ricercare uno proprio, mutevole e versatile, vario e ricco, certamente in constante trasformazione. Il suo è un linguaggio che si fonda sulla contaminazione tra medium e modalità espressive, fondendo performance, disegno e installazione.

Natura e memoria sono le protagoniste di questa ricerca in essere.

Alice è uno spirito conservatore. Ama portare a memoria la vita attraverso la cura di ciò che resta, ama tener vivo il ricordo proteggendo ciò che lo testimonia, ama ricostruire il passato attraverso la raccolta di quanto potrebbe in realtà andare perduto nella dimenticanza.

Le parole d’ordine quindi sono: recuperare, conservare, catalogare. A volte si tratta di vere e proprie illustrazioni ritraenti dettagli di diverse specie arboree o animali, compendiate e trattate con un chiaroscuro realistico e lenticolare, da trattato scientifico; altre volte si tratta invece di composizioni ordinatissime di piccoli oggetti, spille, medaglie, pietre, orecchini. Frequentemente le sue installazioni sono fini raggruppamenti di elementi, all’interno di teche o su delle superfici.

Tutto è sempre raccolto con estremo ordine. Tutto appare studiato minuziosamente. Tutto è dedizione.

Alice Padovani vive e lavora a Modena. Questa è la sua voce creativa per voi.

Chi è Alice?

È un essere umano piuttosto complicato.

Dove si nasconde il tuo Paese della Meraviglie?

Il mio paese delle meraviglie ce l’ho continuamente intorno. Lo trovo ogni giorno in forme e luoghi diversi: in casa, in giardino, durante un viaggio, nelle cose piccolissime o nelle cose immense. Lo trovo guardando il verde accecante di un ramarro o negli occhi di chi amo. Ci sono anche giorni bui in cui non riesco a vederlo, ma so che continua ad esistere e che potrei ritrovarlo già l’indomani.

Un aggettivo che ti racchiude tutta.

Molteplice.

Chi sognavi di diventare da bambina?

Sognavo di diventare attrice e in effetti lo sono diventata. Ho lavorato nel teatro contemporaneo per parecchi anni, finché quel sogno è diventato troppo stretto. Allora ho capito che era tempo di evolvere e di seguire altri sogni.

E quanto di quella bambina è sopravvissuto allo scorrere degli anni?

Quella bambina è sopravvissuta e si rifiuta di deporre le armi dello stupore e della curiosità. In parte, forse si trovano qui anche le ragioni per cui ho deciso di non diventare madre, probabilmente per preservare al meglio la bambina che sono stata e sono.

Qual è la cosa che più di ogni altra vampirizza la tua creatività?

Senza dubbio è la consapevolezza di essere circondata da una quantità importante di gente superficiale, incapace, incompetente. Vengo spesso delusa dalle persone a causa di questo.

Un libro che ti ha cambiata.

Il Barone rampante di Italo Calvino. Dopo averlo letto ho capito che avrei potuto fare qualunque cosa nella vita.

Una canzone che ti culla.

Sweet disposition dei Temper Trap.

Quando hai iniziato e perché.

Dipende molto da cosa si intende per “inizio”. Forse ho iniziato dal momento in cui qualcuno mi ha messo in mano la prima matita, il primo colore, il primo foglio bianco. Quello è di sicuro l’inizio più interessante, il resto è solo evoluzione: gli eventi, le esperienze e le occasioni mi hanno portato a pensare (direi verso i 33 anni) che l’arte visiva era forse quello a cui tendevo da sempre. Dico forse perché l’evoluzione e il cambiamento sono radicati in me a tal punto che potrei tranquillamente decidere di cambiare strada e trovarmi altri percorsi e mete da raggiungere.

Si è artisti per vocazione?

Assolutamente sì, poi è sempre vero che le professioni, anche quelle artistiche, hanno degli ampi margini di apprendimento su tutto quello che è tecnica, materiali, manualità. Tuttavia, queste competenze, se manca la vocazione, restano confinate in ambito di artigianato, anche altissimo, ma che nulla ha da spartire con l’arte.

L’opera d’arte dentro cui vorresti vivere.

Vorrei fluttuare sul pelo dell’acqua in una delle opere vegetali ed effimere di Nils Udo.

L’opera d’arte che ti fa dire: “Questa avrei davvero voluto realizzarla io!”?

La maschera funeraria del faraone Tutankhamon. Quando l’ho guardata dal vivo per la prima volta, ho avuto la sensazione di essere dinnanzi a quella cosa intangibile a cui ogni artista aspira e che non rientra nei criteri semplici di bellezza o di bruttezza. Quell’opera si avvicina all’assoluto, all’archetipo, all’universale. Ricordo di aver pensato che fosse la cosa più incredibile su cui avessi mai posato gli occhi. La cosa più difficile è stato smettere di guardarla.

Un o una artista che avresti voluto esser tu.

Ammiro moltissimi artisti, ma non vorrei essere nessuno di loro. Se potessi invece essere qualcun altro sceglierei di certo un uomo o una donna di scienza. Oppure un filosofo.

Un critico d’arte o curatore con il quale avresti voluto o vorresti collaborare?

Con chiunque sia realmente interessato al mio lavoro e che non sia prevaricante… e poi con Robert Wilson anche se non è un curatore. A lui consegnerei la mia visione certa che me la restituirebbe integra, ma amplificata.

È vero che la scaturigine di un’opera è sempre autobiografica?

Creare opere d’arte è sempre una questione personale: è come scrivere un diario intimo con una lingua del tutto nuova, fatta di immagini e suggestioni invece che parole. Quando si tratta di opere scultoree, di installazioni, di assemblaggi e in generale di forme che non hanno una fisionomia umana riconoscibile è più difficile percepire l’idea autobiografica di fondo, tuttavia questa è sempre presente, anche se non ha il profilo di un autoritratto dipinto ad olio.

Qual è l’opera tua di cui ti sei sentita soddisfatta.

Rebuild nature. Victoria amazonica, un disegno a penna di grandi dimensioni realizzato in modo ossessivo nell’arco di 9 giorni, perdendo letteralmente un grado di vista da vicino. L'immagine è creata a partire dalla ripetizione di migliaia di piccoli cerchi che ricostruiscono una foglia di Victoria amazonica a dimensione naturale. La volontà, dietro all'opera, è di innescare la consapevolezza sull’impossibilità di ricreare da zero una natura destinata a scomparire. Il disegno, volutamente lineare ed essenziale, compone una forma vegetale utopica, disegnata cellula per cellula, in un tempo di azione lento e dilatato che imita la naturale lentezza di crescita delle piante. Realizzare quest’opera mi ha portato grande soddisfazione, lasciandomi al contempo pervasa da uno stato di frenesia e irrequietezza durato giorni, anche dopo averla terminata.

Un lavoro tuo che ti sta maggiormente a cuore e perché?

Solid. Si tratta di una installazione modulare capace di prendere forme e appropriarsi di spazi diversi. Ogni volta che la espongo diventa qualcosa di nuovo. Forse, mi sta particolarmente a cuore perché è un lavoro estremamente vicino al vero, al mio senso del vero. Forse perché, inconsciamente, muove tali e tante emozioni che ogni volta che mi trovo a raccontarlo o a spiegarlo a un pubblico di visitatori o durante un’inaugurazione, finisce sempre allo stesso modo: inizio a commuovermi al punto da non riuscire in alcun modo a trattenere le lacrime. È un’opera in continua evoluzione, in perenne mutamento. Parla di vita e di morte e del loro perpetuo inseguimento. Parla di me. In sostanza sono proprio io.

Ad ispirarti, influenzarti, illuminarti ci sono letture particolari?

Quasi sempre sono letture di tipo scientifico o filosofico: saggi, articoli da riviste, ecc.

Scegli tre delle tue opere, scrivimene il titolo e l’anno, e dammene una breve descrizione.

Archival Impulse or The Museum-Machine, 2020, installazione e disegni.
Si tratta di una grande installazione site-specific che ho realizzato in occasione del Festivalfilosofia per i Musei Civici di Modena. Un’opera a pavimento composta da una moltitudine di oggetti straordinari rappresentativi delle raccolte d’archeologia, arte, etnologia, artigianato e risorgimento del Museo, da guardare dal basso per leggerne i dettagli e dall’alto per capirne la complessità globale. Un progetto che è stato, e sarà ancora nella sua evoluzione futura, un’occasione per riflettere sull’idea stessa e sul senso del Museo come “macchina” per la raccolta, la classificazione e la conservazione del sapere e della storia dell’uomo.

In un’azione performativa, molto vicina ad un rituale che potesse conservare tutta la complessità della natura umana, ho creato un grande ingranaggio fatto di oggetti distanti per epoche ed eterogenei per materiali e utilizzi, che potessero avvicinarsi creando intrecci e storie inattese. L’installazione, effimera per vocazione, è stata accompagnata inoltre da un compendio di disegni che sarà esposto e presentato a breve nella forma di un libro di artista. Dunque una seconda raccolta di natura più emotiva ed evocativa, che vede i singoli oggetti parte dell’installazione, rappresentati con un tratto leggero di matita.

Cocoons, 2019, installazione, sculture.
Cocoons è un’installazione composita creata a partire da un numero variabile di sculture sottili, steli di ferro alla cui sommità si trovano piccole “uova di terra e oro”. Si tratta di bozzoli di grossi scarabei che in alcuni casi io stessa ho allevato, stanze segrete in cui avviene il cambiamento più radicale che esista in natura: la metamorfosi, una combinazione programmata di distruzione e crescita.

Non siamo tenuti a vedere questa misteriosa evoluzione perché avviene sotto terra, essa può essere solo immaginata. Al nostro sguardo restano solo forme vuote che alludono a metafore di nascita e assenza, presenza e abbandono.

Reminescence bump, 2020, installazione. Scatole di cartone, diari personali distrutti, un diario aperto.
Il mio lavoro, da sempre votato all’idea di trattenere, conservare, raccogliere ciò che rischia di essere perduto, subisce con questa installazione uno sviluppo apparentemente opposto. Da sempre abituata a scrivere diari e memorie personali (soprattutto nell’età dell’adolescenza) mi sono accorta di come le mie reminiscenze potessero diventare un ostacolo. Così, con un gesto goffamente eroico, in una performance del tutto privata e dilatata nel tempo, ho distrutto tutti i miei diari privati riducendoli a una gigantesca massa di sottili strisce di carta. Per una volta ho avuto la sensazione di poter decidere cosa ricordare e cosa dimenticare.

Dopotutto, un diario aiuta realmente la memoria? Non comporta forse il rischio di sostituire il ricordo con un racconto scritto? Quando trascriviamo le nostre pagine autobiografiche non trasformiamo la reminiscenza in narrazione letteraria e sempre meno in un’esperienza vivida?

Ciò che resta di queste riflessioni è stato ordinato in 15 scatole di cartone e un ultimo diario (sfogliabile) che contiene una selezione casuale di ricordi trattenuti dai diari precedentemente distrutti, ricordi che avranno la forma di frasi brevi e disconnesse fra loro, di fatto indecifrabili. Questo lavoro non è ancora stato presentato al pubblico.

Quale credi sia il compito di una donna-artista, oggi?

In generale dovrebbe essere lo stesso di un artista uomo, ovvero, creare una lingua ibrida e potente in grado di essere compresa in modo globale e trasversale da una moltitudine eterogenea di persone. I generi non mi hanno mai interessato. Ho sempre voluto parlare di universali. Faccio spesso fatica a capire la necessità di sottolineare la questione femminile perché ho la sensazione che sia controproducente auto-crearsi confini dettati dal proprio genere. D’altro canto, ne capisco perfettamente le motivazioni perché viviamo in una società ancora fortemente patriarcale con rigurgiti retrogradi e spinte reazionarie che si fanno strada un po’ dappertutto. Ho molta stima per chi riesce ad affrontare il tema del femminile nella propria arte, io da parte mia lo affronto come qualcosa di insito in me che non ha bisogno di ulteriori esternazioni. Ad ogni modo, nel mio mondo ideale, nessun essere umano dovrebbe essere definito preventivamente dal proprio genere, così come non dovrebbe esserlo per colori, provenienza, fattezze.

Tre aggettivi per definire il sistema dell’arte in Italia.

Monocorde, influente, condizionato.

In quale altro ambito sfoderi la tua creatività?

Nella musica. Suono il pianoforte da quando sono bambina, per lo più musica classica, raramente mi avventuro in composizioni originali. E poi canto. Queste due cose le faccio generalmente quando so di non essere vista o ascoltata perché mi rendono estremamente vulnerabile. Anche per questo motivo, dopo il mio primo e unico concerto in pubblico, decisi che la questione andava oltre le mie capacità e doveva restare prevalentemente privata.

Work in progress e progetti per il futuro.

Riguardo il futuro ho diversi progetti in cantiere ma vista l’incertezza dei tempi e considerando che potrebbero tutti o quasi subire slittamenti o cancellazioni preferisco non svelare troppi dettagli a riguardo.

Sul work in progress invece posso dire che al momento ho quattro mostre in corso, ancora tutte visitabili. In occasione di Art Site Fest a Torino espongo in una personale all’Archivio di Stato e in una collettiva alla Palazzina di Caccia Stupinigi, entrambe a cura di Domenico Maria Papa. Partecipo con un’opera alla collettiva PAM a cura di Mescoli, Sala e Bianchi presso Palazzo Ducale di Pavullo dove terrò inoltre un laboratorio sperimentale per bambini che vedrà la creazione corale e partecipata di una installazione per un giardino senza tempo. A Mantova poi, in occasione del festival Interno Verde, ho una bi-personale a cura di Silvia Antonioli presso lo spazio espositivo Arrivabene II all’interno di un palazzo seicentesco nel centro della città.

Per finire, il progetto Archival Impulse or The Museum-Machine di cui ho parlato in precedenza, vedrà lo sviluppo di una seconda fase in concomitanza con la Notte Europea dei Musei programmata per il 14 novembre (salvo imprevisti). I disegni tratti dai reperti, parte dell’opera site-specific ed effimera presentata durante il Festivalfilosofia, saranno esposti nell’atrio dei Musei Civici di Modena e una selezione di questi entrerà a far parte del libro di artista prodotto e presentato per l’occasione proprio in questa occasione.

Il tuo motto in una citazione che ti sta a cuore.

Capita […], che quando si guarda un animale si pensa che forse lui ricorda qualcosa che le persone hanno dimenticato.

(Amos Oz)