Abbiamo dialogato con i ragazzi di Nelumbo Open Project di Bologna. Uno spazio vivo, nel cuore della città, aperto alla cultura, fatto di giovani speranzosi e capaci, che post lockdown ha lanciato il progetto Rifugio, da scoprire qui.

Nelumbo nasce nel 2011 come prima galleria d’arte orientale a Bologna, nel 2015 è divenuta poi associazione culturale e dal 2018 ospita Nelumbo Open Project, definito come un autentico “cantiere creativo”. Ci raccontate com’è nata questa ultima parte, come si definisce oggi Nelumbo? Come è composto il vostro staff e quali competenze ricoprite al suo interno?

Nelumbo Open Project nasce da un’esigenza già presente negli ultimi anni di attività della galleria d’arte orientale: quella di allargare l’orizzonte sia geografico che temporale e di lavorare maggiormente con artisti attivi sul panorama bolognese e non. Nel 2018, Camilla, già presidente dell’associazione e fondatrice di Nelumbo, ha coinvolto prima Zoe e poi Julia -entrambe artiste impegnate nella propria ricerca - con l’intenzione di mettere insieme competenze e sguardi diversi, poi dal 2019 si è unita a noi anche Guendalina che ha contribuito a costruire e ripensare la nostra comunicazione.

All’interno di Nelumbo ci sono delle aree di responsabilità, ma non sono affatto compartimenti stagni: dalla scelta degli artisti con cui collaborare alla progettazione e produzione delle mostre, dalle questioni burocratiche alla comunicazione, tutto il processo è collettivo e condiviso. Amiamo definire Nelumbo un “cantiere creativo” perché siamo interessate non tanto all’opera d’arte finale, ai risultati, ma ai processi creativi e materiali che li precedono. In questo contesto lo spazio stesso della galleria, le sue stanze e il suo giardino, giocano per noi un ruolo fondamentale nella realizzazione di un progetto.

Che ruolo pensate abbia oggi l’arte contemporanea? Come cambierà, se cambierà il suo ruolo all’interno di un mondo recentemente sconvolto dalla pandemia da COVID-19?

Per noi l’arte è uno spazio di ricerca e sperimentazione: si testano i limiti, si indagano gli spazi, si costruiscono opere che raramente hanno la pretesa di essere definitive o esaustive. In questo senso intendiamo l’arte contemporanea soprattutto nel ruolo di mostrare i processi - tanto quelli della sua stessa produzione, quanto quelli del pensiero - di scomporli e di renderli visibili, per aiutarci a ripensare il mondo. Il COVID-19 ha già cambiato e sta cambiando il nostro concetto di collettività, il modo in cui ci immaginiamo come parte di un tutto più grande e la nostra percezione dei limiti e del pericolo. Da questo punto di vista il ruolo dell’arte contemporanea potrebbe essere quello di aiutarci a metabolizzare e comprendere il cambiamento, di metterci di fronte alla necessità di elaborarlo e non di rimuoverlo, di ripensarci in un modo nuovo.

Il vostro prossimo progetto è intitolato Rifugio, parola che trovo estremamente puntuale. Potete spiegarci di cosa si tratta? E come è possibile sostenere e seguire il progetto?

Rifugio nasce dalla volontà di proseguire la nostra attività di ricerca, nonostante l’impossibilità di riaprire al pubblico, in continuità con ciò che per noi è sempre stato fondamentale: il rapporto intimo e stretto con il pubblico, fra pubblico e opera, e fra Nelumbo e il progetto artistico. L’idea che ogni progetto richieda un coinvolgimento e un passo avanti da parte dello spettatore per essere fruito.

Da questo punto di vista il virtuale è un canale spesso a senso unico, ma noi volevamo che in qualche modo il nostro pubblico continuasse a sentirsi parte di ciò che facciamo, che chiedesse espressamente di ricevere un contenuto. Così ci siamo immaginate una pubblicazione digitale, esito di una residenza che dura soltanto 72 ore, e che è una sorta di viaggio minimo in un’estate senza viaggi. Abbiamo invitato dodici artisti a riflettere sul concetto di rifugio, come espressamente legato all’ammissione di un pericolo e alla richiesta di protezione, e ad immaginare, in assenza di uno spazio fisico aperto al pubblico, le otto pagine che inviamo ogni domenica come uno spazio da allestire. Non quindi uno strumento per documentare il lavoro prodotto, ma un mezzo con il quale incontrare chi si iscrive alla newsletter. Il contributo di ciascun artista viene inviato ogni domenica agli iscritti, ma la pubblicazione non ha di per sé né un ordine cronologico né di significato: ciascun fruitore/lettore può intervenire liberamente.

Quale sarà il futuro di Nelumbo dopo il progetto Rifugio, avete già un possibile calendario? Progetti nel cassetto?

Non sappiamo quale sarà il futuro degli spazi culturali in genere, di quelli piccoli e no-profit come noi ancora meno. In cantiere c'è un progetto con Michele Liparesi, che lavora con materiali industriali di recupero e che costruirà una sorta di sito archeologico del futuro dentro Nelumbo. Si tratta di una mostra che avevamo in cantiere questa primavera, alla quale avevamo già iniziato a lavorare, ma che abbiamo dovuto rimandare e ripensare a causa della situazione attuale.

Quali sono stati, durante il lockdown, i progetti digitali in ambito culturale che avete apprezzato di più, ce n’è qualcuno? E più in generale cosa ne pensate del digitale?

Fruit Exhibition ha progettato un calendario di conferenze virtuali fitto e molto interessante, altrettanto interessante anche l’iniziativa di KublaiKlan, che ha realizzato un questionario sull’efficacia delle iniziative digitali in ambito fotografico, i cui esiti saranno raccolti in una pubblicazione digitale. Tra le istituzioni sicuramente il MAMbo con 2 minuti di MAMbo, pillole video che raccontavano il lavoro degli artisti, e non solo, coinvolti nell'attività del museo bolognese. Il Centro Studi d’Arte Estremo Orientale ha attivato una bella iniziativa su Facebook: ogni settimana usciva una piccola lezione su argomenti vari della cultura giapponese o cinese.

Si tratta di alcune iniziative virtuali che per noi, nell'attesa di tornare ad essere attivi anche se con modalità nuove, hanno avuto il pregio di raccontare storie, dinamiche e processi che danno vita alle iniziative culturali, più che tentare di sostituire la vicinanza fisica tra l'arte e il pubblico.

Il virtuale è uno spazio vastissimo e potenzialmente infinito, all’interno del quale ci sono a nostro avviso molte modalità ancora da scoprire: qui tutti noi oltre che organizzatori siamo sempre più spettatori e questa ambiguità comporta una serie di possibilità creative.

Seguite qualche altra associazione o spazio no profit che apprezzate e ne seguite la programmazione? Potete citarne qualcuna?

Maison22, Adiacenze, Checkpoint Charly e il CSAEO (Centro Studi d’Arte Estremo Orientale) solo per citarne alcune… Bologna dal punto di vista della proposta culturale non convenzionale e fuori dagli schemi è davvero una città di grande potenziale; anche nei tempi di limitazioni e difficoltà riesce a sorprenderti sempre con proposte creative stimolanti.